Abbiamo parlato con lui di questa bellezza diffusa che potrebbe riscattare la città , delle sue esperienze, della passione che lo ha portato ad uscire dal garage per mettere i suoi attrezzi in uno zaino e iniziare a condividere il suo talento con la collettività . Ma anche di quello che ancora manca, perché gli artisti possano davvero avere un ruolo attivo nella rinascita di Roma.
Sei uno studente del Liceo Artistico, quindi deve essere stato abbastanza normale, per te, esprimerti attraverso la scultura. Invece, come nasce l’idea di usare proprio dei tronchi abbandonati?
” E’ stata un’idea del tutto casuale. Ero in garage, avevo finito il legno che utilizzo di solito ed è stato immediato pensare di scolpire un tronco che era proprio lì, accanto a me. Finire il materiale è stato uno stimolo ad uscire dallo studio per iniziare una vera e propria ricerca. Al di là dell’indirizzo figurativo che seguo come percorso formativo, ho scelto il legno perché avevo già degli attrezzi e mi interessava intraprendere questa sperimentazione, mettermi alla prova in qualche modo. Ho sempre preso dei pezzi di scarto, risultati di potature, per provare a dare un senso nuovo attraverso il riuso creativo”.
Una forma di street art che questa volta non riguarda i murales…
“Era inevitabile trovarsi a cercare la materia prima per strada. Devo dire che per la prima volta, attraverso quello che faccio, sono riuscito a sentire un contatto forte con le persone ed è quello che maggiormente mi ha colpito”.
Perché hai deciso di scolpire dei volti?
” E’ la cosa che più mi piace realizzare. Poi, credo sia il tipo di intervento estetico più adatto alle situazioni che vivo io. Immagino che ogni volto possa incarnare l’anima ferita di questi tronchi e, di conseguenza, anche di questa città “.
Come scegli i luoghi dei tuoi interventi?
“Impiego molto tempo a completare un’opera, dato che richiede grande fatica e tanto impegno, voglio che quello che faccio sia visto dal maggior numero di persone possibile, altrimenti sarei rimasto chiuso nel mio garage. Per cui opto quasi sempre per zone abbastanza centrali. Soprattutto, però, il posto dipende dal tronco che trovo, deve essere in buone condizioni, grande e lavorabile. Fino ad ora sono stato a Monteverde, Trastevere, Testaccio, Garbatella, Aventino e tantissimi altri luoghi”.
La ricerca del tronco perfetto ti porta a girare molto Roma, a muoverti da un quartiere all’altro, che sensazioni provi a vivere questo contatto?
“Nel momento in cui mi lancio alla scoperta dei tronchi, è come se mi sintonizzassi con il respiro della città . Poi, ad un certo punto, mi fermo per scolpire e tutto l’affanno precedente lascia il posto ad un momento di completa tranquillità e concentrazione, una sorta di catarsi, divento un tutt’uno con l’ambiente circostante”.
Credi che Roma abbia bisogno di questi gesti di estrema bellezza per risollevarsi un po’?
“Assolutamente. Anche se, dal mio punto di vista, la situazione non è cosìcritica come viene descritta. Il degrado e il disagio sono stati estremizzati negli ultimi tempi. Sicuramente c’era e non se ne parlava abbastanza e oggi c’è allo stesso modo, con la differenza che sembra essere l’unica caratteristica della città . Penso che Roma viva le stesse difficoltà di molte altre città italiane, né più, né meno: i problemi esistono e sono innegabili. Per questo bisogna puntare su una redenzione estetica, eppure, essendo realista, non credo che basti la bellezza a salvare Roma ».
Cosa servirebbe maggiormente secondo te?
“Ci sarebbe bisogno di un’imprenditoria lungimirante, di investimenti ragionati e mirati, un sistema di start up che riconosca le priorità e dia valore anche all’arte. Solo con un murale o con una scultura fatta da un singolo, non si va molto lontano; serve un sostegno concreto agli artisti, la capacità di riconoscere questo potenziale importante all’interno della società . Le incursioni creative possono arrivare a migliorare la città , a contestualizzarla, a restituirle un’anima e un senso, ma vanno strutturate e supportate. Se Roma si facesse portatrice di questa innovazione, vivrebbe un cambio totale di immagine, potrebbe essere riscattata dalle etichette di mafia, corruzione e attici dei cardinali”.
Le tue sculture ormai sono un bene comune, sono condivise con la cittadinanza e contribuiscono a valorizzare i luoghi in cui restano. Come vivi questo interesse e questi momenti di partecipazione?
“Sono contento che siano sempre ben accolte. Il mio non è mai un aggiungere al contesto o un tentativo di forzarlo, è sempre un togliere: sottraggo questi tronchi tagliati all’abbandono e ridò loro vita. Alla fine è un tipo di estetica abbastanza tradizionale, che può essere apprezzata da tutti e si inserisce molto bene in ogni ambiente, da quello rinascimentale, a quello della periferia. Mi sento soddisfatto di aver creato curiosità e di contribuire alla diffusione dell’arte, facendolo in un modo del tutto naturale e rispettoso sia del contesto, sia di chi lo abita”.
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