Dal dibattito sorto intorno alla riapertura dei Navigli milanesi, una ricerca volta ad analizzare il passaggio dalla democrazia deliberativa ai Patti di collaborazione

Questa settimana la sezione “Ricerche” propone una tesi che intreccia l’esperienza della democrazia deliberativa con quella dell’Amministrazione condivisa. Il contesto scelto da Domenico Andrea Schiuma, per la sua ricerca, è quello di Milano, in particolare il dibattito pubblico sulla riapertura dei Navigli che si è tenuto nel capoluogo lombardo tra il 2015 e il 2018. L’autore della tesi, che traccia una riflessione che si proietta “Dalla democrazia deliberativa ai Patti di collaborazione” a partire dal caso studio milanese, si interroga sul futuro di questo modello di democrazia e sulla possibilità di legare il bilancio partecipativo al nuovo strumento amministrativo dei Patti di collaborazione, estrinsecazione del principio di sussidiarietà, postulato dall’articolo 118 ultimo comma della Costituzione. Lasciamo a Schiuma il compito di illustrare il proprio percorso di ricerca e le sue conclusioni.

Democrazia partecipativa e sussidiarietà orizzontale

Negli ultimi trent’anni, sempre più enti locali hanno deciso di implementare delle politiche volte a favorire il coinvolgimento dei cittadini nella vita pubblica. Queste politiche si richiamano a due teorie distinte per origini e per strumenti in cui si incarnano, ma potenzialmente comunicanti: quella della democrazia partecipativa-deliberativa e quella della sussidiarietà orizzontale.
In Italia, la democrazia partecipativo-deliberativa ha radici molto profonde. Le prime implementazioni di pratiche che si richiamano a questa teoria risalgono infatti al 1994, quando il Comune di Grottammare decise, tra i primi del Paese, di sperimentare il bilancio partecipativo. Negli anni successivi, le sperimentazioni di bilanci partecipativi, dibattiti pubblici, consensus conferences e simili si sono moltiplicate, in alcuni casi giungendo ad avere un profondo impatto sulle comunità locali (tristemente famoso è diventato il dibattito pubblico che si tenne a Genova nel 2008 sulla Gronda). Alcune Regioni (in primis la Toscana, poi l’Emilia-Romagna e più di recente la Puglia) sono persino giunte ad approvare delle leggi che si ispirano in modo chiaro alla teoria e agli strumenti della democrazia partecipativo-deliberativa.
Più recente, invece, il radicamento di pratiche legate al paradigma della sussidiarietà orizzontale. Anche se quest’ultimo principio è ufficialmente entrato in Costituzione (articolo 118 u.c.) con la riforma del 2001, è nel 2014 che il Comune di Bologna adotta, per primo in Italia, il Regolamento sull’amministrazione condivisa dei beni comuni, elaborato da Labsus. L’Amministrazione condivisa è la principale incarnazione operativa del principio di sussidiarietà orizzontale.
In questo contesto, negli ultimi anni, uno dei Comuni più attivi nella sperimentazione delle nuove pratiche di cittadinanza attiva è stato quello di Milano.

Democrazia partecipativa a Milano: dalle sperimentazioni all’istituzionalizzazione

Tra il 2014 e il 2018, a cavallo fra l’amministrazione di Giuliano Pisapia e quella di Giuseppe Sala, a Milano si sono svolte tre importanti sperimentazioni di pratiche di democrazia partecipativo-deliberativa. Nella seconda metà del 2015 si è tenuta una prima edizione di bilancio partecipativo. La seconda edizione ha avuto invece luogo fra 2017 e 2018 ed è stata articolata in modo abbastanza diverso da quella del 2015. Nell’estate del 2018, inoltre, è stato realizzato un importante dibattito pubblico volto a «raccogliere osservazioni e proposte da cittadini e associazioni che [potessero] aiutare l’Amministrazione comunale a valutare il progetto di riapertura dei Navigli e a migliorarne gli aspetti ritenuti più critici».
In tutti e tre e i casi, i processi hanno mostrato tutte le loro potenzialità e i loro limiti, questi ultimi legati alla quantità e alla qualità della partecipazione attivata, al ruolo dei Municipi nelle procedure, ai tempi di realizzazione dei progetti vincitori per quanto riguarda i bilanci partecipativi. Queste esperienze si sono comunque rivelate preziose per il Comune, che ha appreso anche dai propri errori e ha avviato l’iter per l’aggiornamento del Regolamento per l’attuazione dei diritti di partecipazione.
Il nuovo Regolamento, testo che è anche oggetto di consultazione pubblica (giugno-luglio 2021), prevede l’istituzionalizzazione di nuove pratiche partecipative, tra le quali proprio il bilancio partecipativo e il dibattito pubblico, già sperimentate tra il 2015 e il 2018.

