L ' idea dei beni comuni ha acquisito enorme forza potenziale quando è stata legata alla nozione di amministrazione condivisa. Così, sotto il concetto di beni comuni si identificano i beni che devono essere al servizio della comunità  con il " mettere in comune " inteso come forma organizzativa delle amministrazioni locali.

L’interesse per il bene comune, per ciò che ci unisce, per la condivisione di responsabilità  indifesa dell’interesse generale, si sta diffondendo tra i cittadini degli Stati a noi vicini, politicamente e culturalmente. In parallelo alle risposte alla crisi basate sull’esaltazione dell’individualismo, la difesa del diritto di proprietà  come dispositivo escludente e la sfiducia nella politica, negli ultimi anni si è manifestato un crescente interesse per i beni comuni e per la loro gestione condivisa.

All’interno del concetto ampio di “comune” si sono sviluppati studi e proposte, che hanno definito i cosiddetti ” beni comuni ” come quell’insieme di risorse necessarie per soddisfare le esigenze di base della società , e che dovrebbero dunque essere condivisi da una pluralità  di fruitori.
Il problema è che generalmente chi usufruisce di questi beni tende a farne un uso individuale, rendendo necessaria una regolamentazione d’uso, come nel caso dei terreni agricoli,boschi, pascoli, risorse idriche e zone di pesca…  Accanto a questi beni comuni ” tradizionali ” emergono oggi i cosiddetti ” new commons ” – gli edifici pubblici, le infrastrutture, le piazze e le strade della città  – o i beni immateriali, come Internet, il clima e le risorse ambientali.

La costruzione di una cornice giuridica per il concetto dei beni comuni è un processo molto suggestivo e solleva questioni di particolare rilevanza, dalla teoria dei beni comuni al diritto di proprietà . Si tratta di definire una nuova categoria a cavallo tra la proprietà  privata e la proprietà  pubblica, identificando un nuovo soggetto titolare del bene (la proprietà  comune, o la comunità  di fruitori potenziali come titolari di tali beni) e costruendo in parallelo uno specifico regime giuridico per regolamentarne l’uso. In Spagna possiamo ricorrere alla categoria dei beni comunali (quelli il cui uso spetta alla comunità  di vicini) o delle montagne di proprietà  comune (le montagne che sono di proprietà  di tutti i vicini).

L’idea dei beni comuni ha acquisito enorme forza potenziale quando è stata legata alla nozione di amministrazione condivisa. Così, sotto il concetto di beni comuni si identificano i beni che devono essere al servizio della comunità  con il ” mettere in comune ” inteso come forma organizzativa delle amministrazioni locali. In questo modo è possibile integrare i cittadini attivi nella difesa, nel recupero e nella gestione di tali beni. Nella cosiddetta amministrazione condivisa la prospettiva del diritto alla proprietà  e quella della gestione pubblica si uniscono nella necessaria valorizzazione dei “beni comuni”, dei beni condivisi: condivisione di beni, condivisione nell’agire in comune, condivisione dei compiti tra l’amministrazione e i cittadini.

In questa idea di amministrazione condivisa quello che prevale non è la difesa o il godimento comune di qualcosa, ma la partecipazione alla tutela e alla gestione di alcuni beni. Non si reclama il diritto a godere di qualcosa, ma la volontà  di partecipare alla sua gestione. Da questo punto di vista i “beni comuni” sono concepiti come una sorta di oggetto che permette di attivare pratiche di gestione e amministrazione condivisa, di partecipazione nel fare. Non è importante realizzare un uso efficace ed efficiente di determinati beni garantendone l’uso per le generazioni future, quanto  comporre, attraverso la loro gestione condivisa, un modo di agire che permetta di superare la crisi politica e valoriale, la crisi della democrazia. In ultima analisi, l’amministrazione condivisa dei beni comuni si propone di rompere la visione bipolare classica dello Stato sul ruolo dell’amministrazione e dei cittadini, in base alla quale tocca solo all’amministrazione occuparsi dell’interesse pubblico e della gestione dei beni comuni o pubblici, mentre gli individui si limitano a occuparsi dei propri interessi privati.

II.- Per raggiungere questo obiettivo, e dargli forza e stabilità  attraverso il diritto, l’associazione italiana Labsus – Laboratorio per la sussidiarietà , presieduta dal professor Gregorio Arena, ha dato vita ad un processo esemplare di approvazione di regolamenti comunali di gestione condivisa in applicazione del principio costituzionale di sussidiarietà . Diversi comuni catalani, a partire dall’esperienza italiana, intendono anch’essi dare forma giuridica allo stesso sentimento cittadino fiorito con grande forza in Italia a favore di una amministrazione condivisa. Se in Italia il principio costituzionale di sussidiarietà  orizzontale fornisce il quadro costituzionale che promuove la amministrazione condivisa, in Spagna l’articolo 9.2 della Costituzione spagnola può rappresentare la norma cui fare riferimento per guidare il processo. Tale articolo prevede che “i pubblici poteri debbono promuovere le condizioni affinché la libertà  e l’uguaglianza degli individui e dei gruppi a cui appartengono siano reali ed efficaci; rimuovere gli ostacoli che impediscono o ostacolano il loro compimento e facilitare la partecipazione di tutti i cittadini alla vita politica, economica, culturale e sociale”.

