L’interpretazione della sussidiarietà contenuta nell’Enciclica Caritas in veritate recentemente pubblicata innova profondamente rispetto alla formulazione che di tale principio diede Pio XI nel 1931, nell’Enciclica Quadragesimo Anno.
Il “principio di sussidiarietà” compare infatti nel vocabolario della dottrina sociale della Chiesa, agli inizi del XX secolo, con l’intento di polemizzare con lo Stato liberale che, attuando i principî ereditati dalla rivoluzione francese e sopravvissuti alla restaurazione, aveva distrutto l’antico e ricco pluralismo dell’organizzazione sociale precedente la rivoluzione.
La sua formulazione è una reazione contro gli sviluppi caratteristici della società moderna, finalizzata a sostenere l’intrinseca superiorità delle società naturali (alla cui sommità si collocava la Chiesa stessa) rispetto alle organizzazioni artificiali, fra cui in particolare lo Stato moderno.
Società naturali e società artificiali
Fu la necessità storica dunque a spingere la Chiesa a teorizzare il principio di sussidiarietà come principio generale di filosofia sociale, affermando che lo Stato e le sue articolazioni interne sono sussidiarie perché sono organizzazioni volontarie, artificiali e dunque logicamente e naturalmente secondarie e successive rispetto alle società naturali.
La sussidiarietà intesa come subsidium, “ausilio”, della comunità superiore rispetto a quelle inferiori, cioè dello Stato rispetto alle società naturali assume in questa prospettiva il significato della necessaria, perché imposta per natura, minorità della comunità statale rispetto alle comunità naturali.
Rispecchiava, tale concezione del principio di sussidiarietà, una concezione della società che si pretendeva descrivere come corrispondente ad un ordine naturale superiore, che si voleva prescrivere proprio perché non più corrispondente alla realtà che si andava affermando.
Individui e Stato
Alla luce di quanto s’è ora detto, si comprende meglio perché nell’Enciclica Quadragesimo Anno si potesse affermare che, a causa dell’individualismo “le cose si trovano ridotte a tal punto che, abbattuta e quasi estinta l’antica ricca forma di vita sociale, svoltasi un tempo mediante un complesso di associazioni diverse, restano di fronte quasi soli gli individui e lo Stato.
E siffatta deformazione dell’ordine sociale reca un non piccolo danno allo Stato medesimo, sul quale vengono a ricadere tutti i pesi, che quelle distrutte corporazioni non possono più portare, onde si trova oppresso da una infinità di carichi e di affari”.
Sulla base di tali premesse, in polemica anti-liberale ma anche in opposizione al regime fascista, Pio XI proclamò la definizione del principio di sussidiarietà: “E’ vero certamente e ben dimostrato dalla storia che, per la mutazione delle circostanze, molte cose non si possono più compiere se non da grandi associazioni, laddove prima si eseguivano anche dalle piccole.
Ma deve tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella filosofia sociale che come è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva (subsidium afferre) le membra del corpo sociale, non già distruggerle ed assorbirle”.
L’applicazione di tale principio esige pertanto che “l’autorità suprema dello Stato rimetta ad associazioni minori ed inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minor momento, dalle quali essa del resto sarebbe più che mai distratta; ed allora essa potrà eseguire con più libertà, con più forza ed efficacia le parti che a lei sola spettano, perché essa sola può compierle; di direzione cioè, di vigilanza, di incitamento, di repressione, a seconda dei casi e delle necessità”.
L’importanza delle relazioni fra le persone
La definizione di sussidiarietà che dà ora l’Enciclica Caritas in veritate non sviluppa la concezione originaria, per così dire “antagonistica”, della nozione, bensì ne mette semmai in evidenza i profili eminentemente “relazionali”.
Una prima indicazione in tal senso arriva dal contesto in cui tale nuova definizione è inserita, che è dato dalla collocazione all’interno del documento pontificio.
Sebbene il termine sussidiarietà ricorra per tredici volte nell’intera Enciclica, la trattazione più importante ed impegnativa di tale concetto si trova nel Cap. V, dedicato alla “Collaborazione della famiglia umana”, che inizia così: “Una delle più profonde povertà che l’uomo può sperimentare è la solitudine … La creatura umana, in quanto di natura spirituale, si realizza nelle relazioni interpersonali. Più le vive in modo autentico, più matura anche la propria identità personale. Non è isolandosi che l’uomo valorizza se stesso, ma ponendosi in relazione con gli altri e con Dio. L’importanza di tali relazioni diventa quindi fondamentale” (par. 53).
