Agire localmente, pensando globalmente non è solo espressione della solidarietà  internazionale di una comunità  territoriale, ma costituisce l ' unico approccio ragionevole per prendersi cura, con sguardo olistico, degli interessi pubblici locali. " Pensare globale e agire locale " può consentire di agire sui fenomeni alla loro origine, di conoscerli prima delle loro peggiori derive, di non subirli ma di concorrere a governarli.

Ambiente, acqua, aria, cibo, suolo, accoglienza, coesione sociale, cultura, cultura digitale, cultura della legalità : l’amministrazione partecipata e condivisa dei beni comuni è locale ma l’efficacia della sua tutela è condizionata dal modo in cui i medesimi beni sono tutelati dalle comunità  locali delle diverse parti del globo.

Agire localmente, pensando globalmente

Una raccolta sostenibile dei rifiuti fatta a regola d’arte può essere sufficiente se poi esistono isole di plastica negli oceani? E’ inoltre immaginabile poter elaborare politiche giovanili di lungo periodo senza tener conto che, la decrescita demografica delle città  europee da un lato, e gli inarrestabili flussi migratori provenienti dal più giovane continente africano dall’altro, porteranno in tempi brevissimi a una diversa composizione della popolazione giovanile? Viceversa, è ormai sempre più evidente che le grandi questioni globali come i cambiamenti climatici e le migrazioni dei popoli hanno una immediata ricaduta locale e richiedono soluzioni locali. Ma continua ad aver senso misurare e controllare la qualità  dell’aria delle nostre città  se, al di là  dei mari, i valori delle polveri sottili di molte megalopoli raggiungono livelli che vanno ben oltre i valori massimi accettabili? E ancora: non rischiano di essere miopi e non strutturali le attività  locali di accoglienza di migranti e profughi avulse da azioni tese a sostenere i processi di pacificazione o di cooperazione allo sviluppo con le aree del mondo da cui provengono i relativi flussi migratori? I muri e i mari non possono arrestare il cammino dei popoli e non esistono barriere fisiche che possono separare gli oceani o sezionare l’aria che si respira.

Vi è dunque una sorta di interdipendenza tra le comunità  locali del pianeta che può essere al contempo causa ed effetto delle diverse modalità  di gestire i beni comuni loro affidati. Ecco perché le amministrazioni locali più illuminate intuiscono che agire localmente, pensando globalmente  non è solo espressione della solidarietà  internazionale di una comunità  territoriale, ma costituisce l’unico approccio ragionevole per prendersi cura, con sguardo olistico, degli interessi pubblici locali. ” Pensare globale e agire locale ” può consentire di agire sui fenomeni alla loro origine, di conoscerli prima delle loro peggiori derive, di non subirli ma di concorrere a governarli. ” Think global, act local ” è la vision  che è alla base delle attività  di cooperazione internazionale decentrata.

La cooperazione internazionale decentrata

Per cooperazione decentrata si intende lazione di cooperazione internazionale allo sviluppo realizzata dalle Regioni e dagli Enti Locali nell’ambito di relazioni di partenariato territoriale con istituzioni locali (per quanto possibile omologhe) dei Paesi con i quali si coopera. Tali azioni sono finalizzate a stabilire e consolidare lo sviluppo reciproco equo e sostenibile. Per la loro realizzazione ci si avvale della partecipazione attiva degli attori pubblici e privati nei rispettivi territori. La finalità  di queste azioni è il rafforzamento istituzionale delle autorità  locali dei c.d. PvS (Paesi in via di Sviluppo) o in transizione (cosìcome elencati nella DAC List) a realizzare politiche locali in grado di lottare contro la povertà , contribuire alla pacificazione dei rispettivi territori,   promuovere percorsi di democrazia locale e di tutela dei diritti umani delle rispettive popolazioni (art. 2 L. 125/2014).
Obiettivi di grande respiro, che si richiamano agli Obiettivi di sviluppo sostenibile individuati dalll’ONU e che possono essere perseguiti attraverso misure concrete, attinenti alla sfera di azione degli enti locali medesimi: le attività  tese a realizzare laboratori pubblici di potabilizzazione concorrono ad esempio a garantire il diritto all’acqua, il miglioramento del sistema di raccolta dei rifiuti solidi contribuisce a proteggere il diritto a un ambiente sano, collaborare per organizzare in modo partecipato i servizi educativi e sociali va nella direzione di una migliore   tutela del diritto all’istruzione e dei diritti dei cittadini più vulnerabili, cooperare per pianificare in modo sostenibile le politiche urbanistiche aiuta a meglio garantire il diritto alla città .
In questo tipo di attività , le amministrazioni locali non agiscono isolatamente ma in partenariato con gli attori pubblici e privati dei rispettivi territori: dalle ONG (Organizzazioni non governative) alle associazioni sindacali, dal tessuto imprenditoriale locale alle comunità  di migranti, dalle università  alle fondazioni culturali.

