La scoperta della fragilità  come condizione strutturale delle società  umane

Un sistema capace di rispondere ai cambiamenti attuando strategie adattive e creando continuamente nuove forme di equilibrio, diverse da quella di partenza

E’ fondamentale recuperare il significato originario del concetto di democrazia partecipativa nella particolare fase storica che stiamo vivendo, perché questa è l’epoca delle crisi o, meglio, della scoperta della fragilità  come condizione strutturale delle società  umane in tutte le loro proiezioni (individuali e comunitarie, territoriali e politiche).
Nonostante la moltitudine di aggettivi con cui sempre più spesso si accompagna il termine democrazia nel tentativo di restituire centralità  al ruolo delle persone (democrazia partecipativa, deliberativa, sussidiaria, amministrativa, scientifica, economica, ambientale, urbana, etc.), l’espressione ” democrazia partecipativa ” è insostituibile perché esprime la necessità  che le persone possano esercitare in modo effettivo e permanente la sovranità  popolare, prendendo parte alle scelte che le riguardano.

La partecipazione come metodo

Come infatti affermarono già  i Padri Costituenti durante la scrittura dell’art. 3 della Costituzione, la partecipazione dei cittadini non può esaurirsi nei momenti episodici di esercizio del diritto di voto ma richiede strumenti di confronto continuo fra le istituzioni e i cittadini. E al riconoscimento dei diritti fondamentali si affianca un generale dovere di solidarietà  e collaborazione che rende tutti i soggetti, pubblici e privati, protagonisti dell’attuazione dei valori democratici.
In base al modello della democrazia partecipativa la partecipazione è dunque un vero e proprio metodo di decisione e di azione dei poteri pubblici, di tipo inclusivo e collaborativo.

E tale metodo trova il proprio completamento nel principio di sussidiarietà  orizzontale contenuto nell’art. 118 ultimo comma della Costituzione: la collaborazione dei cittadini alla realizzazione del bene comune è un percorso circolare in cui le virtù civiche e il confronto con i poteri pubblici deve poter transitare dal piano dei processi decisionali a quello della loro attuazione concreta, e viceversa.

Governare la vulnerabilità 

Questo particolare metodo in cui si esprime la democrazia partecipativa è particolarmente adatto ad affrontare i problemi che si pongono nell’era della fragilità .
Fragilità  è concetto ben diverso da quelli, assai più utilizzati nelle democrazie contemporanee, di crisi e di debolezza. Questi ultimi due termini sono stati infatti fortemente congeniali al modello di sviluppo capitalista, perché imperniati su un sistema valoriale che alimentava i miti della normalità  e della forza: ciò che non funziona o che è diverso può essere confinato nel recinto delle patologie/eccezioni anziché indurre a mettere in discussione la validità  del modello di sviluppo.

Ma l’illusorietà  di quel sistema valoriale è stata ormai svelata. E allora gli ordinamenti democratici riavvolgono il nastro e si interrogano sulla fragilità  del vivere; le politiche pubbliche diventano politiche di governo della vulnerabilità , la quale non può essere eliminata ma soltanto compresa, rispettata e governata; la ricerca delle soluzioni da parte di decisori e amministratori non può più essere affrontata nella logica della contrapposizione fra gli individui e lo Stato ma richiede forme di collaborazione e circolarità  nella costruzione e attuazione delle politiche.

La parola agli abitanti nell’era della fragilità 

La necessità  di recuperare il collegamento con i territori e i loro abitanti richiede la costruzione di strumenti per poter attingere a quel bacino di informazioni, competenze esperienziali e saperi d’uso degli abitanti, che ormai travalica i saperi esperti ma anche il criterio formale della cittadinanza: quest’ultima non è più garanzia di conoscenza dei luoghi, mentre lo è la vicenda dell’abitare e sperimentare quotidianamente quei luoghi.
La vera sfida per le nuove politiche di governo della fragilità  sarà  dunque quella di riuscire ad integrare i saperi civici e le inclinazioni collaborative (il c.d. capitale sociale) sia nei processi decisionali di tipo politico che nell’amministrazione e cura concreta dei bisogni.

Un nuovo ruolo per i Comuni

E’ indubbiamente verso questo tipo di consapevolezza che sta evolvendo l’atteggiamento delle amministrazioni, pur nell’ambito di un quadro ancora fortemente eterogeneo.

Se dopo la riforma costituzionale del 2001 si era assistito ad un certo rilancio dei temi della partecipazione e della collaborazione nei nuovi statuti regionali e nella legislazione di alcune Regioni, negli ultimi anni un ruolo decisivo è stato progressivamente assunto dai Comuni, che non a caso si trovano insieme ai propri abitanti a fronteggiare in modo più immediato la pressione delle nuove emergenze e dei nuovi bisogni: sono ormai assai numerosi i regolamenti comunali che disciplinano gli istituti di democrazia partecipativa (consultazione, dibattito pubblico, etc.). E a partire dal febbraio di quest’anno ha cominciato a diffondersi il Regolamento redatto da Labsus insieme con il comune di Bologna che disciplina le forme di collaborazione fra amministrazioni e cittadini per la cura condivisa dei beni comuni.

Democrazia partecipativa e amministrazione condivisa, insieme

Ma negli ultimi mesi di questo stesso anno si sta assistendo ad un fenomeno ulteriore: la   tendenza a considerare insieme e in modo organico i due aspetti, portando avanti congiuntamente le proposte di regolamento sulla democrazia partecipativa e sull’amministrazione condivisa, o addirittura interrogandosi sull’opportunità  di redigere atti unitari.

Molti sono i Comuni che si stanno orientando in questo senso; molto ci sarà  da approfondire e discutere su quali siano le migliori opzioni di tecnica normativa e i contenuti possibili; molto ancora ci sarà  da impegnarsi per sperimentare le ricadute operative e organizzative delle nuove regole. Per il momento, ciò che più conta è il fatto inedito che la necessità  di una regolazione sia avvertita sia dalle amministrazioni che dalle persone, quale veicolo di garanzie che (pur non sacrificando la flessibilità  delle forme di partecipazione e collaborazione) ne assicurino le condizioni e l’effettività .
Era del resto questo il senso originario del concetto di federalismo, ampiamente trascurato dal dibattito politico italiano: un significato che, fedele alla propria etimologia (foedus: patto, alleanza), intendeva valorizzare le dinamiche di tipo cooperativo e reticolare fra tutti i soggetti dell’ordinamento, pubblici e privati.

Verso una ” democrazia resiliente ” ?

Ebbene, se queste tendenze si consolideranno ulteriormente e se è vero che gli aggettivi della democrazia ci raccontano le età  e le evoluzioni della nostra storia, la prossima erede della democrazia partecipativa e sussidiaria potrà  forse essere una ” democrazia resiliente ” : un sistema capace di rispondere ai cambiamenti attuando strategie adattive e creando continuamente nuove forme di equilibrio, diverse da quella di partenza.
Una democrazia fondata dunque su un paradigma profondamente diverso da quello apparentemente analogo di resistenza, che presuppone la difesa dell’equilibrio iniziale come l’unico possibile e desiderabile.

Una democrazia in cui la resilienza non è un risultato imposto dall’alto (come nel caso della ricostruzione dell’Aquila) ma piuttosto un processo, basato sull’incremento e l’utilizzo costante dei saperi e delle capacità  (individuali, comunitarie e istituzionali) per permettere a chiunque insista sul territorio di sviluppare un senso di responsabilità  nei suoi confronti.

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