Una rivista per un carcere più trasparente

Non solo un'attività  ricreativa, ma un percorso di responsabilizzazione e di rieducazione

Poter scrivere di sè, della propria vita e delle proprie esperienze, ma anche riflettere su argomenti di cronaca o affrontare questioni di cultura generale, è per chi vive in un carcere, un’opportunità  per assottigliare quelle pareti che lo separano dalla società , relegandolo ad una realtà  a sé stante, sconosciuta al resto del mondo.

E’ ciò che hanno pensato alcuni detenuti della terza Casa Circondariale di Rebibbia, giovani con pena inferiore ai sei anni: verso la fine del 21 hanno manifestato la volontà  di intraprendere un progetto per la nascita di una rivista, nella quale esprimere i propri pensieri e rendere partecipi le altre persone del processo di rieducazione all’interno del carcere.  

Coadiuvati dal referente Roberto De Filippis,  essi hanno inizialmente dato vita ad un prototipo di rivista, composto da sei pagine e impaginato con i programmi a disposizione sui computer del carcere. Ma, colpiti dalla tenacia e dalla perseveranza di questo gruppo di reclusi, la direzione e l’area educativa di Rebibbia hanno deciso di dare alla neo-rivista una reale prospettiva di diffusione.

Il 4 agosto 211, per realizzare il progetto “Beccati a scrivere”, è nata l’associazione Express onlus, fondata da Claudia Farallo,  Flavia Salomone e Luca Testuzza, e alla fine, dopo più di un anno di lavoro di gruppo dalla nascita dell’idea, i giovani della terza Casa hanno raggiunto l’obiettivo: “Beccati a scrivere” è un semestrale di trentadue pagine che, stampato in millecinquecento copie, viene distribuito non solo a Rebibbia, ma anche negli altri istituti penitenziari del Lazio e nel territorio della città  di Roma, presso biblioteche, università  o sedi di associazioni. Anche i singoli e gli enti interessati possono richiederlo scrivendo a beccati@expressonlus.it.

Come tiene a precisare la direttrice Claudia Farallo, la realizzazione del progetto è frutto interamente della volontà  e dell’autorganizzazione dei detenuti che, servendosi degli aiuti della Express onlus e dei pareri di medici e psicologi, acquistano competenze tecniche e approfondiscono argomenti che li riguardavano da vicino, come la tossicodipendenza e la devianza, per poi scriverne su carta. La loro libertà  nell’esprimersi, afferma Farallo, è massima, ma ancora più positiva è la condivisione di gruppo: questi giovani, lavorando e riflettendo insieme, prendono coscienza del valore della partecipazione e della collaborazione, maturando nuove idee dal dialogo.

Al primo numero di “Beccati a scrivere” hanno partecipato più di dieci reclusi, alcuni dei quali sono già  usciti dal carcere; ma nuovi inserimenti fanno sìche la redazione sia sempre viva di stimoli.

Scrivere è per i giovani detenuti, oltre che un’attività  ricreativa, anche un processo formativo ed educativo, con il quale imparano la responsabilizzazione.

 Da Daniela De Robert, presidente di Volontari in carcere (VIC), nonchè giornalista, scrittrice e membro del Direttivo di Labsus, viene la denuncia dei carceri italiani: piuttosto che favorire la crescita e la presa di coscienza dei detenuti , questi sono il luogo della massima deresponsabilizzazione. Il sovraffollamento e la mancanza di personale, solo due tra i tanti problemi che riguardano gli istituti penitenziari italiani, generano condizioni di vita pessime, costringendo i reclusi a rimanere chiusi in cella, a volte, fino a ventidue ore al giorno.

Dov’è il percorso trattamentale e la rieducazione, fine principale cui le carceri devono tendere e che la stessa Costituzione italiana delinea?

Un’iniziativa come quella di “Beccati a scrivere” non può che essere positiva ed è senz’altro fondamentale per rendere più trasparenti i carceri; una rivista che circola non solo tra i reclusi stessi, ma anche nel resto della società , offre un duplice vantaggio: sia per i cittadini all’interno del carcere, che acquistano responsabilità  e si arricchiscono con la socializzazione, sia per quelli all’esterno, che apprendono una realtà  sconosciuta.  

La nostra società , sostiene Daniela De Robert, è piena di barriere mentali che le impediscono di ascoltare le parole dei detenuti: il pregiudizio è molto forte e perdura anche dopo che è stata scontata la pena. All’uscita dal carcere, infatti, non si viene considerati come cittadini liberi, ma sempre come ex-detenuti.  

Eppure dover pagare una pena non significa dover essere relegati ad un livello inferiore di cittadinanza. Gli scrittori di “Beccati a scrivere” ne hanno coscienza e si impegnano per aprire quel dialogo bloccato dalla chiusura mentale.