Conoscersi attraverso la scrittura autobiografica per riconoscersi parte di un insieme

Pubblichiamo la Tesi di laurea della dott.ssa Maria Irene Phellas, dal titolo “I risVolti umani della “partecipazione autobiografica”: fra crisi identitaria e cittadinanza interiore“. Quella condotta dall’Autrice è una ricerca finalizzata ad osservare come la partecipazione e la scrittura autobiografica rappresentano la chiave di volta del vivere comune, conoscersi e riconoscersi come parte di un tutto, ma anche la base della nostra sovranità, presupposto di un’Amministrazione condivisa della sfera pubblica e privata che ora più che mai si trovano a coincidere.

“Era la primavera del 2015, ad oggi sono passati 5 anni, ma me la ricordo bene, come se fosse ieri, quella telefonata con mia madre, in una piazzetta al centro di Bruxelles.
Tutto è cominciato da allora, o forse tutto si è concluso allora…
Ricordo bene cosa ci siamo dette e quel forte abbraccio rassicurante che seppe darmi anche a distanza, mentre le lacrime copiose mi scorrevano davanti, assieme ai fotogrammi di una vita che non era più mia e che forse non lo era mai stata.
Mi trovavo ad un punto morto!
Ti ritrovi ad un punto morto se hai abbastanza coraggio da rendertene conto e dire a voce alta: «No, io non ci STO!».
In quel momento, all’età di 25 anni, dissi quel NO a voce alta, feci i bagagli e tornai indietro, per andare avanti.
Mancavo IO come, mi sono sentita mancare per anni, come quella domenica in Belgio, «Non so più chi sono, né perché sono qui. Devo ritrovarmi.» – dissi alla mia coinquilina Sabrina.
Una settimana dopo, atterrai a Fiumicino”.

Le crisi della modernità e la cittadinanza interiore

Abbiamo bisogno di ritrovarci!” – afferma Demetrio in uno dei suoi libri; partirei da questo presupposto, il medesimo presupposto da cui sono partita nella mia tesi di ricerca, dal titolo: I risVolti umani della “partecipazione autobiografica”: fra crisi identitaria e cittadinanza interiore.
Abbiamo bisogno di tirare le fila di un’esistenza che ci scorre sempre più anonima e distaccata tra le mani. La politica stessa ha bisogno di ritrovarsi, ha bisogno di ritrovare in primis le “parole dell’anima” come “amore” e “spiritualità” e di acquisire la capacità di creare, di dare forma alle sorgenti più profonde, ai sogni e alle intuizioni di chi la abita.
È solo così, sostiene la studiosa Bruna Peyrot, che si possono stabilire concretamente e collettivamente le modalità del proprio stare al mondo, che si definiscono le forme di partecipazione diretta alla vita reale.
Secondo questa prospettiva, l’individuo sempre più solo, in preda all’autosufficienza si fa invece persona e torna a far parte di un insieme, sostanziando la propria condizione, non solo di diritti e doveri, bensì di luoghi e relazioni; la cittadinanza da formale diviene cittadinanza interiore: un percorso umano fatto di consapevolezze e di linguaggi affettivi che culmina nel rendere l’uomo parte integrante e attiva di ciò che lo circonda, una sorta di “autobiografia vivente e pulsante” della realtà in cui vive.
All’interno del processo di radicamento ad un territorio nascono e si sviluppano così nuovi rapporti interpersonali, volti alla cura di sé e del bene comune. Sono rapporti fondati, a detta della filosofa politica Martha Nussbaum, su emozioni positive quali la compassione, la solidarietà, l’altruismo e che gli individui stessi si impegnano a creare e a mantenere persino con le istituzioni politiche e sociali, le quali a loro volta cercheranno di accogliere, nell’immaginazione, la vita dei diversi gruppi che si propongono di guidare.
Il cittadino in quanto essere umano diviene quindi il motore (im)mobile di un simile cambiamento e, nel porre in risonanza capacità e saperi innati o acquisiti nel tempo, si emancipa rendendosi agente e artefice non solo del proprio destino ma di una nuovo modo di fare ed essere democrazia.