Il testo prosegue poi affermando che il tema dello sviluppo (che è poi quello attorno a cui ruota l’intera Enciclica, tant’è che la parola “sviluppo” ricorre ben 25 volte) “coincide con quello dell’inclusione relazionale di tutte le persone e di tutti i popoli nell’unica comunità della famiglia umana, che si costruisce nella solidarietà sulla base dei fondamentali valori della giustizia e della pace” (par. 54).
Il par. 55 riprende il tema dell’inclusione (“La rivelazione cristiana sull’unità del genere umano presuppone un’interpretazione metafisica dell’humanum in cui la relazionalità è elemento essenziale”), mentre il par. 57 riprende e sviluppa il tema della famiglia umana: “Il dialogo fecondo tra fede e ragione non può che rendere più efficace l’opera della carità nel sociale e costituisce la cornice più appropriata per incentivare la collaborazione fraterna tra credenti e non credenti nella condivisa prospettiva di lavorare per la giustizia e la pace dell’umanità. Nella Costituzione pastorale Gaudium et spes i Padri conciliari affermavano: ‘Credenti e non credenti sono generalmente d’accordo nel ritenere che tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all’uomo, come a suo centro e a suo vertice’. Per i credenti, il mondo non è frutto del caso né della necessità, ma di un progetto di Dio. Nasce di qui il dovere che i credenti hanno di unire i loro sforzi con tutti gli uomini e le donne di buona volontà di altre religioni o non credenti, affinché questo nostro mondo corrisponda effettivamente al progetto divino: vivere come una famiglia, sotto lo sguardo del Creatore".
Una nuova definizione di sussidiarietà
A questo punto del Cap. V, dedicato alla “Collaborazione della famiglia umana”, dopo aver a lungo e da diverse prospettive sottolineato l’importanza della relazionalità come elemento essenziale dell’umano, l’Enciclica afferma che “Manifestazione particolare della carità e criterio guida per la collaborazione fraterna di credenti e non credenti è senz’altro il principio di sussidiarietà, espressione dell’inalienabile libertà umana. La sussidiarietà è prima di tutto un aiuto alla persona, attraverso l’autonomia dei corpi intermedi. Tale aiuto viene offerto quando la persona e i soggetti sociali non riescono a fare da sé e implica sempre finalità emancipatrici, perché favorisce la libertà e la partecipazione in quanto assunzione di responsabilità. La sussidiarietà rispetta la dignità della persona, nella quale vede un soggetto sempre capace di dare qualcosa agli altri. Riconoscendo nella reciprocità l’intima costituzione dell’essere umano, la sussidiarietà è l’antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista. Essa può dar conto sia della molteplice articolazione dei piani e quindi della pluralità dei soggetti, sia di un loro coordinamento”.
Sussidiarietà come manifestazione di amore
Risalta, in questo brano, come la definizione della sussidiarietà sia costruita intrecciando fra loro tre concetti diversi.
In primo luogo, essa è “Manifestazione particolare della carità”. Tenendo conto che ”La carità è amore ricevuto e donato” (par. 5), ciò equivale a dire che “la sussidiarietà è un modo particolare per manifestare amore” verso gli altri. Lo è perché “La sussidiarietà è prima di tutto un aiuto alla persona, attraverso l’autonomia dei corpi intermedi. Tale aiuto viene offerto quando la persona e i soggetti sociali non riescono a fare da sé e implica sempre finalità emancipatrici, perché favorisce la libertà e la partecipazione in quanto assunzione di responsabilità”.
La sussidiarietà è un modo particolare di amare gli altri in quanto, facendo leva sull’autonomia dei corpi intermedi, li aiuta a sviluppare le proprie capacità, a realizzare se stessi, rendendoli pienamente autonomi. Essa “implica sempre finalità emancipatrici”, cioè letteralmente finalità di liberazione, tant’è vero che poco dopo viene definita “l’antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista”.
La sussidiarietà inoltre favorendo “la libertà e la partecipazione in quanto assunzione di responsabilità”, favorisce lo sviluppo di soggetti liberi, attivi, responsabili e solidali, capaci di prendersi cura del bene comune.
