Una recente pronuncia del giudice amministrativo indica qual è il fine della riforma dell'internalizzazione di servizi: non la stabilizzazione del personale precario, bensì il miglioramento dei servizi erogati

Il 6 luglio 2020 con sentenza n. 4323 il Consiglio di Stato si è pronunciato riguardo a un caso di internalizzazione di servizi. La sentenza appellata riguarda il decreto n. 1074 del 20 novembre 2019, che ha disciplinato la procedura selettiva per i servizi di pulizia e ausiliari presso le istituzioni scolastiche ed educative statali. In particolare, esso ha previsto una procedura concorsuale finalizzata ad assumere, dal 1 marzo 2020, personale con esperienza pregressa nel settore, limitando la partecipazione a dipendenti a tempo indeterminato delle imprese appaltatrici dei servizi di pulizia presso le istituzioni scolastiche in possesso di determinati requisiti. Gli obiettivi di tale riforma consistono in una riorganizzazione dei servizi di pulizia delle scuole più efficiente ed efficace, in virtù del buon andamento dell’articolo 97 della Costituzione, e in una riduzione della spesa pubblica.
Nella parte in diritto della sentenza viene, innanzitutto, lamentata l’illegittimità dei provvedimenti per la violazione di norme costituzionali ed europee direttamente applicabili alla fattispecie.
La procedura, agli occhi dei ricorrenti, sembra infatti lesiva, da una parte, dei principi di eguaglianza e della tutela del lavoro e, dall’altra parte, di quelli del buon andamento e dell’imparzialità quali cardini dell’azione della Pubblica Amministrazione.

La ratio della norma

Al fine di comprendere la ratio della norma i ricorrenti si sono ancorati ad atti propedeutici all’adozione della legge (alcuni dossier elaborati dai servizi del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati durante la fase legiferante) e hanno sottolineato che l’obiettivo principale del legislatore consisteva proprio nell’assumere alle dipendenze pubbliche collaboratori scolastici precari e sfruttati. Nei fatti, però, secondo i ricorrenti, la legge avrebbe svantaggiato tali soggetti, conducendo a un’incongruenza tra finalità perseguite e mezzi preposti per il loro conseguimento. In merito a questa argomentazione, la Sezione Sesta ha sottolinea che l’obiettivo della disposizione non consiste nella stabilizzazione del personale precario, bensì nella volontà di razionalizzare il servizio di pulizie, in conformità ai principi di efficienza ed economicità. Peraltro, ricorrere a documenti preparatori, di carattere amministrativo, per comprendere la ratio di una legge rappresenta un chiaro errore concettuale.

Il principio di eguaglianza e la tutela del lavoro

La parte ricorrente lamenta una disparità di trattamento lesiva del principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione) e della tutela del lavoro (art. 36 della Costituzione). La previsione dei determinati requisiti ai fini della partecipazione alla procedura concorsuale è un passaggio tipico e necessario in ipotesi di assunzioni nel pubblico impiego. Nel definire i presupposti per partecipare alla procedura, infatti, si è tenuto conto degli obiettivi di questa decisione: conseguire una più efficiente organizzazione dei servizi di pulizia nelle scuole e una riduzione della relativa spesa.

Libera iniziativa economica e sussidiarietà

Le doglianze della parte ricorrente includono un riferimento agli articoli 41 e 118 della Costituzione. Gli argomenti sollevati connettono la procedura di internalizzazione del settore di pulizia e sanificazione a un’ipotesi di «sottrazione di un’intera porzione di mercato all’iniziativa economica privata e al gioco della libera concorrenza che la orienta, eludendo il contenuto del principio di sussidiarietà orizzontale».
Il Consiglio di Stato ha giustamente evidenziato che il caso in esame consiste in una scelta organizzativa della pubblica amministrazione in riferimento all’erogazione di un servizio che le spetta. Del resto, la tutela che l’articolo 41 assicura alla libera iniziativa economica privata è sempre, ed esplicitamente, limitata dall’utilità sociale. Anche il diritto dell’Unione Europea, peraltro, sottolinea nella direttiva 2014/23, all’articolo 2, che gli Stati membri «possono liberamente organizzare l’esecuzione dei propri lavori o la prestazione dei propri servizi in conformità del diritto nazionale e dell’Unione. Tali autorità sono libere di decidere il modo migliore per gestire l’esecuzione dei lavori e la prestazione dei servizi per garantire in particolare un elevato livello di qualità, sicurezza e accessibilità, la parità di trattamento e la promozione dell’accesso universale e dei diritti dell’utenza nei servizi pubblici». Le autorità pubbliche sono dunque libere di avvalersi di risorse interne o esterne durante lo svolgimento dei loro compiti di pubblico interesse e questa scelta non è sindacabile purché vengano rispettati i principi di parità di trattamento, non discriminazione, riconoscimento reciproco, proporzionalità e trasparenza.
Similmente, l’esplicito richiamo all’art 118 della Costituzione non pare fungere da buon argomento nel caso in esame. Il principio di sussidiarietà orizzontale, infatti, prevede che vengano favorite autonome iniziative di interesse generale da parte di cittadini singoli o associati. Qualora i cittadini decidano di attivarsi e prendersi cura di beni comuni, l’articolo 118 assicura che tali azioni vengano accolte e favorite da parte delle pubbliche amministrazioni. Il cuore della sussidiarietà orizzontale consiste nelle potenzialità delle numerose possibili collaborazioni tra dimensione pubblica e privata. Non si tratta di mera sostituzione dei cittadini a fronte di lacune da parte della pubblica amministrazione. Consiste, piuttosto, in un’opportunità di miglioramento della vita quotidiana di tutti. In conclusione, dunque, esso non può figurare come un parametro normativo foriero di margini di sindacabilità nei confronti del potere pubblico nella gestione delle proprie risorse e dei propri servizi qualora rispettino i principi base dell’azione amministrativa.

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Foto di copertina: Wokandapix su Pixabay