Una volta rigenerato, l'edificio ospiterà servizi e attività rivolti a persone con sindrome di Down

A Reggio Calabria, nel luglio dello scorso anno, è stato firmato un patto di collaborazione tra il Comune e l’Associazione Italiana Persone Down (AIPD) per il recupero e la rigenerazione di una emeroteca comunale che ha subito in passato ben due incendi.
Le finalità specifiche del patto, che ha una durata di 9 anni, riguardano:

  • il recupero e la riqualificazione dell’edificio per renderlo fruibile e vivibile alla cittadinanza;
  • l’attivazione del Servizio di Informazione e Consulenza (SIC) per le persone con sindrome di Down e le loro famiglie;
  • l’attuazione del progetto di attività sociali, collaborando con tutte le associazioni e organizzazioni che hanno mostrato disponibilità.

Gli impegni dell’Associazione e del Comune di Reggio Calabria

In particolare, l’AIDP si è assunta l’impegno di recuperare e riqualificare l’immobile in modo autonomo. Una volta rigenerato l’edificio, il patto prevede che l’associazione: svolga interventi di manutenzione e cura del bene; si occupi dell’apertura e della chiusura della struttura garantendo la fruizione a tutti i cittadini interessati a collaborare; infine, svolga le attività programmate in sinergia con il Settore Comunale “Welfare e Partecipate”.
Il Comune, invece, si è impegnato nel curare la manutenzione straordinaria successiva  alla fase di rigenerazione e riqualificazione dell’edificio, i cui costi sono stati interamente a carico dell’AIPD, e nell’agevolare l’associazione per quanto riguarda lo svolgimento delle attività pianificate.
Per capirne di più sui lavori di rigenerazione e sulle attività da svolgere all’interno della struttura, così come previsto dal patto, abbiamo contattato Maria Giuffrida, socia dell’AIPD, e Nancy Iachino, Consigliera Comunale a Reggio Calabria.

Il punto di vista dell’associazione…


Quali lavori sono stati realizzati dall’AIPD per il recupero dell’edificio? Quando sono iniziati gli interventi di recupero?

La struttura ha subito in passato due incendi. Al momento sono stati effettuati interventi di pulitura interna, la pitturazione, che è stata terminata da poco, e ora vanno definiti l’impianto elettrico, l’installazione dei sanitari e la sistemazione della pavimentazione. Esternamente, invece, è ancora in corso la pulitura di aiuole e rifiuti. La consegna dell’immobile c’è stata a luglio dello scorso anno, mentre la fine dei lavori è prevista entro giugno.

Quali sono i servizi e le attività specifiche che saranno messi in atto dall’AIPD all’interno dell’immobile?

Ciò che noi facciamo è l’educazione all’autonomia. Si tratta di attività formative ed educative per persone con Sindrome di Down a partire da bambini di soli 18 mesi. L’obiettivo è far sì che apprendano i concetti fondamentali dell’autonomia relazionale, dal sapersi vestire, al cucinare, all’educazione finanziaria eccetera. Ciò che auspichiamo per loro è renderli autonomi ai fini soprattutto di un inserimento lavorativo.

Ci sono state collaborazioni con altre associazioni e organizzazioni del territorio?

Ci sono state tante collaborazioni, soprattutto pratiche. In molti, infatti, ci hanno aiutato nella pulizia e negli interventi di recupero dell’edificio. Si è creata una rete di soggetti che ci hanno sostenuti mettendo a disposizione il loro impegno. Ciò che desideriamo è che il luogo in questione diventi un punto di aggregazione centrale per il quartiere, soprattutto per riuscire a diffondere una vera e propria cultura del volontariato.

Reggio Calabria AIPD patto ex emeroteca

Uno dei due incendi appiccati all’ex emeroteca di Reggio Calabria (fonte: AIPD)

…e quello dell’amministrazione comunale

Il patto di collaborazione riguarda il recupero e la rigenerazione di un immobile che nel corso degli anni aveva subito atti vandalici e un incendio. Quanto è stato utile il patto per un intervento del genere?

L’immobile, una ex emeroteca che sorge in una area molto delicata della città, è stato per molto tempo abbandonato. Seppur di recente costruzione, lo stato di abbandono in cui versava l’ha esposta a vari atti vandalici, da ultimo un gravissimo incendio che l’ha resa praticamente inaccessibile al pubblico. La possibilità di stipulare un patto di collaborazione con l’associazione ha restituito la possibilità di poterlo vedere riaperto e fruibile, grazie all’intervento di profonda rigenerazione e futura gestione della stessa. Come da regolamento peraltro l’associazione si è resa immediatamente disponibile all’adesione del gruppo scout di zona, che collaborando alle attività di rigenerazione contribuirà ad una più veloce riapertura.

C’erano, secondo lei, altre vie possibili alla risoluzione del problema?

Le condizioni abbastanza serie e difficili delle casse comunali e un organico gravemente sottodimensionato ad oggi rende quasi del tutto impossibile interventi e spese su fronti che si discostino dal limite del servizio pubblico essenziale. Intendo dire che da un parte non esiste alcuna possibilità di impiegare risorse di bilancio per l’adeguata cura di beni comuni e dall’altra, il personale che potrebbe essere dedicato alla progettazione per l’attrazione di risorse esterne, di fatto è del tutto concentrato su esigenze più essenziali ed urgenti. Da questo punto di vista direi che non sbaglio ad affermare che l’impegno delle associazioni sul fronte della rigenerazione cura e gestione dei beni comuni è ad oggi uno dei pochi mezzi a cui fare affidamento per garantire la fruizione di spazi diversamente abbandonati. E questo vale per la stessa emeroteca di via Palmi. Non ci sarebbero state possibilità di recupero del bene nel breve periodo, se non grazie all’impegno encomiabile profuso dai ragazzi dell’AIPD e dal gruppo scout di zona.

