Le elezioni politiche 28 hanno confermato la trasformazione del nostro spazio pubblico, attraverso la trasformazione in senso oligarchico della democrazia rappresentativa.
Il nostro sistema politico si è ridefinito attorno a due grandi partiti, il PDL e il PD, che insieme rappresentano la grande maggioranza dell’elettorato, entrambi nati dalle decisioni di ristrette oligarchie e attraverso la costruzione di grandi eventi mediatici. E’ cambiato il modo di fare politica, sono cambiati i luoghi dove la si fa, soprattutto sono cambiati i soggetti della politica.
Sia il PDL sia il PD non assomigliano a nessuna altra forma di partito precedente, sono essenzialmente due organizzazioni con vertici onnipotenti e fortemente personalizzati, in nome di un’efficacia della decisione che spesso induce a prescindere dall’ascolto. Essi procedono per decisioni solitarie, fondate su intuizioni dei leaders, non sulla condivisione di scelte da parte di organismi collegiali.
Tutto questo, e molto altro ancora, induce a pensare che quella che emerge dai risultati elettorali sia una nuova forma di Stato che si caratterizza essenzialmente per la fine dello spazio pubblico così come lo abbiamo conosciuto negli anni del secondo dopoguerra. E’ finito lo spazio pubblico moderno, quello dove era nata la nostra Costituzione (che questo risultato elettorale oggettivamente indebolisce), dove era nato il nostro sistema dei partiti ed al cui interno si era sviluppato il modello di democrazia rappresentativa fondato su un certo ruolo del parlamento.
La crisi della dimensione nazionale
Quello spazio pubblico è finito anche perché la sua dimensione non è più adeguata per rispondere alle sfide della globalizzazione. Era lo spazio pubblico dello Stato nazione, ma la sovranità dello Stato non è più un baluardo efficace per quello spazio. Da un lato, la sovranità statale è minacciata dall’alto, dalle organizzazioni sovranazionali così come dalle logiche transnazionali dei grandi centri di potere economici e finanziari. Dall’altro, è intaccata dal basso, dall’esplodere delle rivendicazioni localistiche e identitarie che tanto successo hanno avuto in queste elezioni.
Lo spazio pubblico della Terza Repubblica non è dunque più uno spazio pubblico come lo abbiamo conosciuto fino a ieri. E’ uno spazio privatizzato perché il palcoscenico mediatico su cui i due partiti principali rappresentano se stessi è prodotto e gestito dalle telecomunicazioni e dai mass media, cioè da soggetti privati.
Da “pubblico” a “comune”
D’ora in poi non si dovrebbe più usare il termine “pubblico” per indicare ciò che è di tutti, perché quell’idea di pubblico è finita e queste elezioni lo confermano.
Ma anche se non possiamo più chiamarli pubblici, ci sono pur sempre spazi e beni che sono nostri, di tutti. Sono appunto gli spazi ed i beni comuni. Ciò che è nostro non è pubblico, è comune, esattamente nel senso in cui si dice che l’acqua è un bene comune, non un bene pubblico. E come tale non è privatizzabile, perché lo Stato può decidere di privatizzare ciò che è “pubblico”, dello Stato, non ciò che è “comune”, di tutti.
Due spazi pubblici paralleli
Nella Terza Repubblica ci saranno pertanto due spazi pubblici. Uno privatizzato e gestito da ristrette oligarchie (la “Casta”) con le quali gli elettori fanno sempre più fatica ad identificarsi, essendo venuto meno il rapporto fondamentale di tendenziale identificazione e sostanziale assunzione di responsabilità che secondo Bobbio doveva legare governanti e governati.
L’altro spazio pubblico sarà quello dei beni comuni, quei beni materiali ed immateriali che sono parte ineliminabile del patrimonio essenziale degli esseri umani ovunque, in Italia come nel resto del pianeta. E così come i beni comuni sono per definizione di tutti, così tutti possono essere soggetti attivi di questo nuovo spazio dei beni comuni, che di fatto è lo spazio dei cittadini attivi.
Il paradosso della Terza Repubblica
L’esito elettorale apre una quantità di problemi da molteplici punti di vista. Ma rende anche più evidente la nuova valenza politica dell’attività svolta dai cittadini attivi quando si prendono cura dei beni comuni.
Da tempo diciamo che la cittadinanza attiva è una nuova forma di partecipazione alla vita pubblica. Adesso, dopo queste elezioni, è chiaro che lo spazio pubblico in cui essi sono protagonisti non è lo stesso spazio pubblico privatizzato in cui sono protagonisti il PDL, il PD e gli altri attori di questa politica. Quello dei cittadini attivi è uno spazio pubblico che è tale non per la qualità dei soggetti, che rimangono soggetti privati, ma per la qualità dei beni di cui si prendono cura, che sono beni comuni.
E’ il paradosso della Terza Repubblica, in cui soggetti privati che agiscono in un nuovo spazio pubblico, parallelo a quello privatizzato in cui agiscono gli attori della politica, si prendono cura dei beni di tutti, i beni comuni. Ma allora di quali beni si prendono cura gli attori dello spazio pubblico privatizzato?