Il precetto costituzionale contiene un mandato indirizzato ai poteri pubblici consistente nella imposizione di un obbligo di fare, perché “debbono facilitare la partecipazione di tutti i cittadini alla vita politica, economica, culturale e sociale.” In tal modo si propone di rafforzare la democrazia rappresentativa attraverso l’istituzionalizzazione di meccanismi ritenuti più efficaci per realizzare la partecipazione dei cittadini alla vita politica. Non sono identificati i mezzi da utilizzare, né si limita il mandato ad un particolare potere pubblico. Il punto è quello di rafforzare la democrazia con la partecipazione attiva dei cittadini nella vita politica. Se pensiamo ai mezzi attraverso i quali promuovere la partecipazione attiva, l’esperienza italiana dei beni comuni ci offre un percorso che si è già  dimostrato di enorme valore. Al di là  della qualificazione giuridica dei diversi beni, come la proprietà  privata o demaniale (i beni di proprietà  dell’amministrazione), anche nei comuni catalani esistono beni il cui miglioramento rappresenta un beneficio per tutti, e il cui deterioramento, al contrario, implica una perdita per tutti i cittadini.

Quale potere pubblico deve assumersi il compito di promuovere la partecipazione attiva attraverso la cura di questi beni? Allo stesso modo che in Italia, in un primo momento si potrebbe pensare al potere normativo delle Comunità  Autonome per approvare una legge sull’amministrazione condivisa in cui sia stabilito il quadro generale per l’ulteriore realizzazione in Regolamenti comunali. Tuttavia pensiamo che ancora una volta l’esempio italiano debba servirci da guida.
Come stabilisce la legge di base delle autorità  locali, legge n. 7/1985, ” i municipi sono il primo canale della partecipazione cittadina alla vita pubblica ” , e le leggi statali e regionali sul governo locale devono basarsi sui principi di ” decentralizzazione, prossimità , efficacia ed efficienza ” (articoli 1 e 2,1). Pertanto, a partire dal mandato costituzionale sopra citato, e in conformità  con i principi della legislazione locale, i municipi possono fare uso della propria ampia autonomia organizzativa con l’obiettivo di approvare i propri Regolamenti sull’Amministrazione Condivisa nei quali si concretizza il principio di partecipazione attiva dei cittadini alla vita pubblica, attraverso i conseguenti Patti di Collaborazione. I cittadini attivi stanno aspettando che gli enti locali diano loro la possibilità  di sviluppare le proprie capacità  e le proprie energie al fine di recuperare, curare e migliorare i beni comuni inutilizzati o sottoutilizzati. Per tutto questo il Regolamento municipale è lo strumento giuridico con forza sufficiente, il più adatto alla realtà  di ogni comunità  e il più facile da gestire.L’amministrazione condivisa, d’altra parte, necessita di essere collegata alla realtà  concreta sulla quale si cala. Questo obiettivo non ammette indugi.

Recentemente, il 24 febbraio 2017, si è tenuta nel Municipio di Santa Coloma de Gramenet (comune dell’area metropolitana di Barcellona con 120.000 abitanti) una giornata intitolata Giornata partecipativa sui beni comuni e sull’amministrazione condivisa: verso un modello di patti di collaborazione cittadina. La giornata ha visto la partecipazione della sindaca di Santa Coloma de Gramenet, la Sig.ra Nuria Parlà³n, e i rappresentanti politici e tecnici dei comuni di Badalonay, Gavà¡, Sant Boi de Llobregat, Esparraguera e della stessa Santa Coloma de Gramenet. In questa Giornata sono intervenuti Gregorio Arena e Gigliola Vicenzo, di LABSUS. Si è presentato inoltre un modello di Patto di Collaborazione con il Presidente del Centro disabili, CEMFIS, intitolato ” Città  accessibile, città  di tutti e tutte ” .
La giornata ha risvegliato un grande interesse, e tutto fa pensare che a breve potremo contare su un Regolamento per l’Amministrazione Condivisa che segue il modello italiano e si adatti alla realtà  politica, giuridica e socio-economica dei municipi catalani.

Sempre seguendo l’esperienza italiana, si potrà  inoltre condurre una valutazione delle prime esperienze per passare ad approvare un Regolamento tipo da parte di alcune delle associazioni municipali della Catalogna, la Federazione dei Municipi della Catalogna, FCM, o l’Associazione dei Municipi della Catalogna, AMC.
Speriamo, quindi, che presto vedremo approvati i primi Regolamenti per le amministrazioni catalane. Ancora una volta, gli entri locali possono essere l’avanguardia che getta le basi di una democrazia rafforzata, basata non sulla delega delle responsabilità  a terzi, ma sulla partecipazione attiva dei cittadini.

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