Lei è stata eletta giovanissima e ora è quasi alla fine del suo mandato da consigliera. Le è stata conferita la delega ai beni comuni e beni confiscati. Quali importanti azioni sono state avviate in questa legislatura? So che ha anche presentato una relazione sui beni confiscati e sui lavori di questi anni…

La mia delega ai beni confiscati mi ha vista impegnata praticamente su ogni fronte. Avendo preso le redini di un settore praticamente inesistente, il lavoro è stato duro ma anche incredibilmente affascinante, una grande sfida che ancor oggi sostengo con immensa passione. Il primo passo è stato creare un ufficio che avesse a specifica competenza lo studio, grazie al supporto di Labsus e della rete di associazioni di Libera Reggio Calabria, e l’approvazione di un regolamento che consentisse di portare ordine in un ambito che a mio avviso costituisce per eccellenza il tempio della celebrazione dei principi di legalità e trasparenza. Fino a quel momento i beni confiscati, nonché la gestione di beni comuni anche di grande valore economico e sociale, erano stati affidati direttamente tramite delibere di giunta quasi mai precedute da procedure ad evidenza pubblica. In molti di questi beni, da successivi monitoraggi condotti in questa consiliatura, è emerso che non si svolgessero effettivamente le attività cui erano stati destinati. Beni destinati a finalità alloggiative erano (qualcuno lo è ancora, con procedure di sgombero comunque già avviate e denunce inoltrate) occupati da ex proprietari e loro aventi causa. Nuove acquisizioni hanno portato a situazioni del tutto nuove. Penso ad esempio ai beni destinati a fini di lucro, attività commerciali in centro città, i cui proventi di canoni vanno destinati per finalità sociali. La prima grande operazione di rivestimento dei canoni è consistita in un piano di ristrutturazione di alloggi, anche questi beni confiscati, in cui collocare abitanti dell’area della Ex Polveriera di Ciccarello, storico ghetto e baraccopoli della città di Reggio Calabria. Operazione attesa da 50 anni e ancora in corso visto il gran numero di famiglie da ricollocare e vista la resistenza che le famiglie stesse oppongono rispetto alla opportunità di abbandonare quel luogo. Un altro esempio importante è costituto dalla apertura dell’Urban center cittadino “Come Cambia la Città”, in un bene confiscato in centro città destinato a tale finalità istituzionale. Mi piace poi ricordare che il comune di Reggio Calabria è stato il primo ad applicare la legge regionale assegnando a donna vittima di violenza un alloggio sicuro, anche questo derivante da confisca. E sempre sul fronte della lotta alla violenza di genere è in corso la ricerca di bene confiscato idoneo ad accogliere un centro antiviolenza e una casa rifugio, obiettivi per i quali conto di riuscire a far pubblicare il bando per la gestione entro il mese di giugno. Il lavoro quotidiano però non è fatto di grandi conquiste, ma di piccoli e faticosissimi passi. I risultati arrivano e riempiono il cuore di gioia per il grande significato che hanno, ma solo dopo sacrifici e sforzi che in alcuni casi stanno durando interi anni. Fra i problemi più seri, a parte lo scontro con famiglie che fino a questo momento sono rimaste indisturbate anche dentro beni ormai da anni confluiti nel patrimonio comunale, vi sono difficoltà un po’ meno attese e meno scontate. Le difficoltà ad esempio che di punto in bianco sorgono nei rapporti condominiali, inesistenti al tempo in cui ad abitare o dettare legge c’era lo ’ndranghetista. Di recente poi è diffusa la pratica di qualche associazione che, pur vivendo bandi su beni confiscati, lascia il bene ancor prima di stipulare la convenzione per la gestione: ciò determina un grave ritardo nell’assegnazione e un danno economico per il comune che si trova ad affrontare spese che avrebbero dovuto essere di competenza dell’assegnatario. In questo momento mi sto curando di stendere una dettagliata relazione sulle varie questioni e sui problemi che un’amministrazione comunale si trova ad affrontare nella gestione ordinaria dei beni confiscati. Quali di questi problemi potrebbero essere evitati con pochissimo e quali invece richiederebbero un serio intervento di modifiche legislative.

La città di Reggio Calabria ha adottato il Regolamento nel 2015 ma non ha sottoscritto moltissimi patti finora. Quali sono state le principali difficoltà riscontrate nell’applicazione del Regolamento? Come si possono incentivare, secondo lei, cittadini e associazioni a partecipare?

Non posso che riconoscere quanto difficile fino ad oggi sia stato riuscire a stipulare patti di gestione condivisa di beni comuni. Il problema fondamentale sembra consistere nella difficoltà di entrare nell’ottica di una gestione condivisa appunto, non di una assegnazione di spazi per un utilizzo aperto e condiviso. Ed anche quando si supera il primo step, la formazione sociale aggiudicataria dichiara di poter accettare uno schema più aperto di gestione ma lasciando alle casse comunali ogni genere di onere di gestione e rigenerazione, il che come ovvio fa saltare il patto sul nascere. Nel mese di settembre, grazie alla disponibilità di una funzionario in comando presso l’ufficio, è in programma un giro presso scuole e sedi associative, proprio nell’intento di divulgare l’importanza e la bellezza del prendersi cura di spazi e beni comuni, il significato dell’espressione stessa “bene comune”, sulla quale bisogna ammettere, la città sembra essere impreparata, e le istituzioni, mea culpa, non sono state ancora in grado di riuscire a fare una buona opera di informazione.