Valorizzare la comunità come Bene comune e l’assistente sociale come “cerniera” tra cittadini e Pubblica Amministrazione

Pubblichiamo il lavoro di Tesi magistrale della dott.ssa Eleonora Drago, dal titolo “Partecipazione e Regolamento: un binomio possibile?“, attraverso il quale indaga su quale ruolo potrebbe ricoprire l’assistente sociale nella società odierna, caratterizzata da una sempre più crescente distanza tra cittadini e istituzioni pubbliche. 

Avviare e monitorare costantemente i processi partecipativi, prima ancora che un fatto tecnico-organizzativo, è una scelta politico-istituzionale che caratterizza in modo originale la situazione europea ed internazionale. Ne parlano le Nazioni Unite nell’Agenda 2030, l’Europa nel piano 21/27, l’Italia, in particolar modo nell’articolo 118 ultimo comma della Costituzione e nell’art. 55 del codice del Terzo settore, fino ad arrivare al livello regionale (alcune Regioni hanno approvato leggi sulla partecipazione) e di molti comuni, che hanno adottato il Regolamento per l’Amministrazione condivisa dei beni comuni. Una bella cornice ideale di riferimento che pone alcuni quesiti: cosa significa veramente “partecipazione”? È possibile collegarla al concetto di Bene comune? Quale può essere il ruolo dell’assistente sociale all’interno di questo percorso?

La partecipazione: tra regole ed anarchia

È giusto regolamentare la partecipazione o si corre il rischio di perdere il suo innato “spirito libero”? Il priore di Barbiana, Don Lorenzo Milani, sulla parete della classe dei suoi studenti aveva affisso il cartello “I care”, mentre il cantautore Giorgio Gaber qualche anno dopo cantava “libertà è partecipazione, libertà non è star sopra un albero”.
In queste poche parole è racchiuso quella che, secondo me, è l’essenza della partecipazione.
“I care” ossia “ho a cuore”, “mi importa”, il motto che Don Milani usava in risposta allo slogan fascista “me ne frego” (ripreso in realtà dagli Arditi durante la Prima guerra mondiale e con tutt’altro significato), sottolinea prima di tutto come la partecipazione non sia un concetto astratto e a 360 gradi, ma sia giusto partecipare a ciò che abbiamo a cuore, a ciò per cui abbiamo interesse nel formarci. Il sacerdote di Barbiana con questa frase vuole rassicurare ogni suo studente che “il tuo problema diventa anche il mio e ne usciamo insieme” ed è quello che dovrebbe essere il valore più alto delle politiche sociali oggi: saper dare risposte collettive a bisogni individuali evitando risposte estemporanee e fini a sé stesse e puntando su una comunità che si fa carico dei problemi e dei bisogni.
Allo stesso tempo però, partecipare non significa guardare le cose dall’alto, ma scendere dal proprio “albero” ed agire tutti allo stesso livello, uscire dall’”io” autoreferenziale per un “noi” comunitario. La partecipazione ha quindi non solo bisogno, ma necessità di essere regolamentata perché è un Metodo ed ha quindi necessità di luoghi, tempi, referenti… e di una costante manutenzione legata al mutamento dei contesti di riferimento. In quanto metodo, la partecipazione ha bisogno di regole, non per irrigidire i percorsi di partecipazione ma per permettere valorizzazione e riconoscimenti, soprattutto in un contesto come quello attuale ricco di sfide e cambiamenti.