Autobiografia: partecipazione e bene comune

La liquidità baumiana tipica dell’era moderna, subisce in tal senso una battuta di arresto l’uomo si riappropria di un’identità sua, torna ad essere un animale sociale che appartiene al contesto in cui si trova e ne è portavoce: dall’Io si passa al Noi. Le comunità si aggregano dentro di loro e tra di loro, partecipano liberamente e nel rispetto altrui a decisioni comuni attraverso tutta una serie di strumenti giuridici innovativi; si occupano e si preoccupano delle proprie esistenze e narrano storie di cui fare memoria per il futuro, proprio secondo quella “coscienza collettiva” di cui parlava Gramsci nei suoi Quaderni.
La partecipazione e la scrittura autobiografica quindi, come mezzo di condivisione delle pene del quotidiano e delle fragilità derivanti dal sistema (prima e dopo il Covid), rappresentano la chiave di volta del vivere comune, conoscersi e riconoscersi come parte di un tutto sono alla base della nostra sovranità, presupposto di un’Amministrazione condivisa della sfera pubblica e privata che ora più che mai si trovano a coincidere.
La narrazione dei vissuti può acquisire, pertanto, un’intrinseca politicità, perché vorrebbe imporre l’«apertura di spazi di racconto», attivando scelte di valore che hanno a che fare con il significato della propria esistenza. Così quando le storie dialogano tra loro possono diventare pezzi di una progettualità politica, di una proposta altra di cura delle vite. Possono formare un puzzle unico e gigantesco, rispettoso delle diversità.
«Le narrazioni» – sostiene Mezzina – «parlano di autonomia e responsabilità come conquista, acquisita nel tempo, di capacità di self-advocacy, in termini di partecipazione, di richiesta di diritti, di sfera decisionale, nell’ottica di sentirsi parte di una comunità che coltivi valori comuni come intimamente costitutivi di una qualsiasi identità possibile».
In questo si racchiude il senso di quella che nel mio elaborato ho definito “partecipazione autobiografica”, una partecipazione che si riallaccia a quella normativa, per poi superarla, per poi sfuggire nel racconto individuale e collettivo e nell’utilizzo della memoria storica (della Storia con la “s” minuscola), ad «una politica della seduzione sempre più imperante, spesso invadente e disattenta, causa ed effetto di coscienze sopite, poco informate e manipolate» concluderebbe Alessandra Valastro.
Partecipare raccontando, ricominciando dall’oggi o, coniando un neologismo, “autobiografando il quotidiano”, potrebbe costituire il lascia passare per la costruzione condivisa delle risposte politiche ai bisogni della collettività, della collettività di un luogo piuttosto che di un altro, il quale si interroga su di sé e su ciò che la anima.
«Oggi, forse» – come scrive il giornalista e filosofo sloveno Slavoj Zizek – «una forma di globalizzazione senza regole del libero di mercato, con la sua propensione per crisi e pandemie sta morendo. Però ne sta nascendo un’altra, che riconosce l’interdipendenza e il primato dell’azione collettiva basata sull’evidenza dei fatti».
Abbiamo, allora, gli strumenti adatti, citando la filosofa Luisa Muraro, per raccogliere questa sfida, per recuperare il senso della misura che abbiamo perso e possiamo servircene dandoci tutto il tempo necessario al fine di ricucire la nostra esistenza a quella degli altri e farne una maglia di vita e di regole nuove!

Quando dopo un lungo e faticoso tragitto ho deciso di fermarmi e di iniziare a curarmi sotto tanti punti di vista, ho cominciato a capire che il linguaggio dell’anima è in realtà molto più efficace di ogni registro ufficiale, di ogni “paradigma astruso e limbacciato” partorito dall’Accademia della Crusca.
È dunque questo il “sapere affettivo” di cui parlava Barcellona?
Se parli di te o parli per sentito dire, secondo l’opinione di altri… si sente, la differenza si sente è palpabile.
Non ho mai sentito vicino, né tanto meno amico, chi parla per sentito dire, come se fosse un’enciclopedia vivente, come se la propria vita l’avesse studiata anziché vissuta. Non c’è dialogo, non c’è prossimità, sussidiarietà, non c’è intimità, né calore… non c’è niente, non si crea alcun legame, chi ne sa apparentemente di più sta sopra, chi ne sa di meno sotto.
Nascono così le gerarchie, muoiono così le relazioni, quelle autentiche.
Sulla base della mia esperienza, credo che la confidenza e la condivisione dei propri “scheletri” facciano di un rapporto un vero rapporto umano, basato sulla compassione e l’empatia e non sui pregiudizi. È per questo che ho lasciato Bruxelles ed un lavoro ben retribuito, è per questo che nel 2015 ho deciso di tornare a casa, nella mia città, tra i miei affetti più cari e la vita di sempre, è per questo che ho “disfatto i bagagli” una volta per tutte, per dare un senso proprio a quella vita di sempre che si era scollegata e che non mi rispondeva più, per riavvicinarmi a chi si era scollegato come me e non mi rispondeva più.
Alda Merini diceva che abbiamo paura del dolore degli altri perché non diamo voce al nostro dolore… e ho scoperto che l’autobiografia serve proprio a tal fine, a dare voce al nostro di dolore per comprendere a pieno quello dell’altro che ci sta accanto, che ha bisogno di aiuto quanto me o magari più di me.

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Foto di copertina: Rach Teo su Unspalsh