L'amministrazione condivisa come normale modalità  d'azione a Caserta

Tra profili di novità  e assonanze con il Regolamento Labsus

L’adozione del regolamento da parte del Comune di Caserta rappresenta senza dubbio un investimento entusiasta nei confronti dell’amministrazione condivisa, tanto da essere dichiarata come scelta di ” propria normale modalità  d’azione ” da parte del comune (art.1, c.3). L’articolo 2, d) del testo sembra peraltro confermare la centralità  dell’amministrazione condivisa come modalità  ordinaria di esercizio del potere. Si consideri la definizione della proposta di collaborazione. Nel regolamento prototipo di Labsus, infatti, è specificato che tali proposte sono sottoposte alla condizione che gli interventi in oggetto non configurino forme di sostituzione di servizi essenziali che devono essere garantiti dal Comune. Nel testo approvato a Caserta, diversamente – se non altro a livello stilistico – ogni tipo di riferimento a tali servizi essenziali è omesso, forse a intendere che le potenzialità  del modello di amministrazione condivisa non devono essere arginate a priori.
Riguardo alla cura in forma condivisa, il collegamento alla necessità  che dagli interventi di conservazione, manutenzione e abbellimento derivi una produzione di ” capitale sociale ” pare una dichiarazione ideologica significativa, quanto mai opportuna e celebrativa dell’importanza della cittadinanza attiva e dei vantaggi che ne scaturiscono. Pierre Bordieu, il grande sociologo, definisce infatti il capitale sociale come «la somma delle risorse, materiali o meno, che ciascun individuo o gruppo sociale ottiene grazie alla partecipazione a una rete di relazioni interpersonali basate su principi di reciprocità  e mutuo riconoscimento ». Nell’elaborazione teorica successiva si evidenzia, inoltre, come un capitale sociale elevato rappresenti un meccanismo che determina l’osservanza di un comportamento collettivamente desiderabile, che ” lubrifica ” gli ingranaggi che permettono alla società  di progredire senza intoppi.  Fra gli aspetti di spicco del regolamento emerge anche l’impegno del Comune nell’individuazione periodica delle attività  e dei luoghi che, per caratteristiche, necessità  e frequenza, possono rappresentare oggetto di patti di collaborazione (artt. 7, 8 e 9) nonché la previsione del sostegno nei confronti di cittadini attivi mediante, ad esempio, l’affiancamento da parte dell’unità  organizzativa nel recupero di risorse esterne, attraverso bandi promossi da altri livelli istituzionali e/o fondazioni bancarie, l’attivazione di campagne di sponsorship e crowdfunding.  Un certo entusiasmo, peraltro, è riscontrabile anche nelle forme di riconoscimento per le azioni realizzate (ex art.18), l’inclusione della possibilità  di coinvolgere i cittadini già  inseriti nell’ente con strumenti specifici propri o cittadini interessati a iniziative di volontariato civico al fine di consentire una partecipazione quanto più ampia possibile (art.4) e nel crescente ruolo delle scuole nell’ambito dell’educazione alla cittadinanza attiva. Non solo, come in altri regolamenti, è prevista la possibilità  di stipulare patti di collaborazione fra genitori, studenti e istituzioni scolastiche ma anche – condivisibilmente – è favorita la valutazione dell’impegno di studenti in azioni di cura e rigenerazione dei beni comuni ai fini della maturazione di crediti curricolari (art.17, c.3).

