Il libro, molto ben curato, raccoglie in maniera sistematica i contributi dei diversi autori consentendo al lettore di acquisire le conoscenze necessarie per spaziare dai profili teorici a quelli applicativi del principio di sussidiarietà; argomento quest’ultimo sempre particolarmente attuale ed affascinante.
Il principio di sussidiarietà, infatti, di derivazione comunitaria, ha rappresentato un punto di riferimento importante nel lungo e complesso processo di riforme, prima legislative e poi costituzionali, che hanno caratterizzato gli ultimi dieci anni di storia dell’amministrazione italiana e che hanno portato all’affermazione di una significativa accentuazione del decentramento territoriale. Del principio di sussidiarietà, come evidenziato nel testo, devono essere scisse due accezioni, quella orizzontale e quella verticale. La prima, certamente meno nota, è proprio quella su cui gli autori hanno maggiormente concentrato la loro attenzione riuscendone a mettere in luce gli aspetti più interessanti e peculiari, mentre la seconda, più conosciuta, poichè già oggetto di interessanti discussioni sia di dottrina sia di giurisprudenza è stata, pertanto, meno approfondita dagli stessi autori che si sono limitati a metterne in rilievo gli aspetti di maggiore interesse.
La prima parte del testo, come detto, si sofferma sulle origini, le implicazioni ed i profili giuridici del principio di sussidiarietà. Si riflette sulle radici del principio de quo riconosciuti secondo parte della dottrina nel primato della persona umana e della sua natura sociale. La comunità, fra i suoi molteplici compiti, ha anche quello di fornire ai cittadini-utenti un aiuto, un sostegno, un sussidio nello svolgimento di funzioni che interessano il bene collettivo al fine di consentire loro di assumere anche delle personali responsabilità nella realizzazione delle diverse attività.
Lo Stato deve saper riconoscere, tutelare, promuovere l’autonomia ed i diritti propri di ogni uomo e di ogni società da lui fondata. Una concreta attuazione del principio di sussidiarietà consentirebbe di valorizzare il pluralismo sociale come via per la realizzazione del bene della persona oltre che del bene comune. La sussidiarietà postula, dunque, una società partecipativa in cui le persone o i gruppi siano realmente corresponsabili e solidali.
Nel volume de quo, richiamando la dottrina sociale della Chiesa, si ricorda che la sussidiarietà non può mai essere separata e contrapposta al principio di solidarietà; i due principi si implicano reciprocamente al punto tale che, una parte della dottrina, qualifica la sussidiarietà come “complemento della solidarietà”.
È nell’enciclica di Pio XII “Quadragesimo anno” del 1931 che, per la prima volta, trova enunciazione il principio della ripartizione delle competenze fra istanze maggiori e minori della società. Già da allora si va affermando il criterio secondo il quale lo svolgimento di attività che non sono alla portata del livello più vicino al cittadino devono essere svolte dal livello superiore e così via fino al livello più alto. Ma, ciò che correttamente gli autori evidenziano nel testo è la necessità di provvedere ad identificare quali siano le istituzioni di livello più vicino ai cittadini, dovendo in particolare ricordare che si parla di istituzioni in senso lato, pubbliche e private e, pertanto, occorre collocare nella “piramide” della sussidiarietà anche i corpi intermedi che popolano l’esperienza civica della nostra comunità nazionale.
Ci si sofferma sul principio personalista e si riflette sul fatto che la nostra Costituzione rappresenta una sintesi fra prospettiva personalista, posizioni lavoriste e istanze di carattere liberale. Proprio nei principi fondamentali della nostra Carta si afferma, infatti, un riconoscimento e una garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. Riconoscere che è proprio nelle formazioni sociali che si svolge la personalità degli individui è un passo essenziale per poter poi individuare i soggetti coinvolti nella dinamica della sussidiarietà. Ci si riferisce inevitabilmente a tutti quei corpi intermedi che si frappongono fra individui e Stato, che in qualche modo mutuano la relazione fra queste due polarità dell’obbligazione politica e nei quali si svolge la partecipazione, l’impegno, il contributo delle persone alla società civile.
Si conviene, dunque, nel qualificare il principio di sussidiarietà come “espressione istituzionale” dell’istanza personalista che anima l’intera architettura costituzionale, come naturale risvolto organizzativo all’interno di un ordinamento che fa della “persona” il centro del sistema ed il riferimento primario di tutta l’esperienza giuridica. Ma, l’aver elevato a rango costituzionale il principio di sussidiarietà ha determinato l’esigenza di riaprire una riflessione sul sistema amministrativo e sui principi che lo regolano.
