Il secondo rapporto nazionale Auser, presentato ieri a Roma, ha evidenziato la tendenza crescente dei Comuni ad affidare al Terzo Settore la gestione dei servizi sociali. A parlare sono, infatti, i numeri.
Un trend in crescita
L’indagine dell’Auser ha interessato 232 bandi, relativi al periodo ottobre 28-aprile 29, per l’affidamento dei servizi alla persona, di un campione di Comuni con più di 3mila abitanti. Selezioni pubbliche e “ristrette” (con procedure negoziate e licitazione privata), per appaltare, ad imprese sociali e associazioni, la gestione di servizi sociali, per una spesa prevista di 52,9 milioni di euro. Rispetto al precedente Rapporto, si è dimostrato come si tratti di un trend in rialzo costante. Se nel 26, il 46 percento della spesa comunale, finalizzata all’assistenza, è stata impiegata per affidare ad associazioni del terzo settore la gestione di interventi di indirizzo sociale, in media, nel 28, i Comuni medio-grandi della penisola hanno riservato il 47,38 percento della spesa sociale per l’acquisto di servizi presso cooperative sociali e associazioni di volontariato in genere. Una percentuale che giunge al 49,48 percento nei Comuni del Sud.
La tendenza all’esternalizzazione dei Comuni è dovuta a diverse ragioni. Il ridimensionamento del pubblico impiego, imposto dai recenti Patti di stabilità, nonché lo scarso interesse che, in genere, dimostrano le autonomie locali nei confronti delle problematiche relative alla organizzazione dei servizi, così come i ritardi nel riordino delle autonomie locali stesse, in gran parte dovuti alle carenze del quadro normativo. La strada verso l’acquisizione e il riconoscimento di un ruolo importante del Terzo settore, nel suo rapporto con gli enti locali, è aperta, ma sono ancora presenti troppe zone d’ombra.
I punti critici
I Comuni, infatti, e più in generale lo Stato, non sono riusciti a creare un sistema di regole chiare, trasparenti ed efficienti, per consentire al Terzo Settore di svolgere servizi di qualità ed assumere anche maggiori responsabilità nelle fasi di programmazione e progettazione territoriale. Solo 5 gare pubbliche, delle 232 prese in esame, prevedono, infatti, l’aggiudicazione di servizi sociali sulla base dell’ “appalto concorso”, che lascia libertà alle imprese sociali di proporre progetti di ampio respiro, per la gestione di un certa prestazione sociale, e solamente 3 Comuni hanno chiesto a cooperative e associazioni sociali di coprogettare insieme un servizio.
Altro elemento critico è rappresentato dalla condizione dei lavoratori del Terzo Settore. Vi sono notevoli disparità nel trattamento del personale e nei diritti garantiti ai lavoratori dipendenti delle imprese sociali: solo il 5 percento dei bandi comunali contiene disposizioni dettagliate circa la sicurezza sul lavoro e in materia di antinfortunistica.
Troppo breve è poi la durata degli incarichi, e ciò impedisce alle associazioni del Terzo Settore di erogare servizi che siano validi qualitativamente. Nel 54 percento dei casi, la durata del contratto va dai 2 ai 3 anni, mentre durano fino ad un anno ed oltre i 3 rispettivamente il 28 e il 18 percento dei contratti. Una discontinuità che non può senz’altro giovare.
Il rapporto Auser denuncia come la legge 328(2) sia stata scarsamente attivata e, in aggiunta a ciò, pone in evidenza come venga ancora largamente ignorato e non sfruttato il principio sancito dall’articolo 118 della Costituzione, quello della sussidiarietà orizzontale, che, tra le altre cose, conferisce e riconosce il valore del volontariato. “Denunciamo –ha detto il presidente Auser, Michele Mangano– una scarsissima attivazione della legge 328 e il non utilizzo dei principi sanciti dalla sussidiarietà orizzontale. Rivendichiamo un riconoscimento del valore del volontariato da parte dei comuni”. Proprio per quanto riguarda le organizzazioni di volontariato, è interessante sottolineare quali siano le procedure di affidamento per la gestione di servizi da parte dei comuni. Il rapporto ha stimato che solo il12 percento delle amministrazioni comunali ha codificato o regolamentato il rapporto con tali organizzazioni, anche privilegiando procedure “ristrette” e negoziate, in alcuni casi in riferimento ad eventuali dispositivi regionali. Il 38 percento delle amministrazioni, infatti, si accorda con le organizzazioni su progetti specifici, privilegiando procedure discrezionali, mentre il restante 5 percento attua un mix di rapporti, regolati o informali, a seconda della situazione e del soggetto con cui interagisce.
Il Rapporto si è proposto anche di analizzare come sono cambiate le politiche sociali nel nostro Paese, una novità rispetto alla prima edizione. Il dato oggettivo rilevabile è costituito dal fatto che le politiche sociali si sono perlopiù concentrate sull’erogazione di trasferimenti monetari (bonus famiglia, social card ecc.), piuttosto che soffermarsi sul miglioramento del sistema dei servizi sociali( mense scolastiche, pasti per gli anziani, servizi domiciliari, inserimenti occupazionali, ecc.), attivati nelle regioni attraverso i piani di zona gestiti dagli enti locali con la partecipazione del Terzo Settore. Una novità introdotta con l’ultima manovra finanziaria comporterà, inoltre, un calo delle voci di spesa gestite localmente. Verrà ridotta, rispetto al 27, nel Fondo nazionale per le politiche sociali, del 5 percento la quota destinata a regioni e comuni.