L'agenda europea per l'economia collaborativa

Secondo la Commissione, “l’espressione ‘economia collaborativa’ si riferisce ai modelli imprenditoriali in cui le attività  sono facilitate da piattaforme di collaborazione che creano un mercato aperto per l’uso temporaneo di beni o servizi spesso forniti da privati. L’economia collaborativa coinvolge tre categorie di soggetti: i) i prestatori di servizi che condividono beni, risorse, tempo e/o competenze e possono essere sia privati che offrono servizi su base occasionale (“pari”) sia prestatori di servizi nell’ambito della loro capacità  professionale (“prestatori di servizi professionali”); ii) gli utenti di tali servizi; e iii) gli intermediari che mettono in comunicazione — attraverso una piattaforma online — i prestatori e utenti e che agevolano le transazioni tra di essi (“piattaforme di collaborazione”). Le transazioni dell’economia collaborativa generalmente non comportano un trasferimento di proprietà  e possono essere effettuate a scopo di lucro o senza scopo di lucro ” .

Con ricavi totali lordi che si attestano intorno a 28 miliardi di euro nel 2015 nella sola Unione europea e con una crescita stimata fino a 572 miliardi di euro, la sharing economy resta un fenomeno controverso che ha reso necessario l’intervento della Commissione.

Una delle questioni più dibattute è l’accesso al mercato, che rinvia ad un nuovo modello imprenditoriale nei confronti del quale la normativa vigente rischia di apparire inadeguata.   ” Una specificità  dell’economia collaborativa – afferma la Commissione è che i prestatori di servizi sono spesso privati che offrono beni o servizi su base occasionale e “tra pari” (peer-to-peer) ” . Una questione fondamentale diventa quella di distinguere tra i prestatori di servizi professionali e i prestatori tra pari, con riferimento alla necessità  o meno di richiedere licenze o autorizzazioni.

Diverso ancora è il discorso per le piattaforme che si pongono come intermediari tra i prestatori di servizi e gli utenti finali. ” Se — e in quale misura — le piattaforme di collaborazione possono essere soggette ai requisiti di accesso al mercato dipende dalla natura delle loro attività  ” . Possono infatti limitarsi a fare da intermediari oppure fornire a loro volta servizi sia agli utenti che agli intermediari.

La tutela degli utenti, la differenza tra lavoratore autonomo e subordinato, la fiscalità  sono solo altre delle questioni sollevate dalla sharing economy nei confronti delle quali la Commissione sembra tenere un atteggiamento di apertura. ” In considerazione dei notevoli vantaggi che possono derivare dai nuovi modelli imprenditoriali dell’economia collaborativa, l’Europa dovrebbe essere pronta ad accogliere queste nuove opportunità . L’UE dovrebbe sostenere in modo proattivo l’innovazione, la competitività  e le opportunità  di crescita offerte dalla modernizzazione dell’economia. Al tempo stesso è importante garantire condizioni di lavoro eque e una protezione sociale e del consumatore adeguata e sostenibile ” .

Non mancano i dubbi sul fatto che la sharing economy non si avvii a diventare un altro modello di business in cui le piattaforme non si limiteranno a fornire l’infrastruttura digitale, ma agiranno come veri e propri imprenditori.

Ciò che resta interessante è che dietro questo fenomeno si intravede un mutamento culturale di lungo periodo, più volte segnalato dalla letteratura a partire dalla fine degli anni novanta (basti pensare all’era dell’accesso di Rifkin), che ridefinisce i modelli imprenditoriali conosciuti, ma anche le modalità  di fruizione dei beni. E’ una rivoluzione culturale dalle implicazioni interessanti e degne di essere monitorate con attenzione negli anni a venire.

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