Questa concezione della sussidiarietà come principio suscitatore di energie, di capacità, in una parola di sviluppo, è poi ulteriormente rafforzata dall’affermazione secondo la quale “La sussidiarietà rispetta la dignità della persona, nella quale vede un soggetto sempre capace di dare qualcosa agli altri”.
E’ dunque un principio rispettoso da un lato dell’autonomia di ciascuno, intesa come capacità di operare scelte di cui ci si può assumere la responsabilità, dall’altro della sua dignità, perché ogni essere umano ha risorse che possono contribuire al proprio ed altrui sviluppo, ovvero è “sempre capace di dare qualcosa agli altri”.
Il nesso fra sussidiarietà e sviluppo in questa Enciclica è fortissimo, in quanto “Lo sviluppo umano integrale suppone la libertà responsabile della persona e dei popoli: nessuna struttura può garantire tale sviluppo al di fuori e al di sopra della responsabilità umana” (par. 17). E dunque la sussidiarietà favorendo “la libertà e la partecipazione in quanto assunzione di responsabilità” favorisce lo sviluppo di ciascuno e di tutti.
La collaborazione di tutti per il bene comune
Non è del resto un caso se la sussidiarietà viene trattata all’interno del capitolo riguardante la “Collaborazione della famiglia umana”. Perché questo principio è anche “criterio guida per la collaborazione fraterna di credenti e non credenti” nel perseguimento del bene comune, definito come “il bene di quel ‘noi-tutti’, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale. Non è un bene ricercato per se stesso, ma per le persone che fanno parte della comunità sociale e che solo in essa possono realmente e più efficacemente conseguire il loro bene. Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di carità. Impegnarsi per il bene comune è prendersi cura, da una parte, e avvalersi, dall’altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale, che in tal modo prende forma di pólis, di città. Si ama tanto più efficacemente il prossimo, quanto più ci si adopera per un bene comune rispondente anche ai suoi reali bisogni” (par. 7).
Espressione di libertà
Ma la sussidiarietà non è soltanto manifestazione di carità e criterio ispiratore della collaborazione all’interno della grande famiglia umana in vista del pieno sviluppo di ciascuno. Essa è anche “espressione dell’inalienabile libertà umana”.
L’originaria definizione di sussidiarietà della Quadragesimo Anno aiuta a comprendere meglio il senso di questa affermazione. Essa proclamava infatti che “… come è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare”. Se si rilegge oggi quella definizione di sussidiarietà non più in polemica con lo Stato liberale e con il fascismo bensì alla luce di quanto affermato dalla Caritas in veritate, ne emerge l’idea fondamentale che gli individui devono essere liberi di contribuire al proprio sviluppo ed a quello della comunità. “Solo se libero, lo sviluppo può essere integralmente umano; solo in un regime di libertà responsabile esso può crescere in maniera adeguata (par. 17).
Peraltro, che la sussidiarietà sia “espressione dell’inalienabile libertà umana” lo afferma implicitamente anche la nostra Costituzione all’art. 118, ultimo comma, prevedendo che i soggetti pubblici favoriscano le autonome iniziative dei cittadini volte a prendersi cura dei beni comuni. Abbiamo sempre sostenuto, infatti, che tali iniziative dei cittadini non devono essere considerate né come manifestazioni di un potere (che i cittadini attivi non hanno e non possono avere), né come mere facoltà, bensì appunto come manifestazioni di una nuova forma di libertà, solidale e responsabile.
Sussidiarietà e solidarietà
In conclusione, emerge nella Caritas in veritate una prospettiva nuova della sussidiarietà, che si potrebbe definire al tempo stesso personalista e relazionale.
Da un lato infatti il principio viene in più modi fortemente ancorato alla persona umana, alla sua libertà e dignità, alle sue aspettative di sviluppo. Dall’altro, questa stessa persona è sempre considerata come parte attiva di una comunità, all’interno di una fitta rete di relazioni intessuta di diritti e di doveri.
Anche per questo il paragrafo successivo a quello appena esaminato ed in cui si definisce la sussidiarietà afferma con chiarezza che “Il principio di sussidiarietà va mantenuto strettamente connesso con il principio di solidarietà e viceversa, perché se la sussidiarietà senza la solidarietà scade nel particolarismo sociale, è altrettanto vero che la solidarietà senza la sussidiarietà scade nell’assistenzialismo che umilia il portatore di bisogno (par. 58). E la solidarietà è definita con una bella espressione: “sentirsi tutti responsabili di tutti” (par. 38).