In questo modo, lo Stato – ha spiegato infatti il Ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina: ” risponde in maniera netta e unita contro il caporalato con questa nuova legge attesa da almeno cinque anni ” . Ora, ” abbiamo uno strumento in più per continuare una battaglia che deve essere quotidiana. Sulla dignità delle persone non si tratta, dunque, dobbiamo lavorare uniti per non avere mai più schiavi nei campi” ha aggiunto.
Chi è un caporale?
Ma chi è un caporale? Si intende chiunque svolga un’attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera. Di più. Si fa riferimento a colui che organizza un’attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento. Usando la violenza e la minaccia, comunque approfittando dello stato di necessità dei lavoratori. La definizione, oltre che nel dizionario, era già presente nel codice penale. A cambiare, con l’approvazione del disegno di legge costituito da dodici articoli, sono soprattutto una serie di previsioni previste dal codice penale. Così, è riformulato il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, già inserito all’art. 603 -bis c.p. Si introduce una nuova fattispecie punita con la reclusione da uno a sei anni. Non solo. Si allarga il campo d’azione penale. Ora si prescinde dal comportamento violento o minaccioso.
La novità più significativa, tuttavia, è prevista nello stesso articolo iniziale: laddove si prevede la sanzione anche per il datore di lavoro che ” utilizza, assume o impiega manodopera reclutata mediante l’attività di intermediazione, ovvero sfruttando i lavoratori ed approfittando del loro stato di bisogno. Quindi la nuova norma è una sorta di dispositivo sanzionatorio dello sfruttamento.
Ma forse definirla legge contro il caporalato nelle intenzioni governative può aiutare a circoscrivere il fenomeno. A rassicurare, quindi. Almeno a giudicare da quanto prevede sempre il nuovo articolo 603-bis. L’elenco, cioè, degli indici di sfruttamento dei lavoratori. Rispetto a quanto già previsto dal codice, si aggiungono, rafforzandone le sanzioni, le violazioni in materia di orario, riposi e ferie, oltre che quelle relative alle retribuzioni e all’igiene dei luoghi di lavoro. Fin qui le note quasi totalmente positive.
Una filiera ancora sporca
Soddisfazione a metà è stata espressa dai diversi soggetti che hanno promosso due diverse campagne per spingere il Governo verso l’approvazione della legge. FilieraSporca, promossa dall’associazione ambientalista Terra Onlus e dall’associazione antimafia daSud, nata con l’obiettivo di ” ricostruire il percorso dei prodotti agroalimentari dal campo allo scaffale del supermercato ” a cui hanno aderito, tra le altre organizzazioni, Amnesty International, Medici Senza Frontiere, la Flai CGIL e le associazioni A buon diritto e Asgi, l‘associazione per gli studi giuridici sulle migrazioni. E’ un punto di partenza importante per sradicare lo sfruttamento in agricoltura – secondo Fabio Ciconte, giornalista e portavoce di #filierasporca tuttavia: ” all’azione meramente repressiva è necessario affiancare quanto prima una legislazione basata sulla prevenzione, e dunque sulla trasparenza della filiera ” ha aggiunto.
La campagna ” Stop al Caporalato, coltiviamo la legalità ” lanciata dall’associazione Progressi lo scorso luglio, e alla quale hanno aderito associazioni come Legambiente, Cittadinanza Attiva, LavoroWelfare e il Cir ( Consiglio Italiano Rifugiati), aveva chiesto, attraverso una petizione al Parlamento, di ridimensionare l’uso del voucher, limitandolo esclusivamente alla remunerazione del lavoro occasionale. Inoltre, il rilancio della ” Rete del Lavoro Agricolo di Qualità “. Anche qui, si registra una soddisfazione a metà . Dato che i voucher continueranno a costituire, e forse sempre di più, uno dei principali strumenti contrattuali utilizzati nel mondo – o meglio – mercato, del lavoro. Mentre per ciò che riguarda – nota positiva – il lavoro agricolo di qualità , esso si rafforza, si estende cioè la rete dei soggetti che ne fanno parte (sportelli unici per l’immigrazione, istituzioni locali, centri per l’impiego, soggetti abilitati al trasporto dei lavoratori agricoli) al fine di introdurre ” nuove vie sperimentali e concertative di intermediazione del lavoro agricolo ” affinché, dunque ” si promuova la legalità e il rispetto dei diritti dei lavoratori ” – secondo Cesare Damiano, già presidente della Commissione Lavoro della Camera: ” si tratta di una felice convergenza tra iniziativa parlamentare e partecipazione dal basso per aggredire una pratica odiosa, quella del caporalato, che continua a provocare sofferenze e sfruttamento di lavoratori italiani e migranti ” .
