La Felicità civica è un valore che prende un’accezione e una misurazione differente a seconda del contesto alla quale si cerca di applicarla. Il lavoro preliminare fatto dal progetto Felicità Civica, supportato da un gruppo di sociologi e antropologi, ha effettuato una ricerca bibliografica che ha portato alla definizione di dieci ambiti all’interno del quale la Felicità civica può essere in qualche modo rintracciata. Dieci ambiti che aprono a campi di indagine e discussione intorno al senso che si attribuisce al termine. Ne emerge che se riferita alle città la felicità civica diventa uno degli indicatori ascrivibili al senso di vivibilità di un territorio e di conseguenza alla felicità dei suoi abitanti. Gli elementi che vengono tenuti in considerazione sono quindi la possibilità di accesso e/o la vicinanza rispetto ad alcuni servizi più o meno essenziali (scuole di ogni grado, ambulatori medici, uffici amministrativi, biblioteche, spazi culturali, musei, cinema..) e la presenza sia in termini dimensionali sia quantitativi di risorse spaziali, infrastrutturali ed ambientali (la percentuale di raccolta differenziata di rifiuti; disponibilità di verde urbano; tasso di inquinamento dell’aria; presenza di piste ciclabili e di infrastrutture per la sicurezza pedonale; superficie destinata agli orti urbani; famiglie servite da teleriscaldamento; presenza di mercati rionali e di luoghi di incontro diretto tra produttori locali e consumatori).
Ciò che ci sembra manchi in questo elenco di dati potenziali è il capitale relazionale del territorio di cui uno degli aspetti (forse quello più facilmente tracciabile) è rappresentato dall’attivismo civico. I Patti di collaborazione in questo senso sono straordinari ed inediti incubatori di felicità urbana. Ogni anno migliaia di cittadini partecipano alla co-progettazione di Patti di collaborazione con la possibilità (la libertà) di “prendere parte a”, di costruire una relazione collaborativa con l’altro, entrando a fare parte di una comunità di cura, di azione. È l’esercizio di un nuovo diritto, che si esercita nel prendersi cura degli spazi del vivere (urbani e non urbani), nell’agire collettivo, nell’uso dello spazio in maniera “libera”, “creativa” e coerente con le abitudini, le aspettative, i desideri, i progetti, di chi lo vive.
I Patti di collaborazione possono essere quindi finestre sulla felicità civica?
Le pratiche di Amministrazione condivisa e cura dei beni comuni sono, prima di tutto, storie di persone e di luoghi. In queste storie spesso ci è sembrato di osservare tracce di felicità, che attraverso la cura collaborativa trovano espressione, proprio perché mettono in gioco una componente non trascurabile di libertà e creatività individuale e collettiva.
Ci sono alcuni esempi che ci sembrano calzanti come quello che vede protagoniste quattro donne di un quartiere difficile di Trento. Quattro persone con storie e provenienze culturali diverse, che hanno l’idea di recuperare un locale abbandonato nel seminterrato di una scuola elementare, per dar vita a BiLù, una biblioteca e ludoteca aperta a tutte le età, dove far incontrare nonni e bambini, leggere fiabe in arabo e libri di cucina in italiano, dove dar vita a quel luogo di aggregazione sociale, inclusione e partecipazione, che non si era mai riusciti ad avere nel quartiere. Ci sono Patti che, per loro natura, sono in grado di contribuire al miglioramento della democrazia, quando il rapporto con l’amministrazione non è frustrante, ma paritario e generativo.
Poi ci sono storie in cui la felicità personale si incrocia e si alimenta con la soddisfazione civile di aver restituito ad un uso pubblico, aperto e inclusivo un’area verde, da tempo vandalizzata, degradata e abbandonata. Così, grazie all’azione coordinata di associazioni e gruppi informali di cittadini attivi, a Villa Giaquinto, Caserta, si comincia ad organizzare il cinema all’aperto, si apre il primo orto urbano condiviso della città e si producono marmellate. In questa comunanza di sforzi e risultati positivi, succede anche che il bene di tutti alimenti la felicità individuale, aiutando chi, tra i contraenti, oltre a produrre marmellate, torna a festeggiare il suo compleanno dopo che per tanti anni, a seguito della morte del figlio, aveva smesso di farlo.
