Luca D’Eusebio, di Zappata romana, in apertura del convegno ricorda che ” la sperimentazione innovativa di tali cittadini, in operazioni che creano collettività all’interno delle aree urbane, è importante perché sta muovendo sempre più frequentemente le istituzioni ” .
Gli spazi nei quali avvengono tali azioni costituiscono un modello non alternativo, ma senz’altro parallelo a ciò che la città rappresenta nella quotidianità per tutti noi. Luoghi in cui si mettono in atto pratiche che rendono la città più aperta e resiliente che, però, sono ancora dei frammenti in un territorio più ampio.
Secondo Andrea Ferraretto, economista e blogger de La Stampa ” siamo troppo abituati a pensare che le città debbano essere vigilate e che ci debba essere sempre qualcuno a dirci cosa fare. Se riuscissimo ad immaginare un futuro in cui a questa idea si sostituisca quella di città condivisa, in cui ognuno si prende carico della responsabilità di tutelare e manutenere il bene nel quale viviamo, forse qualcosa cambierebbe nella nostra società e si inizierebbe a riconoscere il valore del bene comune ” che, insieme alla condivisione e alla partecipazione, sembra essere il coefficiente che meglio rappresenta il grado evolutivo di una società .
Da questo punto di vista la mappa tracciata da Zappata Romana è una testimonianza di ciò che, autonomamente e all’interno della città , si muove in questa direzione. Durante il convegno si susseguono cosìle storie di chi, in diversi contesti, lavora su queste tematiche.
Riprendersi la città , ma anche la periferia
” Riprendiamoci la nostra città ” è il motto di Retake Roma, movimento spontaneo di cittadini che elimina la linea di demarcazione tra il proprio spazio privato e lo spazio pubblico (non più di nessuno, ma di tutti), ripulendo la città dal degrado e restituendola a coloro che la fruiscono, come l’azione multietnica svolta nei dintorni del mercato rionale del quartiere Esquilino di Roma o quella nel rione Monti.
Altro esempio di mobilitazione civica è rappresentato dal gruppo Renzo Piano G124, piccolo gruppo di architetti che mette in pratica micro interventi, nell’ambito di una visione generale di trasformazione e rigenerazione delle periferie, come l’intervento di accessibilità di una zona del difficile quartiere Librino, a Catania.
Grandi frutteti e piccoli orti botanici
La creatrice del progetto Frutta urbana, Michela Pasquali, pensa alla città come un grande frutteto diffuso. A dispetto dei numerosi pregiudizi, l’analisi chimica della frutta raccolta in zone trafficate di Roma dimostra che non solo non è inquinata, ma è addirittura biologica.
Primo progetto italiano di mappatura, raccolta e distribuzione gratuita della frutta che cresce nei parchi e nei giardini di città , Frutta urbana è un modello per un’alimentazione corretta, un esperimento sociale per la condivisione dello spazio pubblico e una ricchezza ambientale per la biodiversità .
Nel parco nazionale del Cilento, nella piazza del Municipio di Sapri, con il progetto Tint’orto si è realizzato un piccolo orto botanico in cui si coltivano piante tintorie, legando la ripresa della tradizione culturale della tintura di tessuti e intonaci alla gestione delle risorse naturali.
Biodiversità urbana e ruralità , per una nuova stagione di pianificazione
Il caso di Alveari urbani nasce dalla necessità di salvaguardare la biodiversità urbana, in particolare quella delle api. Il ripensamento strutturale delle arnie, fissate su alti pali istallati nei parchi pubblici, consente la loro fruizione nella zona adiacente alla stazione Garibaldi di Milano.
Una zona riservata all’apicoltura anche nell’VIII Municipio di Roma, dove Orti urbani Tre Fontane coniuga obiettivi produttivi e didattici in 6mila metri quadri di spazio pubblico, bonificato in pochi mesi e suddiviso in lotti di coltivazioni condivise.
Riflessioni sulla nuova stagione di pianificazione anche nella ricerca sull’evoluzione del movimento di urban gardening della Scuola Superiore di Pisa. Da Roma alla città belga di Gand, capitale dell’antica contea delle Fiandre, ” la coltivazione in città passava dall’essere una misura proveniente dall’alto, per soddisfare bisogni economici ove richiesto, a movimento spontaneo dal basso in opposizione alle strategie di pianificazione ufficiale e formale, che riducevano lo spazio pubblico e la possibilità di aggregazione ” .
Oggi, piuttosto, siamo di fronte ad un modello ibrido, in cui i cittadini diventano attori propositori, arrivando a coinvolgere i pianificatori, dunque, l’amministrazione.
Le città , motori dinamici del cambiamento, generano nuovi stili di vita, spesso pulsioni anti urbane. All’interno di questo discorso, nasce Rural hub, che mette in connessione persone, idee e progetti d’innovazione sociale applicati al tema della ruralità .
Il progetto si focalizza su modelli di produzione e distribuzione del cibo e percorsi imprenditoriali che si affacciano al mondo dell’agroalimentare con appiglio innovativo, con il fine di ridisegnare nuovi modelli di business sostenibile.
Presente al convegno anche l’Università Luiss, con il progetto #OrtoLuiss.
Esempi di gestione ottimale delle risorse, esperienze che amalgamano spessore culturale, dimensione artistica e sviluppo sostenibile. Ciò che emerge dal convegno è quanto l’individuo faccia la differenza, compiendo azioni che danno voce ad una ricchezza altrimenti inespressa. Non più passivo, è l’individuo stesso ad innescare processi partecipativi di innovazione democratica, spezzando il monopolio della gestione dei beni comuni e riappropriandosi di spazi urbani fondamentali per la qualità della propria vita.
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