Una sussidiarietà  che non convince gli ordini professionali

Il principio di sussidiarietà  come mezzo per includere le diverse categorie professionali, ma non sono definite le risorse economiche, strutturali e umane per attuarlo
Nella relazione sulla proposta di legge n.21, la consigliera proponente di maggioranza Olimpia Tarzia sottolinea che le istituzioni pubbliche avranno una posizione sussidiaria nei confronti del consorzio familiare e delle associazioni ed organizzazioni senza scopo di lucro che promuovono i valori familiari.
Secondo le intenzioni della proponente, ciò dovrebbe agevolare una dinamica espansione del ruolo della famiglia e delle associazioni familiari. In quest’ottica, viene invocato l’art. 118 della Costituzione per l’attribuzione ad esse della funzione e del ruolo di istituzioni sociali con fini pubblici.
Nell’art.2 infatti, si rileva che “è di rilievo pubblico, ancorché sia retto dal diritto privato, non solo ciò che promana dal soggetto pubblico ma anche ciò che concorre al bene comune”.
Bene comune in questo caso individuato nella promozione di valori, culturali ed etici, della famiglia, nei confronti dei quali verrà privilegiato e favorito il lavoro dell’associazionismo femminile e territoriale, espresso da Consultori privati senza fini di lucro, cui verrà attribuita la qualifica di istituzioni sociali a fini pubblici (ISFP) . Ciononostante, è prevista anche l’istituzione di Consultori privati con fini di lucro che mediante accreditamento accederanno al finanziamento pubblico.
Rilevante è anche la scelta di istituire “un Comitato Bioetico indipendente per la valutazione dei servizi consultori ali pubblici, composto secondo criteri di interdisciplinarietà”, come recita l’art.26 comma 1.
Secondo le nuove disposizioni, il consultorio avrebbe competenze in materia educativa, giuridica, psicologica, sanitaria, socio-assistenziale. Lo scopo è di aiutare la donna e la coppia “prevedendo e prevenendo situazioni di crisi”, mettendo insieme i differenti saperi tecnici, professionali e sanitari dei vari operatori. La conoscenza, intesa come bene comune, al servizio della vita come bene comune.

L’analisi dell’Ufficio Legislativo

L’Ufficio legislativo della Regione Lazio, nella sua analisi tecnica della proposta di legge, ritiene che questa impostazione possa incorrere in una violazione dell’art.3 della Costituzione Italiana, poiché sembrerebbe “escludere dalla tutela i concepiti delle coppie di fatto e delle donne sole”, e ciò non garantirebbe quella condivisione a carattere di non escludibilità che qualifica i beni pubblici.

I continui richiami alla sola realtà familiare sono consacrati nella definizione di consultorio, espressa nei commenti della stessa consigliera Tarzia all’art.13 della proposta di legge n.21, come “struttura istituzionalmente preposta ad attuare, nei servizi alla famiglia, alla vita e al figlio concepito (già considerato membro della famiglia), il riconoscimento costituzionale del valore primario della famiglia nella sua unità e fecondità, disputando un ruolo conforme alla sua istituzionale vocazione”.

Il parere della Consulta Femminile

Oltre ai rilievi dell’Ufficio legislativo, che investono anche altri aspetti in possibile contrasto con norme costituzionali e leggi precedenti, preoccupano i due pareri negativi della Consulta Femminile e di tre diversi Ordini professionali.

Il primo parere è quello della presidente Persichetti, la quale esprime i suoi dubbi su questioni di base della proposta quali la prevenzione e la salute della donna, nonché sull’impianto fondativo dei nuovi Consultori, previsti come strutture sì di sostegno, ma solo alla famiglia, negandolo a “quelle persone che scelgono stili di vita diversi dal matrimonio e alle donne sole”. Altre perplessità investono le coperture finanziarie e la reale necessità di abrogare la legge precedente.

Il parere degli psicologi, degli assistenti sociali, dei medici chirurghi e odontoiatri

Un documento sottoscritto dalla presidente dell’ordine degli psicologi del Lazio, Marialori Zaccaria, dal presidente dell’ordine provinciale di Roma dei medici chirurghi e degli odontoiatri, Mario Falconi e dalla presidente dell’ordine degli assistenti sociali del Lazio, Giovanna Sammarco, esprime parere negativo alla proposta di legge Tarzia. Il giudizio condiviso delle tre categorie è tanto più importante, in quanto esse sono le principali professioni investite da competenze consultoriali da questa stessa proposta, ed in quanto sono i principali attori, insieme alle realtà dell’associazionismo e del volontariato, dell’attività che ivi si svolge.