Ghetto Italia
Già , perché, e qui terminano le note positive della questione, esiste ancora una Ghetto Italia, parafrasando il titolo del romanzo nero pubblicato di recente da Fandango che racconta la filiera dello sfruttamento esistente nelle campagne, da Nord a Sud. Dalla Puglia al Piemonte, dalla Lucania, al Lazio e alla Campania, il libro – al confine tra un saggio di sociologia e un’ inchiesta giornalistica, diventato in pochi mesi già un piccolo best – seller – è un viaggio nei luoghi di residenza stagionale dei braccianti stranieri, lungo i ghetti a pagamento, baracche e casolari diroccati ” in cui tutto ha un prezzo, e niente è dato per scontato, nemmeno un medico in caso di bisogno ” scrivono gli autori, il sociologo Leonardo Palmisano e Ivan Sagnet, l’ex studente del Politecnico di Torino, diventato nel 2011 il leader del primo sciopero di braccianti stranieri in Italia, a Nardò, in Puglia. Fu proprio grazie a quello sciopero spontaneo durante la raccolta delle angurie, durato un mese e sostenuto dalla Flai Cgil, che fu introdotto il reato di intermediazione illecita di manodopera. E’ da allora che il caporalato è diventato una questione politica urgente e spinosa per i governi di ogni colore. E’ un fenomeno atavico in regioni come la Puglia. Un meccanismo insediatosi e diffusosi nel corso del Novecento come ” sistema di reclutamento illegale di braccianti, grazie alla presenza di spazi aperti e pubblici, dove i padroni facevano reclutare la manodopera applicando salari lontanissimi da quelli previsti dai contratti ” .
Su quelle stesse piazze ” sindacalisti come Di Vittorio e Caroli hanno tuonato contro lo sfruttamento e la schiavitù ” scrive Palmisano: ” ed ora, la storia ricorre. Dalle piazze di Mesagne, Francavilla (ma non solo) partono ogni mattina centinaia di pullman e pulmini gestiti dai caporali, zeppi di donne, soprattutto ” .
Un fenomeno che si sta trasformando, allargandosi ad altri settori lavorativi
Nel tempo in cui il caporalato ha cambiato forma, divenendo addirittura più violento, più cruento. Estendendosi a tutte le altre regioni dell’Italia meridionale, sicuramente, allargandosi ad altri settori lavorativi, come nel lavoro di cura e nei servizi, il divenire sfruttamento è uomo migrante, ma anche donna, italiana. Entrambi hanno salari differenziali. Lo racconta la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali del Senato in una relazione diffusa alla fine dello scorso anno, al termine dell’indagine sul decesso di Paola Clemente ” morta di fatica ” a luglio 2015 nelle campagne di Andria. La Commissione ricorda che sono proprio alcuni rapporti di lavoro e come essi sono concepiti, le cause principali dei decessi come quello di Paola. Solo nel 2015 sono stati – secondo i dati Inail – oltre settecento, le vittime dei rapporti di lavoro. Secondo quanto si legge ancora nella relazione sono: ” i tipi di contratti e le previsioni normative in essi contenuti ad aver favorito l’esistenza di forme di intermediazione illecita nei confronti dei lavoratori ” .
Come dire che, ancora con le parole messe nero su bianco dalla senatrice Camilla Fabbri, presidente della Commissione parlamentare: ” il sistema normativo attuale ha trovato un deficit di legalità nel funzionamento concreto dei contratti di somministrazione e nel procacciamento degli stessi per poter acquisire la disponibilità di lavoratori e utilizzatori nell’ambito di un territorio ad alta vocazione agricola ” . Cosìsi legge, ancora, nella relazione: ” oggi il caporalato ha indossato le vesti della somministrazione. Una pratica usata per dare un’apparenza formale a una serie di imprescindibili contatti che possono essere curati soltanto da chi è in grado di spostare anche repentinamente vere e proprie truppe di lavoratori ” , disposti a tutto – aggiungiamo noi – anche a lavorare in condizioni di privazione assoluta della sicurezza sul luogo di lavoro. Come è accaduto a Paola Clemente e ad altri, italiani e migranti. Solo nel 2015 furono dieci (quelli censiti) i morti nella campagne. Sotto l’onda emotiva di quelle morti – solo in Puglia cinque in due mesi – il Governo approntò il disegno di legge approvato ieri dalla Camera in via definitiva, dopo esserlo stato anche in Senato ad agosto. Da allora, invece, non solo le baracche che costituiscono ghetti come quello di Rignano Garganico, in Puglia, o di Palazzo San Gervasio, in Basilicata, continuano ad essere affittate dai caporali a migliaia di braccianti, molto spesso richiedenti asilo, o addirittura rifugiati. Ma non sono cambiate nemmeno le regole sulla somministrazione dei contratti. Resta tutto da capire, insomma, se basterà una legge, la n. 2217 a trasformare la filiera dello sfruttamento in quella agricola di qualità .