La comunicazione pubblica è indispensabile per sostenere i processi democratici, rafforzare la resilienza del Paese e recuperare la fiducia dei cittadini

Avevamo già la consapevolezza di una solida intuizione emersa dall’esperienza sul campo. Ora abbiamo la certezza fornita da un’autorevole ricerca sperimentale. La comunicazione delle politiche pubbliche, concretizzatesi in buone pratiche che “mettono i cittadini al centro dei processi decisionali”, è sempre più considerata strategica: uno strumento abilitante l’Open Government, ossia quel profilo di una cultura della governance delle nostre democrazie fondata su principi quali trasparenza, accountability, integrità e partecipazione.
Lo afferma il primo Rapporto sulla Comunicazione pubblica (Il contesto globale e la strada da seguire) presentato dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo Sviluppo Economico), a febbraio 2022, e frutto della raccolta di dati su politiche e pratiche in 46 paesi e 63 istituzioni (oltre alla Commissione Europea), con un obiettivo preciso: sottolineare la necessità di una buona comunicazione, che coinvolga l’intera infosfera, Terzo settore e volontariato compresi, e che può essere efficace per restituire fiducia verso il settore pubblico, e così contribuire alla rigenerazione di una democrazia insidiata e in crisi di legittimità. Di questi tempi – è palese – è un’esigenza vitale.

Non una sterile lamentela ma una concreta indicazione operativa

Per questo, quando nel nostro ultimo Rapporto sull’Amministrazione Condivisa abbiamo scritto (p.7) a proposito di Regolamento, Patti e strumenti di comunicazione, «a quante altre informazioni preziose avremmo potuto accedere se tutti i comuni che hanno sottoscritto dei patti avessero reso accessibile il lavoro di alleanze intessute nei propri territori?», non era una sterile lamentela, una critica piccata, o una rivendicazione interessata, ma una concreta indicazione operativa. Avvalorata da una netta espressione del Rapporto Ocse: la comunicazione pubblica è da intendersi come la «funzione governativa di fornire informazioni, ascoltare e rispondere ai cittadini in un’ottica di servizio del bene comune».

“Dire” meglio per “fare” bene

Appunto, bene comune… Allora si comincia dal pensare che “dire” meglio è già parte del “fare” bene, perché «lo scambio di informazioni tra governi e cittadini, e il dialogo che ne deriva, sono elementi essenziali della governance democratica e sono funzionali a una migliore definizione delle politiche». Invece l’Ocse dimostra che «molti governi spesso si lasciano sfuggire l’opportunità di comunicare e interagire efficacemente con i loro cittadini» (governi, intesi anche a livello locale). Un potenziale strategico della comunicazione, dunque, inesplorato, non pienamente efficace nel “consentire un dialogo bidirezionale” e invertire quella tendenza (come abbiamo constatato nel nostro lavoro) purtroppo consolidata: «un approccio tattico, piuttosto che strategico, alla comunicazione», ossia puntare ad ottenere (spesso, fortunatamente non sempre) preferibilmente qualche successo di visibilità contingente piuttosto che avviare un dialogo «più che mai necessario per sostenere i processi democratici, rafforzare la resilienza dei nostri ecosistemi dell’informazione e recuperare la fiducia dei cittadini, essenziale per superare le crisi attuali e quelle future» (si veda la pandemia da Covid-19).

Indicazioni per una comunicazione pubblica più efficace

Ma per fare questo salto di qualità in modo strutturale e continuo, occorre un cambiamento culturale. Che l’Ocse individua tracciando una vera tabella di marcia “per costruire una funzione della comunicazione pubblica più efficace”: 1) rafforzare la governance della Comunicazione pubblica (ossia, strutture istituzionali e mandati, strategie e pianificazione, coordinamento, nonché risorse umane e finanziarie che possano sostenere l’istituzionalizzazione e la professionalizzazione di tale essenziale funzione governativa); 2) passare a una comunicazione pubblica di tipo “evidence-based e data-driven”, basata cioè sulla valorizzazione e la diffusione dei dati (su questo la nostra condivisione alla campagna #DatiBeneComune è una conferma); 3) valutare le attività di comunicazione pubblica in termini di impatto delle politiche (assicurarsi che questa stia di fatto raggiungendo gli obiettivi di policy perseguiti, a cominciare – aggiungiamo – dall’utilizzo del patrimonio comune condiviso); 4) promuovere una comunicazione agile in un’era digitale veloce e in continua evoluzione (una comunicazione bidirezionale che sia diretta, interattiva e su misura, affrontando le principali sfide che possono insorgere, e per questo sosteniamo che le esperienze, le informazioni e le idee dei cittadini attivi sono preziosissime); 5) rispondere alla misinformazione e alla disinformazione con azioni di comunicazione pubblica; 6) utilizzare la comunicazione per favorire un processo di apertura e il miglioramento delle politiche e dei servizi pubblici.

Una nuova spinta per la condivisione di informazioni e best practice

Qui – osiamo concludere così – si sfonda la classica “porta aperta”: noi siamo totalmente d’accordo, e non solo dopo gli anni di crisi, ma da sempre. «Più comuni inizieranno a condividere informazioni e a raccontare l’esperienza dei patti sui propri canali istituzionali, più saranno le energie che potranno finalmente liberarsi», abbiamo scritto a margine del Rapporto 2021. Bene, ora nel quadro di un sistema lungimirante e condiviso anche a livello internazionale, il principio si rafforza e si rilancia.

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Foto di copertina:  Dima Pechurin su Unsplash