Bene comune, beni comuni, interesse generale

Bene comune o interesse generale, al centro c'è comunque sempre la persona e la sua dignità 

Una la fornisce Carlo Maria Cipolla in Uomini, tecniche, economie, quando afferma che “Le generazioni successive alla c.d. rivoluzione scientifica sono paragonabili ad un fanciullo che abbia scoperto il modo di aprire un forziere in cui sono conservate fortune immense che le passate generazioni non sapevano di possedere né erano in grado di utilizzare. A partire dalla prima modernità , diritto, tecnica ed economia si sono cosìalleate per costruire l’immaginario dell’antropocene, promuovendo a ‘scienza’ il godere (dissipandole) delle ricchezze contenute nel forziere (carbone, petrolio, gas, acqua dolce profonda), risorse naturali che non possiamo produrre e che non sono naturalmente riproducibili se non in milioni di anni” (cit. in Ugo Mattei, Beni comuni, Laterza, 211, XV).

I beni comuni secondo Carlo Donolo

 

A sua volta Carlo Donolo nel primo dei suoi editoriali su Labsus dedicati appunto ai beni comuni e pubblicato nel maggio 21 afferma che: “… i beni comuni sono centrali per ogni processo sostenibile, per lo sviluppo locale, per la coesione sociale, per i processi di capacitazione individuale e collettiva … la stessa sussidiarietà  è in primo luogo capacitazione al governo di beni comuni”. Continua Donolo: “…nelle nostre società  si afferma una tendenza quasi violenta nel trasformare tutto quanto è pubblico, comune, condiviso, in bene appropriato, privatizzato. Per ragioni che sono legate sia ai processi di accumulazione su scala globale, sia alla particolare configurazione dell’individuo ipermoderno, fondamentalmente utilitarista ed acquisitivo”. Ma “le società  per persistere nel tempo e non sfaldarsi rapidamente in modo entropico hanno bisogno di un legante condiviso, per quanto minimale, variamente identificato nelle varie dottrine. Ma sempre con riferimento a un elemento di condivisione, comunanza, compartecipazione. Nelle società  in cui il soggetto individuale si è emancipato non solo da molti legami sociali pregressi e spesso obsoleti, ma anche in generale dall’idea che ci sia qualcosa che lo leghi al destino degli altri, è diventato molto più difficile identificare il fattore aggregante e il collante”.

Donolo approfondisce la sua analisi definendo i beni comuni come “un insieme di beni necessariamente condivisi. Sono beni in quanto permettono il dispiegarsi della vita sociale, la soluzione di problemi collettivi, la sussistenza dell’uomo nel suo rapporto con gli ecosistemi di cui è parte. Sono condivisi in quanto … essi stanno meglio e forniscono le loro migliori qualità  quando siano trattati e quindi anche governati e regolati come beni ‘in comune’, a tutti accessibili almeno in via di principio.

Sono condivisi anche in un senso più forte, in quanto solo la loro condivisione ne garantisce la riproduzione allargata nel tempo, e almeno per un nucleo più duro di beni comuni ‘essenziali’, se non condivisi la vita sociale diventa insostenibile fino a un punto di catastrofe. La rilevanza dell’aggettivo ‘comune’ viene enfatizzata dal dato di fatto che i processi dominanti oggi a livello locale e globale sono invece centrati su appropriazione, privatizzazione e sottrazione alla fruizione condivisa di tantissimi di questi beni. Da qui l’inevitabile conflitto sullo statuto dei beni comuni, un tema questo che – tanto per capirci – ha oggi lo stesso rilievo che potevano avere a metà  Ottocento la lotta di classe e il socialismo”.

… e secondo Ugo Mattei

 

Infine Ugo Mattei, nel suo recente saggio sui beni comuni, afferma che il problema principale oggi per chi abbia a cuore i beni comuni è rappresentato “dall’assetto istituzionale fondamentale del potere globale oggi dominante: la tenaglia fra la proprietà  privata, che legittima i comportamenti più brutali della moderna corporation, e la sovranità  statuale che instancabilmente collabora con la prima per creare sempre nuove occasioni di mercificazione e privatizzazione dei beni comuni”. E’ indispensabile e urgente, secondo Mattei “…creare la consapevolezza pubblica della drammatica necessità  di ricostruire le nostre istituzioni in modo coerente con la necessità  di conservare e promuovere i beni comuni, mostrando innanzitutto la profonda rivoluzione culturale che ciò richiede”.

Di qui “l’importanza teorica e pratica dell’elaborazione tecnico-giuridica di una nozione di beni comuni come istituto diverso, alternativo rispetto al dominio sia privato sia pubblico, ma assolutamente necessario per il riequilibrio dei rapporti fra questi due”.

La creazione non è finita

 

Ma ci può essere un’altra risposta ancora alla domanda “perché dobbiamo prenderci cura dei beni comuni”, una risposta che questa volta viene da un teologo, il gesuita Teilhard de Chardin.

