Il caso del 'Giocoamico' di Parma

La sussidiarietà  appare come una pedagogia della capacitazione, perché ogni individuo e ogni famiglia vengano messi nelle condizioni di " capacitarsi " di vivere il tipo di vita cui a ragion veduta danno valore

Ma dentro a questo dibattito l’originalità di questo saggio sta proprio nel chiarire e mettere in luce la logica generatrice della sussidiarietà, il modus operandi degli attori la cui peculiarità è di agire in modo tale che ognuno possa agire al massimo delle proprie possibilità per il bene stesso della relazione. L’autore descrive la “logica sussidiaria” di un servizio come uno specifico modo di orientarsi reciproco degli attori che devono valorizzarsi ed essere valorizzati secondo le proprie capacità; in pratica una proprietà emergente delle relazioni stesse che deve essere messa nelle condizioni di rendersi manifesta.

Così l’autore prosegue prendendo in esame lo studio di caso, Il Giocoamico di Parma, euristicamente utile a mostrare questo effetto relazionale della sussidiarietà.
Per dare vita alla sussidiarietà, l’autore sostiene che sia necessario riflettere su:
a) i vecchi habitus operativi;
b) sul senso e sul significato del proprio ruolo e, o, compito;
c) sul proprio modo di agire e mettersi in relazione con gli altri valutando questa riflessività in itinere insieme agli altri attori.

Habitus operativi
Per quanto riguarda il punto a), lo vediamo nella prima parte di analisi dello studio di caso dove, dopo aver fatto un accenno alla struttura e all’organizzazione del servizio, Prandini mostra questa prima modalità riflessiva. Rileva come l’ospedale, classico non-luogo che estrania la persona, venga ri-familiarizzato mettendo al centro i ritmi del bambino, in primis nel gioco di cui è creatore e protagonista.

Il senso e il significato
Poi delinea la seconda modalità riflessiva esemplificando come vengano dati nuovi significati ai compiti di tutti gli attori, ripensando da capo il ruolo del volontario, degli operatori sanitari e dei familiari stessi.

Attraverso questa riflessione collettiva, dove ognuno comprende e diventa più consapevole dei propri limiti e delle proprie potenzialità, si realizza la terza modalità riflessiva: la focalizzazione e la meta-riflessione sui propri compiti e sulle proprie responsabilità “sintonizzandosi” però continuamente sui compiti e sulle responsabilità anche degli altri. Ciò si traduce, secondo l’autore, in un legarsi insieme, valorizzandosi a vicenda, per il bene di tutti dove nessun attore viene defraudato, spogliato, spossessato delle sue competenze, dei suoi compiti, diritti, doveri, peculiarità. Ad esempio diventa così peculiare per il servizio che il genitore riconosca dove fermarsi e lasciare lo spazio di azione proprio che è dell’educatore o ad esempio che un medico non assuma atteggiamenti che sono propri dell’educatore come il gioco condiviso.

L’agire
Quindi appare chiaro nello studio di caso come la logica della sussidiarietà possa emergere solo se gli attori sono capaci di riflettere sul loro modo di operare mettendo al centro di questa riflessione critica la relazione con e per l’altro, che può diventare quindi un bene condiviso di cui prendersi cura. La sussidiarietà appare quindi come una pedagogia della capacitazione, come un empowering di quelle capabilities, che Amartya Sen o Mohammad Yunus ritengono fondamentali da sviluppare e potenziare perché ogni individuo e ogni famiglia vengano messi nelle condizioni di “capacitarsi” di vivere il tipo di vita cui a ragion veduta danno valore.

Le dimensioni generative della sussidiarietà
Ne consegue, attraverso le fasi viste in precedenza, l’attivazione e la responsabilizzazione delle decisioni di come usare le proprie capacitazioni per il proprio benessere e per quello collettivo. Così ha ben ragione Prandini a sottolineare come la sussidiarietà sia una forma di riflessività personale, organizzativa, operativa, cognitiva ed emotiva.

E in particolare, in ultima analisi, descrive le quattro peculiari dimensioni generative della sussidiarietà (p.165):
1) La Ri-flessività: come modo di orientarsi all’altro e non solo alla propria performance tenendo conto degli effetti che il proprio operare ha sull’operare degli altri;
2) La Ri-capacitazione: affrontare un problema o un progetto mettendo ognuno nella possibilità di fare la sua parte, a modo suo;
3) Ri-conoscimento delle capacità e potenzialità di ognuno, agendo in modo da valorizzarle al massimo;
4) Responsabilità: saper rispondere dei propri doveri-compiti legandosi/alleandosi all’altro, ossia “fare la propria parte mettendo gli altri nelle condizioni di fare lo stesso”.