Seminario presso l ' Istituto Sturzo " Più Stato, meno società  "

Al posto della mera supplenza è possibile forse introdurre un ' integrazione regolamentata, una partnership positiva tra l ' operatore pubblico e la società 

Il seminario ha avuto inizio con un intervento di R. Marzotta, che ha focalizzato fin da subito l’argomento dell’incontro, chiedendosi come organizzare l’attività sociale e come trasferire certe gestioni pubbliche nelle mani di una diversa organizzazione della società.

L’idea alla base di questa impostazione interpretativa della sussidiarietà consiste nella presa di coscienza di una necessità: la necessità di far fronte, da un lato, ai vincoli al debito pubblico1 e, dall’altro, alla dinamica della curva demografica del mondo occidentale, che tende ad un aumento costante del tasso di invecchiamento della popolazione.

A partire da queste considerazioni, i relatori sembrano individuare un’unica via d’uscita: quella di una ritirata dello Stato, a fronte di un maggiore coinvolgimento e responsabilizzazione della società civile. Quest’ultima intesa sia come terzo settore e compagnia mutualistica, sia come cittadinanza attiva, sia, infine, come privato imprenditore. Verrà, tuttavia, sottolineata, nel corso del convegno, la necessità di fare attenzione ad una simile interpretazione della sussidiarietà. Nota, infatti, Jonny Dotti come il “più società” possa essere inteso in maniera individualistica ed egoistica, attraendo capitali che investono in servizi fondamentali per la società a solo fine lucrativo.

Tutti, comunque, sembrano concordare sulla necessità di far fronte anche a problemi di natura sociale e collettiva, la cui gestione veniva tradizionalmente affidata allo Stato, per il tramite di forme di sussidiarietà orizzontale. Questa viene, però, intesa come una sostituzione del pubblico con il privato, dello Stato con la Big Society 2. Invero, il vincolo di bilancio che sembra costringere ad una ineluttabile ritirata dello Stato in realtà lascia spazio ad alternative: al posto della mera supplenza è possibile forse introdurre un’integrazione regolamentata, una partnership positiva tra l’operatore pubblico e la società. Il tutto, fermo restando la necessità di ridurre la spesa pubblica aumentando l’efficienza dell’intervento.

Sussidiarietà: un’interpretazione su cui riflettere

Voce fuori dal coro il relatore Massimo Bordignon che, pur sposando la teoria di uno snellimento del settore pubblico, tuttavia evidenzia il rischio di “buttare il bambino, insieme all’acqua sporca”. Se, infatti, è vero che il pubblico deve necessariamente ridurre il debito e la spesa sociale, è altrettanto vero che anche dallo Stato può e deve venire quello stimolo alla crescita indispensabile per la sostenibilità del Paese. D’altro canto, il ruolo dello Stato quale regolatore dei mercati, garante dei diritti fondamentali e attore dei grandi investimenti sistemici non è delegabile alla società civile.

Dall’homo homini lupus all’homo homini frater

Fare più società, ricorda il Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, Giorgio Vittadini, deve partire da una spinta “di fede”, che muti l’interpretazione antropologica dell’uomo, quale si è tramandata da Hobbes e Smith, e muova verso un’idea positiva dell’umano come essere relazionale non egoista . Questo dovrebbe portare verso una maggiore fiducia nelle iniziative che provengono dal basso, dallo società civile appunto, e che possono essere foriere di idee creative ed energie civiche al servizio del bene comune.

1. Si tratta, in particolare, dei vincoli sanciti dal Patto di Stabilità e Crescita, i cosiddetti parametri di Maastricht, 1992.
2.Si veda Vittorino Ferla, Quello che non si dice sulla Big Society, www.labsus.org.
3. Per la versione integrale del resoconto del convegno si veda l’allegato.



ALLEGATI (1):