Il presidente del Consiglio ha annunciato nei giorni scorsi che “l’Italia è matura per un sistema presidenziale o semipresidenziale” in quanto “l’architettura attuale non permette di prendere decisioni tempestive e non dà poteri al premier”.
Il presidenzialismo che vuole il presidente del Consiglio probabilmente non si realizzerà in tempi brevi. Ma se e quando dovesse realizzarsi sarebbe esiziale per il nostro progetto di una società composta da cittadini attivi, responsabili e solidali.
Esso si presta infatti a due ordini di obiezioni, quelle del costituzionalismo “classico”, per così dire, e quelle del costituzionalismo “civico”, neologismo inventato da Labsus per dire che la questione è vista dal lato dei cittadini.
Il modello inglese e quello francese
Innanzitutto va chiarito che se si parla di “sistema presidenziale” per l’Italia i modelli possibili di riferimento sono essenzialmente due, quello inglese e quello francese.
Secondo il modello inglese il leader della coalizione vincente diventa capo del governo, con poteri molto incisivi quali fra gli altri la nomina e revoca dei ministri, ma deve avere comunque la fiducia di un ramo del Parlamento. In questo modello sopravvive la figura del presidente della Repubblica come simbolo dell’unità nazionale, lo stesso ruolo che nel Regno Unito è attribuito alla regina.
Secondo il modello francese, invece, il presidente della Repubblica, eletto direttamente dal popolo con un sistema a doppio turno, è al tempo stesso capo del governo, sia pure “controllato” dal Parlamento.
L’obiezione del costituzionalismo “classico”
Dal punto di vista della dottrina costituzionalistica l’obiezione principale che viene mossa ad entrambi i modelli (e in particolare a quello francese) riguarda la radicale modifica che ne conseguirebbe nell’assetto e negli equilibri fra i poteri nel nostro Paese, con riflessi anche sulla tutela dei diritti fondamentali.
La separazione dei poteri di Montesquieu è fondamentale non tanto e non solo dal punto di vista dell’attribuzione di funzioni distinte a ciascun potere, quanto dal punto di vista del reciproco controllo. In altri termini, l’essenza dell’insegnamento di Montesquieu sta nell’idea semplice ma cruciale secondo il quale solo un potere può controllare un altro potere.
Il passaggio del nostro Paese da un regime parlamentare ad un regime elettorale del primo ministro (modello inglese) o del presidente (modello francese) secondo una concezione fortemente personalizzata e tendenzialmente plebiscitaria della democrazia porterebbe ad un accumulo di poteri in capo ad una sola persona, sia esso il primo ministro o il presidente della Repubblica, con una notevole riduzione del ruolo di controllo esercitato dagli organi di garanzia.
Nel caso italiano vi è poi un ulteriore elemento distorsivo dell’equilibrio fra poteri, rappresentato dalla possibilità che il nuovo sistema presidenziale veda in futuro al proprio vertice un uomo politico che controlla anche gran parte dei mezzi di comunicazione di massa e che dispone di risorse finanziarie ingentissime.
L’obiezione del costituzionalismo “civico”
Dal punto di vista dei cittadini attivi a queste preoccupazioni se ne aggiunge un’altra, più specificamente legata al modello di società coerente con questo nuovo sistema. Il presidenzialismo attribuisce al primo ministro o al presidente il ruolo di fiduciario dei cittadini: egli governa in nome e per conto loro, sulla base di un’investitura personale che si presume conferita dall’elettorato al momento del voto. Secondo questa concezione è come se col voto la sovranità popolare si trasferisse in capo al primo ministro (e non, come accade nei sistemi parlamentari, al Parlamento nel suo insieme), cui il popolo (o meglio, una parte di esso) conferisce direttamente e irrevocabilmente un mandato quinquennale a governare.
Quegli stessi cittadini che secondo il principio di sussidiarietà possono essere soggetti attivi che si prendono cura dei beni comuni insieme con i soggetti pubblici, con questo sistema per quanto riguarda il governo del Paese sarebbero invece relegati in un ruolo passivo, semplici spettatori delle decisioni assunte da un uomo cui si presume abbiano delegato i propri poteri.
Quale modello di società?
Le Costituzioni non sono soltanto le carte fondamentali su cui si fonda la vita collettiva di una nazione, esse contengono anche un modello di società. Se la società italiana in questi ultimi 6 anni si è sviluppata in maniera democratica, pluralista e partecipata non solo nella sfera istituzionale, ma in tutti i suoi ambiti, ciò lo si deve in gran parte alla Costituzione del 1948, i cui principi e norme hanno sostenuto e agevolato tale sviluppo.
Voler introdurre nella nostra Costituzione un modello di governo fondato sulla delega, mediante un’investitura fiduciaria e personale, relegando i cittadini nel ruolo di spettatori deresponsabilizzati e disinformati dai mezzi di comunicazione di massa, significa fare di questa modalità di esercizio del potere il modello delle relazioni in tutti gli ambiti della vita associata. E quindi sarà molto più difficile costruire una società di cittadini partecipi dei problemi collettivi, responsabili e solidali.
Un falso problema
In sostanza, il presidenzialismo auspicato dal presidente del Consiglio contiene in sé un modello di società e un’idea di cittadinanza non soltanto radicalmente diversa da quella auspicata da Labsus, ma anche meno adatta ad affrontare le sfide economiche e sociali che ci aspettano nei prossimi mesi ed anni.
Non è vero che il problema principale sta nel fatto che “l’architettura attuale non permette di prendere decisioni tempestive e non dà poteri al premier”, tant’è che l’attuale presidente del Consiglio non soltanto sta imponendo alle Camere la propria agenda a suon di decreti-legge, ma di fatto anche in passato ha nominato e revocato ministri senza alcun vincolo.
Un esempio sono da un lato alcuni dei ministri dell’attuale governo, privi di qualunque retroterra politico proprio, dall’altro la revoca in precedenti governi degli allora ministri Ruggiero, Scajola e Tremonti.
Autorevolezza e credibilità cercasi
In realtà il problema è opposto a quello individuato dal presidente del Consiglio. Per affrontare una crisi come questa in un paese come il nostro il modello di governo più adatto non è quello fondato sull’accentramento ed il cumulo dei poteri, bensì quello fondato sulla partecipazione consapevole e convinta di tutti i cittadini allo sforzo per affrontare il problema, qualunque esso sia.
E’ il modello che ha funzionato quando si trattava di entrare nell’euro. Allora si è visto che se ci vengono chiesti sacrifici noi Italiani siamo capaci di farne quanto e più di altri popoli. Ma chi ci chiede di sacrificarci in vista di un futuro migliore deve essere autorevole e credibile, come lo era Ciampi al momento dell’ingresso nell’euro.
Il problema è che l’autorevolezza e la credibilità non si improvvisano, sono il risultato di biografie coerenti, di una vita intera al servizio delle istituzioni e dell’interesse generale. Ecco perché è più facile cercare una scorciatoia nel presidenzialismo.