“Il populismo è la democrazia senza la costituzione. Senza diritti, regole, contrappesi e poteri divisi. Soggetti sociali, che accettano e apprezzano la propria minorità, delegano in bianco a ‘fare le cose’ un decisore che ‘renda loro giustizia’. E’ una drastica semplificazione dei processi istituzionali e rappresentativi, una versione caricaturale della democrazia: domina il sorìte, il numero, la maggioranza. Non è la prima volta che succede, anzi nella storia della democrazia questa versione dimidiata e tendenzialmente autoritaria è ricorrente nelle fasi di crisi e di disorientamento”.
E’ l’incipit di un bel saggio di Carlo Donolo, La democrazia messa a nudo, che in questo scorcio di vita nazionale ci mostra con spietata lucidità cosa siamo diventati, lasciandoci al tempo stesso intuire cosa ci aspetta se non riusciremo a fermarci sull’orlo di quel baratro su cui da troppo tempo siamo pericolosamente in bilico.
Ma come recita il detto popolare, “Il chirurgo pietoso manda la gamba in cancrena”. Ben venga dunque l’impietosa analisi di Donolo, per aiutarci a capire e a reagire.
Il popolo è nudo perché rinuncia alla sovranità
Donolo fa notare che solo “apparentemente la democrazia ha vinto, perché ha vinto il numero”. Ma “la democrazia moderna – come ogni democrazia – prevede per la propria sopravvivenza ed efficacia divisioni dei poteri, garanzie, correggibilità, apprendimento, continua intermediazione tra forze sociali per evitare esiti fatali e garantire una capacità di sviluppo. Il popolo nudo rinunzia alle regole, che sole possono conservare la sua sovranità”.
Il popolo è nudo perché “rinuncia alla sovranità a favore di una protezione, di qualcosa di octroyé”, di “concesso”. Tuttavia “questo popolo nudo va preso sul serio, non lo si può semplicemente schernire, far finta che esso sia solo preda di equivoci. Esso è autentico a modo suo, e ci rinvia nello specchio l’immagine di tutto quello che non c’è stato. Le omissioni: carenza di beni pubblici, mancata cura di beni comuni; fiscalità giusta e non vessatoria; giustizia affidabile; promozione del merito e della capacità”.
Una crisi cognitiva di lunga durata
Per quanto doloroso e pericoloso, era però storicamente necessario “che il popolo si mostrasse nudo, per rivelare fino in fondo le patologie della nostra democrazia politica, ora essa stessa messa a nudo. Il popolo nudo è l’emblema della crisi cognitiva di lunga durata del nostro paese, derivante certo dalla formula fatale iniziale ‘istituzioni deboli e partiti forti’: esaurita la sua spinta propulsiva – già arrivata al limite tra ‘68 e mani pulite – essa ha generato mostri”.
La democrazia come apprendimento
Conclude Donolo osservando che “Se il popolo è nudo lo è perché lo sono anche i poteri e la politica. Sarebbe compito delle istituzioni offrigli l’opportunità di giochi più intelligenti, ma questo è diventato molto difficile da quando la classe politica, specialmente a livello nazionale, si è adattata ad essere il riflesso passivo dell’esistente, rafforzandolo proprio nelle sue pieghe e impulsi più oscuri.
Mai che nel discorso politico abbiano avuto qualche peso significativo e non retorico la sostenibilità ambientale, la coesione sociale e territoriale, le questioni ormai gravi di giustizia sociale, le grandi questioni nazionali che solo se affrontate possono in parallelo farci superare la crisi cognitiva dominante che insidia la democrazia.
E la democrazia è apprendimento o decade a rituale irrilevante. Nuda non può restare. Solo il popolo, rivestendosi, la può salvare”.
Come può il popolo rivestirsi?
Se il popolo è nudo, avendo rinunciato alla propria sovranità per dare una delega in bianco a un decisore che “faccia le cose”, l’unico modo che esso ha per “rivestirsi” consiste nel riprendersi la propria sovranità.
Ora, la situazione del nostro Paese è tale per cui non è realistico immaginare che in tempi brevi il popolo o comunque la sua maggioranza decida di ritirare la delega a “colui che fa le cose”.
Ma la sovranità popolare non si esprime soltanto attraverso i meccanismi della rappresentanza e della delega. Essa può esprimersi anche in spazi e con strumenti diversi rispetto a quelli tipici della politica tradizionale.
Riprendiamoci la sovranità, usando la sussidiarietà
Noi diciamo da tempo che i cittadini che attuano il principio di sussidiarietà sono al tempo stesso solidali (articolo 2, Costituzione) e sovrani, in quanto “inventano” sul campo forme di realizzazione della sovranità popolare del tutto nuove rispetto a quelle della democrazia rappresentativa.
I cittadini attivi, coloro cioè che si prendono cura dei beni comuni, non delegano. Al contrario, essi si assumono responsabilità da classe dirigente, consapevoli che dai loro interventi, anche piccoli, di cura dei beni comuni, dipende l’interesse generale, il “bene comune”.
I cittadini attivi sono anch’essi espressione di quel popolo nudo (o meglio, denudato) di cui parla Donolo. Ma quando agiscono per il bene comune in nome della sussidiarietà e della solidarietà è come se quel popolo finalmente iniziasse a rivestirsi, riprendendo la propria sovranità e ritirando nei fatti la delega a “colui che fa le cose”, per fare e decidere essi stessi, in prima persona.