Un ruolo decisamente rilevante nello svolgimento di tale dibattito è stato assunto dalla giurisprudenza costituzionale. Gli aspetti teorici del principio di sussidiarietà ed il ruolo del giudice costituzionale sono temi affrontati in maniera molto precisa e puntuale nel testo consentendo al lettore di avere diversi spunti di riflessione. Fra questi si segnala, per esempio, il complesso problema del bilanciamento, operato dal giudice delle Leggi, del principio di sussidiarietà e degli altri principi costituzionali evitando di correre il rischio di elevare il primo a principio assoluto e pervasivo dell’intero sistema.
Brillanti, e sempre attuali, le riflessioni del Prof. Arena che definisce la sussidiarietà come un principio “rivoluzionario” che sta alla base di un nuovo modello di società, caratterizzato dal ruolo diffuso e costituzionalmente legittimato di quelli che possono essere chiamati cittadini responsabili, autonomi e solidali, o meglio “cittadini attivi”. Con la progressiva affermazione del principio di sussidiarietà si demolisce il tradizionale paradigma gerarchico – bipolare di amministrazione pubblica in cui si è sempre visto lo Stato da una parte ed il cittadino dall’altra, lo Stato sovraordinato rispetto al cittadino. Oggi tutti dovrebbero offrire il loro contributo per riuscire ad affermare un nuovo modello di relazione fra cittadino e Stato, un modello di tipo paritario e pluralista. Sono i cittadini che devono farsi parte attiva nella risoluzione di problematiche che interessano la collettività e lo Stato, l’amministrazione pubblica deve intervenire per sostenerli. I cittadini sono soggetti attivi e autonomi, strettamente connessi con l’amministrazione pubblica ma da essi distinti nel perseguimento, su propria autonoma attivazione, dell’interesse generale nella cura dei beni comuni. La costituzionalizzazione del principio di sussidiarietà deve consentire l’affermazione di una “nuova forma di sovranità popolare” in grado di completare – come ricorda l’autore – “le forme tradizionali della partecipazione politica e della partecipazione amministrativa”.
Sussidiarietà e diritti sociali sono due elementi fondamentali nel processo di cambiamento che si vuole realizzare. L’affermazione del principio di sussidiarietà deve seguire di pari passo la garanzia dei diritti sociali; questa è l’opinione di Arena ripresa e condivisa da Ales nel suo contributo. La sussidiarietà orizzontale integra e non sostituisce il ruolo dell’amministrazione pubblica che deve essere, sempre, in grado di intervenire e garantire lo svolgimento dei compiti propri di uno Stato sociale. Diversi gli interventi sia del Giudice costituzionale sia amministrativo sul punto.
Molto interessante, per esempio, l’acquisizione da parte del Consiglio di Stato della nozione sociologica di “cittadinanza societaria” intesa come quella relazione che si crea fra i cittadini appartenenti ad uno stesso ambito territoriale, impiegati a soddisfare esigenze e bisogni concreti senza attendersi nulla dallo Stato o dagli altri enti territoriali. Il principio di sussidiarietà va, dunque, riferito secondo il giudice amministrativo a quelle attività di interesse generale curate da soggetti «operanti nella propria comunità» che sono allo steso tempo soggetti utenti e soggetti agenti.
Oltre a riflettere sul principio di sussidiarietà nell’ordinamento comunitario il testo, come detto, analizza il modello spagnolo. Ci si sofferma, in primis, sul concetto di sussidiarietà, su cosa esso significhi e quali siano le sue implicazioni in un Paese in cui non vi è un riconoscimento espresso di detto principio, tanto nella sua dimensione orizzontale, quanto verticale. La prima trova una sua realizzazione nella cornice del sistema costituzionale mentre, in senso verticale, essa rileva solo nelle relazioni dello Stato e delle Comunità autonome con gli enti locali, mentre non può rilevare nel rapporto tra Stato e Comunità autonome, per il modo in cui esse sono costituzionalmente organizzate e per il modello di distribuzione delle competenze.
Il principio de quo ha trovato un suo riconoscimento nei novellati Statuti di autonomia che contengono, oggi, importanti riferimenti al principio di sussidiarietà verticale sia con riferimento alla disciplina delle relazioni tra Comunità autonome ed enti territoriali sia per ciò che concerne le modalità di svolgimento dei controlli relativi all’attuazione del principio di sussidiarietà come previsto dal Protocollo allegato al Trattato costituzionale.