Vedere le problematiche attuali come sfide per il futuro

L’astensionismo nelle Amministrative del 2021 non ha fatto altro che sottolineare la crisi dell’attuale sistema di democrazia rappresentativa, mostrando ancora più la distanza ed il vuoto che si è creato tra cittadini ed istituzioni. La politica oggi fatica sempre più a trovare risposte ai cambiamenti demografici, sociali ed economici e raramente riesce ad attuare l’articolo 118 ultimo comma della Costituzione. Le decisioni vengono prese dall’alto e al massimo, per eventuali soluzioni, sono coinvolti esclusivamente gli “esperti” che costruiscono un linguaggio “per pochi”. Risulta spesso più facile mirare alla competizione che alla collaborazione e, per raggiungere un consenso immediato, l’obiettivo principale viene fissato “a breve termine” e non con uno “sguardo lontano”. Una prassi stridente soprattutto in un contesto come quello di oggi dove una pandemia, un evento globale così devastante, ha ancora più sottolineato la necessità di rimanere interconnessi, incrementando il senso di appartenenza come vera azione politica di protezione per i più giovani e di non isolamento per i più fragili.
La vera sfida oggi è quindi trovare strumenti e metodi per permettere un riavvicinamento ed una fiducia reciproca tra cittadini ed istituzioni ed il Regolamento per l’Amministrazione condivisa dei beni comuni insieme ai Patti di collaborazione possono essere un valido strumento partecipativo in questa direzione, per creare capitale sociale, per riprendersi in mano diritti e libertà individuali e per iniziare a mettere in pratica la così detta “politica della cura”. Nell’immaginario collettivo siamo infatti abituati a confinare l’“aver cura” entro un contesto familistico, privato, femminile e questo non solo relega la donna ad un destino segnato, ma non permette nemmeno all’uomo di fare i conti con proprie caratteristiche essenziali di vulnerabilità e fragilità. C’è oggi la necessità di vedere la cura come qualcosa di pubblico e, nel nostro caso, vedere nella gratuità di un piccolo gesto locale un grande valore non solo economico, ma anche di capitale sociale: il benessere di una città non è un dato legato solo al bilancio economico.

L’assistente sociale come cerniera tra linguaggi e mondi che sembrano troppo distanti

Si collega spesso l’assistente sociale al lavoro con l’utenza, con il vuoto, con la “sfiga”, mentre il nuovo codice deontologico (1 giugno 2020) e le nuove sfide portano invece l’assistente sociale ad avere sempre più un ruolo con e nel territorio, con e nella bellezza. Il libro di Gregorio ArenaCustodi di bellezza” parla di Amministrazione condivisa e di Regolamento, ma è bello riportare questa immagine alla figura dell’assistente sociale come di ogni operatore sociale. Essere custode significa essere responsabile, non fregarsene (“I care”), ed associarlo al termine bellezza mostra come non ci occupiamo di qualcuno esclusivamente portatore di bisogno, ma siamo custodi di qualcuno portatore di capacità, ricchezze e bellezza.
Per le sue caratteristiche l’assistente sociale oggi potrebbe proprio ricoprire la figura di raccordo tra cittadini ed istituzioni così necessario: due mondi e due linguaggi che sembrano tanto distanti, ma allo stesso tempo che hanno obiettivi tanto in comune. Mi piace l’immagine della cerniera che in modo rapido e sicuro riesce ad unire due lembi di tessuto che potrebbero altrimenti rimanere distanti. L’assistente sociale potrebbe fare proprio questo: cercare e trovare sempre nuovi strumenti e nuovi linguaggi per permettere un riavvicinamento tra cittadini e pubblica amministrazione, un punto di incontro dove oggi sembra esserci solo distanza.

Inizio di un percorso

Pesaro, una città costiera di circa 95.000 abitanti è una realtà già ricca di progetti e realtà legati alla partecipazione ed al Bene comune, ma a tutt’oggi manca un Regolamento che disciplini queste azioni, ma ancora più che le riconosca e le valorizzi. La difficile sfida che abbiamo di fronte è quella di riuscire ad approvare anche in questa città un Regolamento che non sia omologante, ma che sia di aiuto e supporto alle realtà già esistenti e che non sia approvato dall’alto ma redatto ed approvato in maniera partecipativa. Queste pagine sono solo l’inizio di un percorso, ancora molto teorico e poco pratico, ancora molte parole e poche azioni… ma se non si inizia dalle belle parole e dai bei pensieri, non si potrà mai sognare un bell’obiettivo.

Foto di copertina: Jake Schumacher su Unsplash