La sussidiarietà  risulta influenzata dalle culture di appartenenza delle organizzazioni di Terzo settore prese in esame

Tale programma mira a sviluppare le ipotesi secondo cui il Terzo settore non sia solo un prodotto funzionale ai limiti e fallimenti dello Stato o del Mercato, bensì che sia soprattutto un ambito sociale privilegiato di produzione di capitale sociale. Il disegno di ricerca si focalizza sui leader delle organizzazioni di Terzo settore in quanto attori chiave (gate-keepers) che possono influire in maniera determinante sulla cultura dei membri dell’organizzazione orientadola su una determinata condivisione di norme, stili operativi, valori e obiettivi che l’organizzazione si da’.

Sono state somministrate 23 interviste a leader di organizzazioni di volontariato (1 interviste), cooperative sociali (1 interviste), associazioni di promozione sociali (3 interviste). Gli obiettivi dell’indagine sono stati prevalentemente descrittivi per lanciare ulteriori ipotesi da verificare con ricerche future.
Nella prima parte sono state raccolte le informazioni socio- demografiche dei responsabili; nella seconda gli autori hanno ricostruito il tipo di capitale sociale posseduto dai leader e quale capitale sociale stessero costruendo per la propria organizzazione.
La terza parte della ricerca ha affrontato il tema della sussidiarietà e della cittadinanza attiva; nella quarta sono state somministrate delle domande sul futuro del Terzo settore in Italia con l’obiettivo di capire come si sarebbero comportate le organizzazioni del Terzo settore in caso di crisi e quale immagine i leader delle organizzazioni del Terzo settore avessero elaborato.

La differenziazione del Terzo settore

Per quanto riguarda il tema della sussidiarietà, in sintesi, si evince come questa sia influenzata dalle culture di appartenenza delle organizzazioni di Terzo settore prese in esame. Organizzazioni di volontariato, cooperative sociali, associazioni di promozione sociale si basano su culture diverse (donativa, lavorista, pubblica e, o, personale) e queste influenzano anche gli stili di leadership, che a loro volta influenzano i codici delle organizzazioni. Il Terzo settore che emerge da questa ricerca è fortemente differenziato, tanto che lo stesso Prandini si chiede se davvero valga ancora la pena chiamarlo in modo univoco. Le organizzazioni di volontariato sembrano dare una risposta basata sempre più sull’operare gratuito a favore dell’altro, le cooperative sociali appaiono spinte verso una cultura sempre più lavorista e isomorfica al mercato, le associazioni di promozione sono nel mezzo di una connessione lib-lab, privato / pubblico.

Le aree della sussidiarietà

Questi processi di autodifferenziazione sono rappresentati di riflesso nella cultura emergente della sussidiarietà in Italia e che gli stessi autori hanno rappresentato secondo tre aree:

1. sussidiarietà liberale: dove vi è una prevalenza di orientamenti privatistici e dove si lascia che lo Stato si ritiri dalla società e che le organizzazioni della società civile e le aziende lo sostituiscano nelle sue funzioni;

2. sussidiarietà socialdemocratica: dove vi è una prevalenza di orientamenti statalisti ed è l’ente locale più vicino al cittadino che deve assisterlo al meglio (tale concezione è ben rappresentata dall’Unione europea);

3. sussidiarietà societaria: dove vi è una prevalenza di orientamenti pluralisti e sociali. Ogni organizzazione sociale (ente pubblico, famiglie, sindacati, etc.) lavora insieme al servizio della società.

Il panorama emerso ci dice comunque, che una definizione positiva e “capacitante” di sussidiarietà è ormai patrimonio comune nell’area del Terzo settore. La sussidiarietà nella sua duplice valenza promozionale, che impone agli attori sociali di livello superiore di aiutare gli attori sociali al livello inferiore, così da metterli nelle condizioni di realizzare una vita dignitosa (e protettiva) che vieta agli stessi destinatari di intervenire se gli attori sociali sottostanti sono in grado di agire autonomamente, verso ogni sfera sociale è ben percepita e condivisa.
I confini labili e confusi riguardano maggiormente la sua applicabilità, che sembra spostarsi in un continuum lib-lab.

Questo ci dice che la strada da percorrere affinché la sussidiarietà assuma il proprio ruolo di criterio regolativo per la costruzione del ben-essere della comunità è ancora lunga. Ma aver interiorizzato le potenzialità del principio stesso significa che la sussidiarietà sta mettendo le radici nella nostra società. Non resta che prendersi cura di essa come un bene comune per l’esercizio della cittadinanza attiva.

Ivo Colozzi e Riccardo Prandini (a cura di), I leader del Terzo settore, Percorsi bibliografici, culture e stili di leadership, Milano, FrancoAngeli, 28, pp.175.