L’Amministrazione condivisa a Latina. Due amministratori raccontano la loro esperienza con i Patti di collaborazione negli ultimi tre anni

In un editoriale di maggio 2018 avevamo raccontato, dopo la sottoscrizione dei nostri primi 4 Patti di collaborazione, la storia della comunità di Latina verso l’Amministrazione condivisa. In quella occasione avevamo sintetizzato il prezioso lavoro preparatorio, durato quasi un anno, che ci aveva poi permesso di arrivare a questo primo importante traguardo, la firma dei primi Patti.
L’avevamo raccontata in tre fasi:

  1. la prima, quella della condivisione della scelta, della formazione e della costruzione delle basi di linguaggio e di forma necessarie per dare avvio al percorso;
  2. la seconda, per proporre, imparare, osare nuove e creative visioni insieme alla comunità;
  3. la terza, in cui crescere, confermare la scelta e iniziare a sperimentare.

Oggi siamo ad un passo dal nostro “terzo compleanno con i Patti” e sono davvero molte le cose che abbiamo ancora da raccontare e le riflessioni che vogliamo condividere.
Insomma, siamo qui a fare con tutti voi un bilancio generale di questa esperienza della nostra città, dal punto di vista di due amministratori, nonché un ragionamento su quali siano stati i vantaggi che la comunità ha potuto avere dall’aver intrapreso questa strada (e, come vedrete, sono davvero molti e viaggiano in profondità), ma anche su quali sono i miglioramenti che si possono ancora costruire insieme.

Il Regolamento come strumento positivo di governo della città e costruttore di comunità

Per una comunità (cittadini, amministratori, associazioni, imprese, funzionari pubblici, enti e quanti altri la compongono) avere a disposizione il Regolamento per la cura e gestione condivisa dei beni comuni significa avere uno strumento amministrativo e operativo per superare un’esperienza “episodica” di collaborazione e trasformarla in una esperienza strutturata e continuativa di cura condivisa.
Si passa, dunque, dall’attivazione (più o meno occasionale) all’espressione generativa della cura verso gli altri e verso il proprio territorio, un passaggio fondamentale e delicato per riconoscere l’importanza della comunità e iniziare a sentirsi parte, riconoscendo e avendo lo spazio per esercitare il proprio ruolo agente.
Perché questo avvenga, il/la cittadino/a attivo/a, così come ogni altro/a componente dell’alleanza, deve essere nella possibilità di camminare su questa strada collaborativa, di comunione, e di vedere e apprezzare il tragitto fatto insieme. Si deve passare cioè dalla convinzione e dalla consapevolezza della “buona azione” a quella della “capacità di trasformazione”, a quella del prendere forma in un’altra dimensione che è quella comunitaria. Questo prendere forma e quindi formarsi e con-formarsi è l’elemento di vera rivoluzione del nostro attuale sistema. Diversamente da quanto può richiamare l’associazione lessicale al termine “conformismo”, il riconoscersi in un’entità plurima non è l’appiattirsi ad un modello unico di stile di vita ma un continuo stimolo ad accogliere ciò che è altro o diverso da sé, una continua sfida al cambiamento, all’innovazione, all’evoluzione. È ciò che ci mette personalmente in sicurezza perché, come gli atleti che si preparano per le loro sfide sportive, così come cittadini siamo allenati alle continue trasformazione che la vita e il mondo ci pongono e ci offrono.
Amministrare in modo condiviso modifica quindi le prassi, crea alleanze che migliorano i servizi e la qualità della vita di una città, promuove il confronto e la collaborazione sulla costruzione dei percorsi.
Poi, più in profondità, trasforma e nutre l’anima di una comunità, se questa è pronta e disposta a farlo.

A che punto siamo nel percorso verso l’Amministrazione condivisa nella città/comunità di Latina?

Abbiamo consolidato la scoperta delle potenzialità trasversali della cura condivisa dei Beni comuni uscendo dal considerarlo un tema “di settore”, abbiamo stretto alleanze per la cura di luoghi della nostra città che sono diventati spazi accoglienti di incontro, attivato progettualità integrate per supportare la comunità durante l’emergenza e ripensato la gestione del patrimonio comunale dando rilievo alla valutazione dell’impatto sociale quale criterio per definirne le priorità e modalità di utilizzo (stiamo concludendo proprio in questi mesi il lungo percorso per l’attivazione delle nostre prime 5 case di quartiere).
Abbiamo capito che ciò che è pubblico è molto più di una proprietà su cui abbiamo una percentuale personale di diritto di prelazione o un costo da contenere o valorizzare unicamente in termini economici; un bene pubblico, se inteso come bene comune, può essere uno strumento di prevenzione e di coesione sociale, oltre che una fonte di gioia e realizzazione, nella misura in cui mi sento e mi riconosco nella funzione e nell’uso che se ne fa insieme. Lo abbiamo capito con un lungo percorso che non di rado è passato anche per lo scontro. Posizioni individuali o di parte (quando a rappresentarle era il delegato di un comitato o di un’associazione) che partivano dal proposito positivo del bene che ogni singolo voleva esprimere ed affermare, ma che si scontravano con l’impossibilità di metterle tutte immediatamente e indiscriminatamente in campo: a fronte di tanto entusiasmo spesso si è dovuto fare i conti con risorse limitate che andavano opportunamente ottimizzate (contrariamente alla vecchia abitudine di parcellizzarle). La conoscenza reciproca, che i tanti incontri di confronto e discussione hanno dato modo di approfondire, ci ha portato ad una nuova posizione, ci ha spinto a capire quale fosse l’interesse specifico di ognuno per poi arrivare a definire come promuovere insieme l’interesse generale. E proprio come nella storia dell’ultimo arancio del banco di frutta conteso tra due acquirenti, abbiamo capito che tra i vari contendenti o concorrenti c’era chi aveva bisogno della polpa per una spremuta e chi della buccia per un dolce. Ma abbiamo anche capito che la spremuta o il dolce che eravamo abituati a fare potevano essere fatti in modo diverso, risparmiando polpa e buccia o producendo un risultato più utile ed apprezzabile per tutti/e.