Il documento sottoscritto dai rappresentanti locali dei tre ordini è molto lucido, fa riferimento alla realtà sanitaria dei consultori, alle carenze di strutture, di personale, di fondi, e non vede nella proposta di legge alcuna risposta a questi pressanti problemi.
Al contrario, tale documento denuncia la mancata previsione di misure economiche aggiuntive, a fronte poi di uno “smembramento del fondo regionale previsto dall’articolo 15 della legge regionale n.15 del 1976 (che la proposta di legge Tarzia intende abrogare) in tre diversi fondi di una non meglio precisata entità, eliminando la possibilità per Regioni ed Enti locali di stanziare risorse integrative”; ancora, “la proposta di legge prevede l’inserimento di figure professionali di incerta definizione e con competenze di dubbia attestazione”.
Lo stesso Ufficio legislativo regionale si era pronunciato negativamente su questo aspetto, in quanto la previsione e ancor più l’istituzione di nuove figure professionali (tali sarebbero il “consulente familiare” e il “mediatore familiare” indicati all’art.16 della proposta di legge n.21) esulerebbero dalle competenze della Regione, come già previsto dall’art 117, terzo comma della Costituzione.
Il parere dei professionisti è corredato da statistiche impietose sullo stato dei consultori del Lazio, che confermerebbero la carenza di risorse umane, economiche e strutturali. Probabilmente in questo senso va la previsione, nella proposta di legge Tarzia, dell’apertura ai privati (sia no-profit che a scopo di lucro) che potrebbero investire in nuovi locali e attività sanitarie. Ma anche questo punto ha subìto una prima bocciatura dall’Ufficio legislativo, che ne prevede il contrasto con norme statali precedenti (l. 45/1975).
Il documento di consulenza delle categorie professionali coinvolte si conclude con la richiesta di ascoltarne i rilievi, e di rafforzare le leggi che “ci sono e vanno bene, basterebbe attuarle in pieno, soprattutto attraverso il conferimento di maggiori risorse”.

Un tentativo di analisi

Secondo una prima analisi di un testo che sta proseguendo il suo iter e per volere del presidente della Commissione lavoro, pari opportunità, politiche giovanili e politiche sociali, Maurizio Perazzolo, è oggetto di confronto e audizioni dei soggetti e delle diverse sensibilità coinvolte, sono giudicabili positivamente i tentativi d’inclusione delle diverse realtà sociali e del volontariato privato nell’attività consultoriale.

Bisogna però considerare che la precedente legge regionale in materia, la n.15 del 1976, che questa proposta di legge intende abrogare, già prevedeva un ruolo attivo e partecipativo di “associazioni femminili o delle donne, associazioni familiari, organizzazioni sindacali e sociali rappresentative del territorio” perché definissero a loro volta “le forme di partecipazione degli utenti alla formulazione dei programmi e delle scelte da effettuare” (art.8).
Nell’art.2 sono esplicitamente affermate le finalità educative, informative, di assistenza sociale e sostegno psicologico presenti anche nella proposta di legge n.21, ma vi è un preciso riferimento alla libertà di scelta del singolo e della coppia che è assente nella nuova proposta.

Breve considerazione

I consultori familiari sono parte di quella rete di servizi che lo Stato mette a disposizione del cittadino. Sono il presidio dell’agire pubblico, nello specifico sanitario, in difesa di un bene comune, in questo caso il diritto alla salute e all’assistenza.

Ma l’azione dello Stato è stata concepita come sussidiaria a quella del cittadino, che vi partecipa attivamente tramite organizzazioni ed associazioni rappresentative degli interessi coinvolti: lo Stato mette a disposizione le strutture e i fondi, i privati ne usufruiscono per prestare un servizio alla comunità.
Il contributo dei cittadini è essenziale. La carenza delle risorse economiche e strutturali ne pregiudica però l’efficacia, se non l’esistenza stessa. L’apertura ai capitali e alle energie dei privati può essere una risposta positiva da parte delle istituzioni, qualora essi abbiano le risorse che lo Stato non riesce a garantire.
Il timore nasce dalla parallela concessione delle medisime competenze e responsabilità agli istituti privati con fini di lucro. Il rischio è lo smantellamento graduale ma progressivo del servizio pubblico in questo settore, a vantaggio di altre realtà che farebbero di un bene pubblico primario un prodotto esclusivo del mercato e delle sue leggi, venendo con ciò meno il carattere qualificante di "non escludibilità" che è proprio di ogni bene pubblico.
(1) per approfondimenti, leggere l’editoriale di Paola Toniolo Piva "La Sanità Condivisa".


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