Margini di riflessione e miglioramento

Nonostante, come precedentemente evidenziato, il modello dell’amministrazione condivisa venga presentato nell’articolo 1 come scelta di ” propria normale modalità  d’azione ” , nei successivi articoli del testo, il ruolo primario di questo concetto e la necessaria semplificazione e fiducia al fine di concretizzare l’attività  di partecipazione dei cittadini sembrano venir parzialmente depotenziati.
Innanzitutto, in riferimento al terzo comma dell’articolo 1, risulta necessario sollevare alcuni dubbi in riferimento alla definizione dell’estrinsecazione della collaborazione tra cittadini e amministrazione, ricondotta alla dicotomia atti di diritto comune e, in via sussidiaria, atti amministrativi. Non pare chiaro a quali attività  si faccia riferimento nel testo. Qualora tale dicotomia fosse riconducibile alla natura ” ibrida ” dei patti di collaborazione con i cittadini, in bilico tra disciplina privatistica e pubblicistica, va detto che questa rappresenta un argomento ampio e dibattuto. Data l’opinabilità  di una cristallizzazione dell’istituto, necessario per semplificare il rapporto con i cittadini, parrebbe forse opportuno evitare il rischio di caduta nei tecnicismi in questa sede.
Entrando nel merito delle questioni, e al di là  degli aspetti formali, sembra opportuno evidenziare il rischio di un potenziale sbilanciamento tra gli interessi della Pubblica Amministrazione e quelli dei cittadini. L’atteggiamento di tutela dei propri interessi e di prevenzione dal rischio da parte del Comune, del resto, è riscontrabile in diversi aspetti del regolamento. Se, da una parte, una cornice che disciplini gli elementi essenziali al fine di evitare un esercizio abusivo o disonesto dei patti di collaborazione, o parimenti un danno nei confronti del Comune e della collettività , è cruciale, dall’altra occorre sempre operare un opportuno bilanciamento degli interessi in gioco. Si veda, in particolare, l’articolo 5, c. 2, h), inerente alla definizione delle garanzie a copertura di eventuali danni arrecati al Comune da parte dei cittadini attivi, in conseguenza della mancata, parziale o difforme realizzazione degli interventi concordati e l’art. 5, c.2, o) inerente alle modalità  di rivalsa dell’amministrazione nei confronti dei cittadini i quali, dopo la stipula del patto di collaborazione, non adempiano, in tutto o in parte, a quanto da esso previsto. Valga la seguente considerazione: per quanto sia necessario tutelarsi di fronte al rischio di mancata realizzazione e buona riuscita dei progetti previsti, la nobiltà  d’ intenti di cittadini che, senza acquisire vantaggi personali, o meglio al fine di produrre vantaggi per la collettività  tutta, decidono di attivarsi per il bene comune andrebbe, piuttosto, premiata, al di là  di risultati ottenuti alla perfezione. Qualora le richieste di copertura assicurativa, l’assunzione di responsabilità  e di garanzie e la possibilità  di rivalsa da parte della Pubblica Amministrazione divengano troppo gravose, si rischierebbe infatti di bloccare sul nascere iniziative di condivisione spontanee. Il bilanciamento necessita dunque di un’attenta analisi, che tenga conto dei valori di reciproca fiducia, semplificazione e flessibilità  (che sembrano, peraltro, non godere della giusta considerazione anche nella clausola di chiusura del capo I, secondo la quale il Comune di Caserta gode sempre della facoltà  di risolvere i patti sottoscritti, sia nel caso di necessità  di interesse pubblico superiore sia nel caso subentrino necessità  amministrative di più generale interesse). Di converso, una certa leggerezza pare sia stata riservata nei confronti dei doveri dell’amministrazione: per esempio, la facoltatività  della creazione di uno sportello per i rapporti con i cittadini (articolo 6, c.2), l’assoluta mancanza di un termine affinché il Dirigente preposto svolga l’istruttoria per giungere alla stipulazione del patto o enunci le motivazioni alla base della mancata stipulazione (si vedano gli articoli 7, c.4, e c.5 in riferimento alle collaborazioni ordinarie, 8, c.3, e c.5 della sezione ” consultazione pubblica ” e 9, c.2, c.3, c.4, c.6, c.7, c.8 e c.9 riguardanti le proposte di collaborazione presentate dai cittadini attivi), nonché la totale mancanza di un riferimento all’ipotesi di inerzia del dirigente (dettagliatamente prevista dal regolamento prototipo di Labsus per assicurare il diritto dei cittadini alla trasparenza e all’adozione di un provvedimento finale, cosìcome previsto dall’art. 2, L.241/1990).
Infine, merita in questa sede evidenziare una certa incoerenza a livello strutturale. A differenza della suddivisione tra patti ordinari e complessi proposta da Labsus, le tipologie dei patti di collaborazione presentati nel capo II, ex articoli 7 (collaborazioni ordinarie), 8 (collaborazioni a seguito di una consultazione pubblica) e 9 (su iniziativa di cittadini attivi), risultano, complessivamente, poco lineari.   Nonostante i principi di semplificazione, flessibilità  e trasparenza siano spesso menzionati nel regolamento, questa scelta potrebbe infatti condurre i cittadini, non sempre dotati di conoscenze tecniche e propensi ad affrontare tematiche di classificazione burocratica, ad esitare e non attivarsi. Profili di contraddittorietà , peraltro, sono rinvenibile anche nel testo stesso. All’articolo 12, c.8, riguardante la durata delle attività  oggetto dei patti di collaborazione, si prevede infatti un’estensione massima di tre anni, rinnovabili una sola volta nel caso di patti ordinari e due volte nel caso di patti complessi. Non avendo adottato altrove nel testo questa bipartizione (bensìil modello tripartito menzionato poco sopra), il senso di questo riferimento rimane di difficile interpretazione.

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