La logica del co-sviluppo

Secondo la logica del co-sviluppo, accolta anche dalla recente legge sulla cooperazione internazionale (L. 125/2014), ogni intervento di cooperazione decentrata (che tale legge non descrive più in questi termini ma definisce come  partenariato territoriale) mira a migliorare non solo il sistema locale delle città  del Sud ma anche quello delle città  del Nord. Sia gli attori pubblici sia privati di entrambi i sistemi dovrebbero cioè trarre da queste attività  delle utilità : in termini di processi organizzativi delle politiche, di promozione degli scambi commerciali o culturali, di miglioramento delle relazioni sociali, di lotta ai fenomeni dell’illegalità  e della corruzione, di sviluppo dei diritti umani. Perché cooperazione ci sia, è dunque necessaria la sussistenza di un interesse pubblico bidirezionale alla promozione di un co-sviluppo reciproco,  che sia sostenibile  sia sotto il profilo sociale che economico, ambientale e istituzionale. Quando dunque gli interessi pubblici locali delle autonomie territoriali italiane incontrano omologhi interessi di autorità  locali dei PVS, ne scaturiscono azioni, programmi e progetti di cooperazione decentrata.

La cooperazione decentrata, in tal senso, non costituisce un’ulteriore e autonoma competenza degli enti locali che si affianca a quelle già  tipizzate (istruzione, assistenza, commercio locale, urbanistica…), ma rappresenta piuttosto una modalità  di esercizio di tali funzioni. Gli interventi di cooperazione decentrata, infatti, si modulano a seconda dell’attività  di riferimento: un progetto di cooperazione di lotta alla fame e malnutrizione infantile ha, ad esempio, caratteristiche strutturali e funzionali molto diverse di uno di capacity building  nel settore della gestione dei servizi idrici o di uno concernente la rigenerazione urbana.
Gli enti locali italiani, in virtù del principio di legalità , possono esercitare le funzioni di cooperazione decentrata perché attribuite da un quadro normativo di riferimento solido e ben articolato in disposizioni europee, nazionali, regionali. Dalla interpretazione sistematica di tali disposizioni normative ne emergono le principali caratteristiche, tra le quali vi è l’esercizio partecipato, sussidiato o condiviso delle attività .

Per un’amministrazione condivisa delle attività  di cooperazione decentrata

Le funzioni di cooperazione decentrata possono essere esercitate in modo sussidiato o partecipato, a seconda che la partnership con la società  civile sia ascendente o discendente.
Nei casi di iniziativa della società  civile, le funzioni di cooperazione decentrata sono esercitate in modo sussidiato, il quale costituisce uno spazio particolarmente fecondo per queste attività . E infatti la contestuale presenza nelle città  dei PvS e nelle città  italiane dei tanti attori della cooperazione allo sviluppo (come ONG e comunità  migranti) fa sìche questa componente della società  civile sia essenziale nella definizione e attuazione di progetti e programmi che utilmente possono essere attivati tra autorità  locali delle diverse aree del mondo.
L’esperienza di cooperazione maturata da molti Enti locali negli ultimi decenni, ha fatto si che il modello sussidiato sia ormai ampiamente affiancato da quello partecipato, nel quale, cioè, sono gli Enti locali a promuovere progetti e processi di cooperazione decentrata ai quali la società  civile è invitata a partecipare.

Gli strumenti di governance del partenariato territoriale allo sviluppo finora utilizzati per dare gambe a entrambi questi due modelli sono stati i più diversi: convenzioni, accordi, partnership agreement, memorandum di intesa, tavoli di coordinamento, bandi, co-progettazione (in particolare quella europea), costituzione di enti ad hoc (associazioni, fondazioni, agenzie o istituzioni).
Non esistono al momento strumenti di governance in grado di leggere le logiche del partenariato globale e riconoscere formalmente le attività  di cooperazione decentrata che non sono espressione né di un procedimento sussidiato né di uno partecipato ma che sono invece il frutto di una idea  condivisa tra amministrazione locale e società  civile.  Spesso infatti, al termine di un processo di concertazione, è difficile attribuire la paternità  di un progetto o di un’attività  all’una o all’altra parte, dal momento che tutti gli attori coinvolti hanno offerto il proprio apporto, in una logica inclusiva e paritaria, pur nel rispetto dei differenti ruoli. Si pensi a un progetto di cooperazione decentrata sul tema delle politiche giovanili, nel quale gli enti locali (del Nord e del Sud) collaborano sulle questioni di governance  (istituzione di osservatori del mondo giovanile, di consigli municipali della gioventù, centri del protagonismi giovanile ecc.) mentre le associazioni partner del progetto si attivano per promuovere la partecipazione giovanile alle attività  da questi promosse; si pensi ancora ai progetti che mirano a migliorare il sistema della raccolta di rifiuti di una città  del Sud nei quali le municipalità  lavorano sui temi del rafforzamento istituzionale delle rispettive aziende municipalizzate incaricate della gestione del servizio, mentre le associazioni non-profit, partner del progetto, si occupano delle attività  di educazione, sensibilizzazione e informazione delle cittadinanza o di supportare le start-up attive nella produzione di beni riciclati (abbigliamento, cartoleria…).

E’ rispetto a questi casi di co-progettazione, sempre più numerosi, che i patti di amministrazione condivisa sui singoli beni comuni oggetto di tali progetti (ambiente, coesione sociale, spazi urbani) o su un possibile bene comune ” solidarietà  glocale ” , potrebbero costituire un efficace e appropriato strumento di gestione delle attività  di cooperazione decentrata.

In allegato il saggio di Maria Bottiglieri
Da cooperazione decentrata a partenariato territoriale. La cooperazione allo sviluppo degli Enti locali nelle prime attuazioni della nuova “Disciplina Generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo ” (L. 11 agosto 2014 n. 125)