Chiamato a rispondere delle critiche mosse al nostro sistema di welfare, il responsabile della comunità di Capodarco, don Vinicio Albanese, rilascia al consorzio Parsifal una lunga intervista in cui chiarisce le accuse mosse ai soggetti che operano nel settore.
“Per aziende sociali mercenarie – spiega Albanese – intendo quelle che, nel rapporto con l’ente pubblico, stabiliscono relazioni senza interferire né sui servizi né sulla loro qualità. In pratica la mia osservazione era rivolta a coloro che si riducono a meri prestatori d’opera spesso al costo minore possibile, per venire incontro alle possibilità (sempre più limitate) degli enti”.
Dunque, riprendendo un dibattito spesso affrontato anche tra le pagine di questo sito, don Albanese mette in guardia da una lettura della sussidiarietà che si traduce in mera “vendita” dei servizi richiesti dall’ente, dove l’impresa sociale o la cooperativa non entra a nessun titolo nella programmazione e nei contenuti dell’intervento.
Questi soggetti devono, secondo il parere di don Albanese, recuperare la loro identità che non è solo quella di attori economici. “Quando non si ha la possibilità di trattare i contenuti dell’appalto – spiega – ma ci si trova di fronte a capitolati che pongono delle condizioni per cui solo il ribasso assicura il successo, le strade sono due: o si sta al gioco o, molto probabilmente, si perde l’appalto stesso”.
Questo il motivo per cui don Albanese chiede al nuovo governo un ripensamento complessivo del welfare, tornando a una visione meno “Tecnologica”, “ottimizzando le risorse ed inglobando le risorse residuali di soggetti come, per esempio, le famiglie”.