Nella concezione di Teilhard la creazione non è compiuta, conclusa in un atto iniziale definitivo posto nel passato. La creazione è piuttosto continua, da completare, proiettata verso il futuro: la sua perfezione non risiede all’origine, quanto piuttosto alla fine dei tempi. In questa prospettiva, prendendoci cura dei beni comuni è come se stessimo partecipando alla creazione, completandola e sviluppandola. Insomma, la creazione non è finita, è un discorso che prosegue e noi, attraverso la cura dei beni comuni, possiamo essere parte attiva di questo processo.

Interesse generale e bene comune

 

Fin dall’inizio della nostra attività  abbiamo tradotto l’espressione “interesse generale” contenuta nell’art. 118, ultimo comma della Costituzione facendo riferimento proprio ai beni comuni. Dove la Costituzione afferma che i soggetti pubblici devono favorire “le autonome iniziative dei cittadini per lo svolgimento di attività  di interesse generale” noi diciamo infatti che, concretamente, quelle attività  di interesse generale consistono nella produzione, cura e sviluppo dei beni comuni. E in questi anni abbiamo pubblicato decine di casi che mostrano come i cittadini possano e sappiano prendersi cura dei beni comuni presenti sul proprio territorio.

Ma, supponendo che sia corretto tradurre l’espressione “interesse generale” usata dalla Costituzione con “cura dei beni comuni”, sarebbe altrettanto corretto tradurre nello stesso modo il concetto di “bene comune”? E dunque affermare che la cura dei beni comuni è uno dei modi con cui si può perseguire il “bene comune”?

Bene comune e beni comuni sono evidentemente concetti diversi, se non altro perché quello di bene comune è un concetto astratto, che in quanto tale non può essere oggetto di diritti, mentre i beni comuni, sia materiali sia immateriali, come s’è visto in un precedente editoriale possono invece essere oggetto di diritti.

Cos’è il “bene comune”?

 

Ovviamente di bene comune si possono dare diverse definizioni, ma ci sembra particolarmente significativa quella della Costituzione conciliare Gaudium et Spes (non a caso fortemente permeata del pensiero di Teilhard de Chardin) secondo la quale il bene comune è “l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente”.

In una prospettiva laica si può notare una certa assonanza fra questa definizione di bene comune e la formula utilizzata dalla Costituzione all’art. 3, 2 ° comma, laddove afferma che “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che … impediscono il pieno sviluppo della persona umana…”.

Certamente, perfezione e pieno sviluppo non sono la stessa cosa, né potrebbero esserlo considerata la diversità  delle prospettive in cui si pongono i due testi, ma ciò che conta in questa sede è che questo parallelismo consente di individuare il punto di contatto fra bene comune e interesse generale.

La Costituzione conciliare afferma che perseguire il bene comune significa, in positivo, creare “le condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente”, mentre la Costituzione della Repubblica afferma che le istituzioni devono rimuovere “gli ostacoli di ordine economico e sociale che … impediscono il pieno sviluppo della persona umana…”. Sia pure con diverse prospettive, entrambe le disposizioni mirano al raggiungimento di un obiettivo che è la pienezza della persona, lo sviluppo dei suoi talenti, l’affermazione della sua dignità  come individuo unico e irripetibile. E questo, se da un lato coincide con la definizione conciliare di bene comune, al tempo stesso è nell’interesse generale anche dal punto di vista costituzionale.

“Dietro” i  beni comuni ci sono le persone

 

Il pieno sviluppo della persona non è infatti un obiettivo “egoistico”, cosìcome non lo è l’obiettivo di cui all’art. 32 Costituzione di garantire a tutti la salute considerata non soltanto un “fondamentale diritto dell’individuo” ma anche un “interesse della collettività “. Infatti, cosìcome è nell’interesse generale vivere in una comunità  di persone in buona salute, altrettanto lo è consentire a tutti di poter sviluppare pienamente le proprie capacità  (“raggiungere la propria perfezione”, secondo la definizione di bene comune data dal Concilio), in quanto una comunità  di persone pienamente realizzate è una comunità  in cui tutti vivono meglio.

Se al centro del concetto di interesse generale, cosìcome di bene comune, c’è la persona, la sua dignità , le sue capacitazioni, non c’è dubbio che la cura dei beni comuni realizzata dai volontari e dai cittadini attivi abbia come obiettivo proprio la realizzazione dell’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono alle persone di realizzare il proprio pieno sviluppo. Poiché dalla qualità  dei beni comuni dipende la qualità  della vita delle persone, è come se “dietro” i beni comuni ci fossimo tutti noi.

Pertanto, riprendendo la domanda posta all’inizio, è corretto affermare che la cura dei beni comuni è uno dei modi con cui si può perseguire il “bene comune” (oltre che evidentemente l’interesse generale, secondo quanto disposto dalla Costituzione) e che dunque i volontari ed i cittadini attivi che si prendono cura dei beni comuni contribuiscono alla costruzione del bene comune. Esso, in quanto insieme di condizioni della vita sociale che consentono alle persone di realizzare il proprio pieno sviluppo, dipende infatti in gran parte proprio dalla produzione, cura e sviluppo dei beni comuni, materiali e immateriali.

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