La riforma dei servizi pubblici locali

Rompere l'intreccio perverso tra politica ed erogazione dei servizi

Il disegno di legge del Governo che definisce il riordino dei servizi pubblici locali è attualmente in discussione in Senato. Si tratta di una iniziativa di assoluto rilievo basata sulla convinzione che il monopolio, pubblico o privato che sia, seppure con qualche differenza, finisce sempre con il penalizzare i cittadini (e quindi l’interesse generale del Paese).

La concorrenza, invece, pur lasciando agli enti locali la facoltà di scegliere i servizi necessari alla collettività, costituisce un criterio di organizzazione della gestione dei servizi con validità generale anche perché favorisce la libertà di scelta dei consumatori. Ecco perché convince la novità più importante della proposta di riforma: ovvero l’attribuzione del carattere di eccezionalità agli affidamenti diretti (in house o a società miste) dei servizi locali.

I "non confini" della politica

Sarebbe questa, una vera e propria rivoluzione, in un settore che da almeno 1-15 anni è al centro di un profondo conflitto d’interessi che ha visto le forze politiche coinvolte tutte, in vario modo, nella gestione della cosa pubblica. Una presenza pervasiva che ha finito con il produrre solo una prolungata sospensione di ogni disegno autenticamente riformatore dal punto di vista della promozione e della tutela dei diritti dei cittadini consumatori ed utenti.

Superare l’intreccio nello stesso soggetto – l’ente locale – della qualità di azionista, di responsabile politico e istituzionale del servizio, nonché di regolatore è l’obiettivo primo per liberare la società dal peso di una politica che interpreta il suo ruolo molto al di là dei corretti confini. Sappiamo bene ormai che la commistione fra interessi diversi in capo allo stesso ente locale comporta, tra gli altri, il rischio che questi scelga di volta in volta quale soggetto privilegiare in base alle proprie convenienze. Proprio per questi motivi, la scelta della concorrenza va mantenuta con chiarezza sia nella legge delega che nei successivi decreti delegati all’esclusivo fine di attuare il principio, definito nell’art. 1, comma 1, lett. a), che gli affidamenti siano attribuiti con procedure competitive pubbliche.

Il superamento dell’intreccio perverso tra politica e gestione diretta rappresenta il parametro su cui misurare l’effettiva volontà riformatrice che scaturirà dal testo finale varato in Parlamento.

Ma fin qui si affronta e risolve solo un pezzo del problema. In verità, se ci si fermerà soltanto alla concorrenza, il mosaico realizzato dalla liberalizzazione dei servizi pubblici locali mancherà ancora di alcune fondamentali tessere. La proposta di legge riafferma il principio che “modalità preferenziale di esercizio delle funzioni pubbliche in tale ambito sia l’adozione di misure di regolazione nel rispetto dei principi di concorrenza e di sussidiarietà orizzontale”.

Rispettare anche la sussidiarietà

Una volta compreso che cosa significhi ‘rispettare’ la concorrenza bisogna dunque chiedersi che significhi ‘rispettare’ la sussidiarietà. E qui il discorso diventa più complicato perché viene fuori tutta l’arretratezza della cultura politica e giuridica che ha confezionato il disegno di legge. Ben poco o nulla si dice, infatti, degli efficaci strumenti di regolazione, per esempio, o della valorizzazione del ruolo del cittadino sia sul versante della tutela che su quello della partecipazione attiva. Il nucleo essenziale della normativa – nella parte relativa alla tutela degli utenti contenuta nell’articolo 3 – sta nel rendere obbligatoria l’adozione della carta dei servizi previo l’assenso delle Associazioni dei consumatori e degli imprenditori. E nel legarla a precisi riscontri sulla soddisfazione degli utenti e ad un sistema di controllo esattamente “puntato” a vigilare questi due aspetti.

Un po’ poco a dire il vero per chi mastica da anni di sussidiarietà e di diritti degli utenti. Non si può più soltanto basare la tutela degli utenti sull’uso di uno strumento quadro assai invecchiato e spesso inutile come la Carta dei Servizi. E’ ormai tempo, invece, di sviluppare la partecipazione civica per valutare i servizi pubblici locali e promuovere e tutelare i diritti dei cittadini consumatori. Cittadinanzattiva, una delle organizzazioni dei consumatori ufficialmente riconosciute nell’ambito del Cncu (il Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti), ha proposto alla Commissione Affari Costituzionali del Senato una serie di misure che vanno in questa direzione. Alcune di queste prevedono modalità di partecipazione sostanziale delle organizzazioni dei consumatori ed utenti per la definizione dei contratti di servizio e per l’analisi dei contratti di utenza e delle bollette. Altre misure mirano al coinvolgimento dei cittadini nelle funzioni di controllo, con l’utilizzo di una metodologia di successo già sperimentata nell’audit civico dei servizi. Non con sondaggi, dunque, ma con la partecipazione diretta delle associazioni. E sulla base di modalità di valutazione attendibili, riferite non ai pareri o alle sensazioni ma a dati oggettivi osservabili e riscontrabili.

La vigilanza dei cittadini

In verità, nulla di nuovo sotto il sole, si potrebbe dire. Le norme vigenti già prevedono la partecipazione degli utenti “nelle forme, anche associative riconosciute dalla legge, alle procedure di valutazione e definizione degli standard qualitativi” che presiedono all’erogazione dei servizi pubblici (D.Lgs. n. 286/1999, art. 11, c.1). Ma in questi anni non si è fatto molto di più della semplice consultazione delle associazioni. Per rendere effettivo il principio di sussidiarietà più volte richiamato nel disegno di legge delega bisognerebbe definire, invece, una compartecipazione dei cittadini alle funzioni che spettano agli organismi pubblici e, in particolare, a quella di vigilanza. Un banco di prova decisivo per capire la sensibilità dei nostri legislatori.