Dalla democrazia partecipativa ai Patti di collaborazione: un nuovo modello

Proprio nelle settimane in cui terminava la seconda edizione del bilancio partecipativo, a marzo 2018 il Comune di Milano avviava, attraverso la Delibera 461, una sperimentazione di dodici mesi sui Patti di collaborazione per la cura condivisa dei beni comuni. I Patti, come sancito in modo esemplificativo nell’articolo 5 della bozza del Regolamento sull’Amministrazione condivisa dei beni comuni a Roma, sono «lo strumento con cui il Comune ed i cittadini attivi concordano tutto ciò che è necessario ai fini della realizzazione degli interventi di cura, rigenerazione e gestione dei beni comuni in forma condivisa». Questa collaborazione, stando all’articolo 1 comma 3 della stessa bozza, «si estrinseca attraverso l’adozione di atti amministrativi di natura non autoritativa».
Già la mera definizione dei Patti sopra riportata lascia bene intendere quale sia la principale differenza tra gli strumenti di democrazia partecipativo-deliberativa e quelli di sussidiarietà orizzontale, nella sua declinazione dell’Amministrazione condivisa. Mentre i primi, infatti, implicano un “dire” dei cittadini alla pubblica amministrazione (con quest’ultima che ha la possibilità di valutare se e in che grado accogliere le istanze dei cittadini, eventualmente motivando le proprie decisioni), i secondi si dispiegano in un “fare” dei cittadini insieme all’ente locale, in un’ottica di condivisione delle responsabilità. Nell’ambito dell’Amministrazione condivisa, infatti, i rapporti tra i cittadini e l’ente sono improntati alla massima parità, e l’ente locale “scende dall’Olimpo” più di quanto non succeda nelle pratiche di democrazia partecipativo-deliberativa.
La sperimentazione ha avuto successo, e nel maggio del 2019 il Consiglio comunale ha approvato il Regolamento intitolato «Disciplina per la partecipazione dei cittadini attivi alla cura, alla gestione condivisa e alla rigenerazione dei beni comuni urbani».

Primi riscontri

Un’analisi dei primi Patti di collaborazione firmati a Milano mostrava come essi, almeno all’inizio, tendessero a concentrarsi fuori dal centro storico della città, nelle sue aree più periferiche, segno di una maggiore necessità di strumenti di questo tipo in queste zone. In media, i Patti erano firmati da un numero non alto di soggetti. Un dato, questo, che non deve stupire. È infatti senza dubbio più semplice giungere a un accordo, e far sì che la collaborazione sia proficua, quando i soggetti coinvolti non sono troppi.
Un altro aspetto che emerge riguardo i firmatari è che nella grande maggioranza dei casi si tratta di soggetti collettivi (associazioni, comitati, anche aziende), e meno spesso di singoli cittadini attivi. Si tratta, di nuovo, di un dato che non deve sorprendere. Da un lato, gli enti collettivi possono avere maggiore dimestichezza nei rapporti con il Comune, magari perché hanno preso parte in passato ad altre policy implementate dall’ente pubblico; dall’altro, essi hanno senza dubbio una maggiore capacità di attivazione per la risoluzione dei problemi del quartiere rispetto al singolo individuo. È, inoltre, probabile che associazioni, comitati, ONG e simili siano più pronte ad “approfittare” delle nuove iniziative dispiegate dal Comune.
Al momento della conduzione dell’analisi (durante la quale è stato intervistato per ogni Patto il rappresentante di un soggetto firmatario) emergeva inoltre un buon livello di soddisfazione nei confronti dell’azione del Comune (in particolare della Direzione Servizi Civici, Partecipazione e Sport) nelle fasi di stesura dell’accordo e di implementazione delle azioni stabilite. Alcuni partecipanti, tuttavia, hanno lamentato alcuni problemi con altri uffici del Comune coinvolti nell’implementazione dei Patti, segno di una macchina amministrativa che forse, allora, non era ancora completamente “a servizio” dei Patti e del tutto oliata e pronta per i cambiamenti che l’adozione di strumenti del genere comporta. Una questione, questa, risolvibile con il tempo: le Pubbliche amministrazioni hanno bisogno, come le persone, di tempo per imparare e adeguarsi alle novità.
Nei mesi successivi, i Patti di collaborazione attuati a Milano si sono moltiplicati. Ciò segnala la disponibilità, da parte del tessuto sociale, a utilizzare sempre di più uno strumento innovativo che riformula il ruolo del cittadino attivo nella società.

Foto di copertina: Milano, Naviglio grande (credits:Alessandra barbieri su Pixabay)

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