Condivisione dei progetti con i cittadini attivi

L’essenzialità del dare e del saper ricevere

In termini sociali e di cura, siamo passati dalla convinzione delle nostre buone idee all’analisi dell’esigenza e alla formulazione di una risposta più adeguata per le persone e il territorio di cui abbiamo deciso di prenderci cura. E allo stesso tempo, abbiamo probabilmente afferrato che non può esserci dono senza accoglienza. Non può esserci una comunità, un bene comune e i benefici che ne derivano se non ci lasciamo contaminare e se non ci immergiamo in questa esperienza pronti a accogliere il senso che questa restituisce alla nostra stessa esistenza. Insomma, non possiamo rispondere all’intimo ed esistenziale bisogno di relazione solo nella direzione del dare: dobbiamo anche saper ricevere. E, diciamolo, nella nostra società siamo poco abituati ad accogliere quello che le esperienze hanno da darci se non sono esattamente come le avevamo pensate per noi. E, anche in questo senso, l’esperienza dei Patti è una palestra civica e personale davvero preziosa. Ci insegna anche a capire quale sia il “limite della nostra generosità”, ovvero quale sia la zona di confort nella quale ciò che diamo e sappiamo ricevere resta in equilibrio. E questa consapevolezza è preziosa, perché ci tutela dal rischio di sentirci in “credito” e di arrabbiarci se quello che ci aspettiamo, esattamente come ce lo aspettiamo, non ci sembra arrivare. La partecipazione è una scelta libera, mai un vincolo.

La nascita di una nuova alleanza  

E qui veniamo alla sfida ancora in corso per avvicinare la visione che abbiamo fino a qui raccontato e l’attuale funzionamento della struttura amministrativa dei Comuni italiani. Partiamo da una burocrazia per anni impostata sull’erogazione di servizi orientati a soddisfare criteri di economicità, efficienza, efficacia e trasparenza relativi a una buona rendicontazione e ad evitare potenziali ricorsi o incriminazioni per danni all’erario o malaffare. Capite bene non essere esattamente la stessa realtà amministrativa che vorremmo vedere, percepire e vivere come quell’entità capace di ascoltare e prendersi cura delle fragilità o delle aspettative di una comunità, le cui risposte spesso dovrebbero essere costruite attraverso percorsi motivazionali, identitari, rassicuranti e quindi tangibili e tempestivi. È un diverso approccio che talvolta, in questi anni di Amministrazione condivisa, abbiamo faticato a condividere con chi ha, comprensibilmente, preoccupazioni professionali che tirano costantemente in un’altra direzione; eppure con la disponibilità alla fiducia reciproca, premessa preziosa dello stesso Regolamento, con molta dedizione, impegno e stima della diversità dei contributi che ciascuno poteva apportare, il nostro percorso verso una nuova alleanza è iniziato.
Anche in questo caso il primo passo lo abbiamo giocato sulla conoscenza reciproca: sulle procedure da seguire, sul senso di quelle nuove prassi che stavamo costruendo insieme e sul riconoscimento amministrativo che si può dare agli specifici interventi di cura. Lo abbiamo fatto iniziando dalle procedure più facili dei patti di collaborazione “semplici” e ci stiamo avventurando nelle procedure di quelli “complessi”. E come direbbero Nonaka e Takeuchi abbiamo chiuso un ciclo di spirale della conoscenza, abbiamo dialogato, collegato e appreso e lo abbiamo fatto attraverso il passaggio di ciò che davamo per scontato alla sua condivisione e attraverso “il fare insieme”. Siamo passati da una dimensione tacita ad una esplicita, che ci ha visti condividere preoccupazioni, limiti, proposte e soluzioni creative. Abbiamo, anche in questo, dato vita a quel processo identitario, rassicurante e motivante che permette di vedersi alleati nel raggiungere, un passo dopo l’altro, nuovi traguardi. Quello che ora ci attende è il livello 2 dei Patti complessi: sporcarci nuovamente le mani nel fare quotidiano di quelle procedure complesse che vedono in gioco grandi responsabilità di funzionari e dirigenti con grandi disponibilità dei cittadini attivi che sono in grado di mobilitare forze economiche e produttive importanti, con cui l’amministrazione deve riuscire a costruire e mantenere nel tempo un rapporto trasparente e sempre legittimo. Un nuovo percorso che sappia valorizzare nei tempi giusti, quelli della tangibilità e sempre più dell’immediatezza (e questo, purtroppo, è un limite forte della nostra azione oggi), l’impegno di chi si rimbocca le maniche e che converga nel risultato ultimo di ottimizzare le risorse per la coesione della comunità, per la realizzazione di un senso comune, per la soddisfazione delle esigenze e, perché no, la realizzazione dei sogni di tutti e tutte.

Emanuele Di Russo è Consigliere delegato alla partecipazione del Comune di Latina;
Cristina Leggio è Assessora alla partecipazione del Comune di Latina.

Foto di copertina: Matthias Böckel su Pixabay