Legittimazione processuale e parità  di genere

La legittimazione ad agire è un nucleo definitorio spettante principalmente all ' attività  del giudice, salvo casi specifici di legge

 


La sentenza

Propone ricorso – dinanzi al Consiglio di Stato – la Regione Campania per la riforma della sentenza del Tar Campania, Napoli, sez. I, n. 1985/2011, avente ad oggetto ” nomina della Giunta regionale ” .
Il giudice di prime cure aveva infatti accolto il ricorso con il quale la ricorrente, in qualità  di aspirante all’incarico di assessore in quota femminile, impugnava il decreto del Presidente della Giunta regionale n. 106 del 19 maggio 2010, lamentando una violazione del principio di parità  di genere sancito, oltretutto, nello stesso Statuto regionale (art. 46, co. 3). Il tribunale regionale annullava cosìl’atto impugnato nella parte in cui si prevedeva, a seguito delle dimissioni di uno degli assessori, la sostituzione del dimissionario con un altro membro di sesso maschile, lasciando inalterato il già  evidente squilibrio tra i sessi nella composizione della Giunta regionale campana.
La parte appellante al Consiglio di Stato contesta la decisione del Tar sotto vari profili: quello della natura politica, discrezionale e fiduciaria dell’atto di nomina dei componenti della Giunta regionale; quello dell’erronea interpretazione dell’art. 46, comma 3, dello Statuto della Regione Campania; e, infine, quello della sussistenza della legittimazione attiva della ricorrente.
Il giudice, con ampia argomentazione, respinge i primi due motivi d’appello ed elabora una disamina altrettanto articolata per giungere anche al riconoscimento della legittimazione attiva della ricorrente, rigettando cosìanche il terzo motivo di ricorso.
Secondo quanto espresso nella pronuncia, infatti, il Consiglio di Stato attribuisce alla ricorrente una posizione sostanziale differenziata e meritevole di tutela, e coglie occasione per ribadire come la legittimazione a ricorrere sia ” un concetto la cui enucleazione compete esclusivamente al giudice, salvi, ovviamente, i casi specifici, ma rari, ove il legislatore interviene ” .

Il commento

Ritorna centrale e controverso, all’attenzione della giurisprudenza italiana, il tema della legittimazione ad agire e del suo riconoscimento come attività  principalmente ermeneutica del giudice.
Nel caso di specie, si riconosce, in capo alla ricorrente, una posizione sostanziale e differenziata, operando essa unicamente a tutela del proprio interesse personale a poter concorrere alla nomina ad assessore regionale in quota femminile, e non, piuttosto, come portatrice esponenziale dell’interesse diffuso dei cittadini di sesso femminile. Si ravvisa, in sintesi, un titolo di legittimazione ad agire in giudizio pertinente alla sola ricorrente che, dotata di titoli oggettivamente equiparabili al candidato scelto come assessore con il decreto annullato in primo grado, deposita il suo curriculum al fine specifico di ottenere una valutazione circa la sua candidatura ad assessore regionale. Se, però, ordinariamente, tale circostanza non costituirebbe un titolo di legittimazione ad impugnare la scelta discrezionale di nomina della Giunta regionale, nel caso specifico lo diventa, essendo previsto dallo Statuto della Regione Campania un vincolo distinto e stringente a tale scelta discrezionale, vincolo che consiste nel garantire un’equilibrata presenza di donne e uomini tra i componenti della Giunta. Un equilibrio palesemente non riscontrabile in una Collegio composto da undici uomini e una sola donna. Si promuove, dunque, proprio attraverso lo strumento giuridico della legittimazione processuale, la tutela di un diritto fondamentale e di dignità  costituzionale, come la parità  di genere; principio di civiltà  avanzata riportato, nel caso di specie, in fase applicativa.
A sostegno della sua argomentazione, il Consiglio di Stato coglie occasione per riaffermare, sulla scia di una posizione giurisprudenziale sempre più consolidata (si veda, in via esemplificativa, la sentenza del Cons. St., Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4), che il concetto della legittimazione ad agire non è predeterminato dal legislatore ma è, ed è stato quasi sempre, un nucleo definitorio spettante principalmente all’attività  del giudice. Tale attività  avviene senz’altro sulla scorta di dati normativi e di argomentazioni giuridiche che trovano sempre più spesso giustificazione sul piano delle tutele di situazioni giuridiche soggettive particolarmente rilevanti nel nostro ordinamento. Immediato e naturale è qui il rimando a tutta l’evoluzione della giurisprudenza amministrativa in punto di tutela di interessi diffusi e collettivi.
Si assiste, infatti, ad una tendenza crescente a rendere giustiziabili posizioni giuridiche sempre più standardizzate e sempre meno connotate di ” individualismo ” , ampliando i confini dell’azione processuale ad una pluralità  di soggetti ora accomunati da una uguale situazione di danno, ora identificati dall’appartenenza ad un particolare contesto ambientale o fisico-spaziale (es. il genere, come nel caso in esame).
Alla base di questa tendenza propulsiva, è ormai noto come, con forza pregnante, vi sia il principio della sussidiarietà  orizzontale, costituzionalizzato dall’art. 118, co. 4, Cost. e che viene sempre più spesso richiamato come criterio di riconoscimento della legittimazione ad agire per la tutela di interessi superindividuali. Sussidiarietà  orizzontale e legittimazione attiva, sembrano ormai due aspetti irrimediabilmente connessi e imprescindibili l’uno dall’altro. Se da un lato, infatti, la piena valorizzazione del principio di sussidiarietà  (e, cioè, la compartecipazione di cittadini attivi e autonomi nella realizzazione di attività  di interesse pubblico) impone che esso debba trovare applicazione anche in sede processuale per garantire ai soggetti la reale possibilità  di sindacare la funzione amministrativa, d’altro lato, anche il principio di legittimazione processuale, per trovare la sua concreta estensione ad un numero sempre maggiore di soggetti, deve appellarsi ad un altro principio che, per la sua portata espansiva, non può che essere ” vaso dilatatore ” di interessi azionabili in sede processuale.
In sintesi, come sostenuto dallo stesso giudice, sembra che si stia dando voce ad un vero e proprio ” linguaggio universale degli interessi ” sempre più ampio e in cui possa riconoscersi una molteplicità  sempre più eterogenea di soggetti.

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