The Treviso's Regulation valorizes the shared administration model, even if not fully

Data la prossimità del testo in esame con altri regolamenti comunali, in primis con il regolamento bolognese, sembra opportuno focalizzare l’attenzione prevalentemente sui profili di maggiore specificità e/o problematicità.

In ordine alla disciplina dei patti di collaborazione, risalta, anzitutto, l’art. 5, co. 2, lett. e), il quale dispone l’equiparazione tra “i tipi di intervento contemplati nel regolamento” e “le prestazioni di lavoro autonomo”, nonché tra gli stessi “cittadini (attivi)”, anche definiti semplicemente “volontari” e “i lavoratori autonomi”, sebbene con specifico riferimento alla applicabilità della disciplina contenuta nel d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, recante norme in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, conseguendone, in particolare, che «gli obblighi dell’ente nei confronti dei cittadini attivi si sostanziano nella valutazione dei rischi connessi alle attività e nella individuazione delle corrette modalità operative, ivi comprese le indicazioni circa la necessità di utilizzare i conseguenti dispositivi di protezione individuale e non comprendano obblighi assicurativi».

La disposizione sollecita diverse riflessioni. In primo luogo, i richiamati parallelismi semantici, sebbene risultino strettamente concepiti in funzione della applicabilità della disciplina contenuta nel d.lgs. n. 81/2008, appaiono inappropriati, in quanto idonei ad ingenerare perplessità sul piano interpretativo. Parimenti, non è da condividere l’applicabilità del d.lgs. n. 81/2008 a tutte le tipologie di intervento contemplate nel regolamento. A ben guardare, infatti, come già evidenziato in questa Rivista, è ragionevole che l’applicabilità tout court della disciplina sulla tutela e sicurezza nei luoghi di lavoro (la quale implica – lo si ricorda – l’adempimento di una sequela di adempimenti burocratici) risulti circoscritta alle sole ipotesi in cui operi un’impresa ovvero trovino realizzazione interventi di rigenerazione o comunque complessi, tali da imporre il possesso di comprovate competenze tecniche e professionali. Nei restanti casi, sembra sufficiente configurare i regolamenti sull’amministrazione condivisa – dunque anche quello in esame – in modo tale da prevedere l’esperimento di un’idonea attività di informazione e formazione in tema di sicurezza sul lavoro, che tenga conto, tra le altre cose, del corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale. Da notare, peraltro, che una simile configurazione, oltre ad affiorare in molti altri regolamenti comunali, trova parziale conferma proprio nel testo in esame, il quale, in particolare, all’art. 34, co. 3, precisa che le attività imputabili ai cittadini attivi «non devono presupporre il possesso di una professionalità specifica e qualificata [ma] devono […] essere declinate secondo i canoni della media responsabilità e diligenza». In una prospettiva più generale, inoltre, tale impostazione risulta maggiormente coerente con il modello di amministrazione condivisa, sotteso ai regolamenti comunali, il quale, come risaputo, è improntato su principi volti ad innovare profondamente il rapporto tra la cittadinanza (attiva) e l’amministrazione, quali l’inclusività, l’apertura, l’informalità, l’autonomia civica, risultati, tuttavia, tendenzialmente pretermessi nel caso di specie (si vd. l’art. 3). Tutto questo induce – evidentemente – a ritenere auspicabile un’armonizzazione tra le richiamate disposizioni nel senso precisato.

Non convince, inoltre, l’art. 11, co. 6, il quale prevede che (tutte) le (fattispecie di) proposte di collaborazione vengano sottoposte, oltre che alla valutazione tecnica degli uffici competenti, anche al vaglio della Giunta comunale, chiamata ad esprimersi con atto formale. La norma, infatti, non consente di modulare la richiamata disciplina procedimentale in relazione alla rilevanza e/o complessità delle ipotesi di intervento e/o del bene in questione, sulla scia di quanto previsto in diversi regolamenti sull’amministrazione condivisa sia di “prima generazione” (si guardi, ad esempio, l’art. 11, co. 9, Regolamento di Bologna) che di “seconda generazione” (si tenga presente la distinta regolamentazione dei “patti semplici” e dei “patti complessi”, contenuta esemplificativamente nel modello regolamentare elaborato, promosso e diffuso da Labsus). Ne consegue un (deprecabile) aggravio procedimentale, idoneo a rallentare, paralizzare ovvero scoraggiare le iniziative promosse dai cittadini e dunque a minare alcuni principi cardine del nuovo modello amministrativo, in parte già richiamati, ai quali si aggiunge, certamente, anche il principio della fiducia reciproca.

Nel regolamento, poi, viene riservata specifica attenzione al rispetto del principio di pareggio di bilancio e della conseguente e necessaria (nonché eventuale) copertura economico-finanziaria ascrivibile alle iniziative di cittadinanza attiva, come si evince chiaramente ed espressamente dalla lettura dell’art. 5, co. 3 e 4, ma anche, indirettamente, dalla lettura dell’art. 6, co. 3, il quale specifica, con riferimento alle iniziative incidenti su spazi pubblici e sugli edifici, che i cittadini attivi possono realizzare interventi tecnici o finanziari, solo mediante erogazioni economiche proprie.

In ultimo, vale la pena di evidenziare la necessità di aggiornare il testo alle novità legislative intercorse fino ad oggi, espungendo, in particolare, il riferimento all’art. 24, d.l. 12 settembre 2014, n. 133, oramai abrogato dal d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, così come modificato dal d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56 e, conseguentemente, di aggiornare l’art. 20, rubricato «(e)senzioni ed agevolazioni in materia di canoni e tributi locali». Al contempo, parrebbe opportuno espungere dal regolamento in esame qualsiasi riferimento (anche implicito) alla disciplina dei contratti pubblici, come, ad esempio, il richiamo agli atti amministrativi di natura non autoritativa, rinvenibile nell’art. 1, co. 3, dato che legittimerebbe opzioni interpretative conformi alla disciplina sui contratti pubblici, più volte denunciate in questa Rivista.

In linea generale e conclusivamente, le specificità rinvenute nel testo trevigiano – l’applicabilità del d.lgs. n. 81/2008 a tutte le tipologie di intervento contemplate; l’espressa esclusione di un obbligo riconducibile in capo al Comune concernente la stipula di polizze assicurative a favore dei cittadini attivi; la necessaria sottoposizione delle diverse proposte di collaborazione al vaglio preventivo della Giunta comunale; la valorizzazione del principio del pareggio di bilancio – dimostrano prudenza, da parte del Comune, rectius da parte del Consiglio comunale, in ordine al recepimento del nuovo ed innovativo modello di amministrazione condivisa. Cionondimeno, appare auspicabile che, in tempi rapidi, l’Amministrazione possa giungere a modificare i profili di maggiore criticità, emersi nel corso della presente analisi.

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