Il Patto in questo caso è diventato l’occasione e il contesto in cui rimettersi in gioco, per fare un passo avanti e sperimentare un nuovo senso di comunità che passa anche attraverso la condivisione di spazi, momenti di aggregazione, emozioni. La felicità che si esprime attraverso un gesto apparentemente scontato ma al contempo catartico. Un gesto che nasce dalla volontà di condividere.
Tracce di felicità civica
L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, che ormai si sta consolidando come una crisi economica, sociale e politica, se da un lato ci mette alla prova sperimentando nuovi modelli di cura (della nostra famiglia, di noi stessi, dei nostri coinquilini, della comunità intera) al contempo ci priva delle nostre libertà individuali.
Libertà che fino a poco tempo fa davamo per scontata, che forse non eravamo neanche in grado di sfruttare e utilizzare al meglio. Cura che prende l’accezione di bene assoluto: non si sceglie più chi, come e quando prendersi cura di qualcuno o qualcosa ma siamo costretti a privarci del nostro tempo e della nostra libertà di azione in nome di una “cura della salute della comunità” in senso ampio. Un’esperienza, se vogliamo, di una libertà inedita: la libertà positiva di agire insieme agli altri, di essere solidale con gli altri, di condividere con le istituzioni la responsabilità della salute collettiva. Una libertà etica, insomma.
I Patti di collaborazione in questo senso nascono proprio per dare una cornice legale a pratiche sociali informali. Sono espressione dell’esercizio della libertà di agire per l’interesse generale, di prendersi cura di ciò che si sceglie consapevolmente e nei modi in cui si ritiene adeguati. Una libertà e una cura che potremmo definire quasi assolute nel momento in cui non c’è nessuna cornice dentro cui devono essere incluse queste pratiche.
La libertà di pensare, di immaginare un progetto che non sia importante solo per sé stessi ma che sia in grado di avere ricadute tangibili sul territorio, esprime una occasione di espressione di Sé, delle proprie competenze, dei propri saperi, delle proprie aspirazioni e della propria storia.
All’interno di questo processo la libertà si configura come un diritto all’immaginazione, un invito a oltrepassare i confini del “fare” come ambiti conosciuti, circoscritti, precostituiti, in nome di un più ambizioso contributo a migliorare il principio della democrazia in cui viviamo. È una libertà che si misura con la possibilità di uscire dal ruolo sociale che ci è attribuito, di sperimentare se stessi in un rapporto alla pari con le istituzioni, di sperimentare nuove strade del “vivre ensemble”.
Possiamo quindi dire che dietro a quella possibilità di prendere parte, di trovare spazi inediti di espressione individuale e collettiva, i Patti di collaborazione siano contesti di felicità civica, in quanto luoghi di creatività. L’esperienza della co-progettazione, che vede la collaborazione tra cittadini e amministrazioni, ci permette di mettere in campo delle competenze individuali, dei saperi diffusi, esperienziali, delle reti formali e informali per co-costruire soluzioni inedite a problemi complessi.
Sono in grado quindi di svelare gran parte del capitale relazionale di un territorio, di plasmarlo e potenziarlo in maniera inedita.
Nel tortuoso percorso verso una “nuova normalità” sarà dunque possibile ripartire anche da queste esperienze, e quindi dai concetti di cura, libertà, creatività per ricostruire una società più felice?
Questo articolo è in parte anche il risultato delle riflessioni che si sono svolte durante il webinar tenutosi il 28 aprile dal titolo “Ambiente, Territorio e Spazi Pubblici, Dialogo su Libertà, Cura e Felicità”, organizzato all’interno delle attività del progetto Felicità Civica (finanziato all’interno del bando CivICa – progetti di cultura ed innovazione civica, promosso dalla Compagnia di San Paolo per sperimentare beni, processi e servizi culturali volti a favorire l’attivazione della propensione civica degli individui). L’incontro si è sviluppato come una libera chiacchierata tra amici (i partecipanti sono stati: Stefano Di Polito, regista e sceneggiatore e responsabile del progetto Felicità Civica, Daniela Ciaffi, sociologa, docente al Politecnico di Torino e vicepresidente di Labsus, Emanuela Saporito, urbanista e componente del gruppo Labsus Piemonte, Ianira Vassallo, urbanista e componente del gruppo Labsus Piemonte) su temi, pensieri, paure e auspici. La domanda che ha guidato l’incontro è stata: I Patti di collaborazione possono essere finestre sulla felicità civica?