Quanti giri attorno al mondo ha fatto il metodo Montessori, partendo dall’Italia e poi ritornandoci. Spero spesso che qualcosa di simile succederà all’amministrazione condivisa dei beni comuni e dei servizi pubblici. Così ho accolto con grande entusiasmo un invito speciale, perché arrivato da persone con profili diversi, tutte interessate a capire meglio come sia partito e come stia andando lo straordinario laboratorio italiano di sussidiarietà orizzontale. Non mi era mai capitato che le mie spese di viaggio e alloggio fossero sostenute da una vera e propria colletta multi-attoriale, e ritengo questo dato molto più di un semplice dettaglio (anche perché ho chiesto se erano soliti fare così e mi hanno risposto di no, che è stata per loro la prima volta). Come quando, dal 2014 ad oggi, abitanti attivi dai profili più diversi scaricano il Regolamento per l’amministrazione condivisa dal sito di Labsus, allo stesso modo, ma al di là dell’oceano, ho percepito la stessa sete di cambiamento. La sensazione è quella di un’umanità alla ricerca urgente di concrete forme di co-gestione delle risorse comuni e dei servizi di interesse generale. Ci sono nel mondo energie civiche e professionali che volentieri si metterebbero al servizio di una rivoluzione tanto silenziosa quanto potente della democrazia locale. Innovazioni strutturali del diritto amministrativo comprensibili a chiunque, come i patti di collaborazione, si rivelano essere dispositivi tanto semplici quanto geniali.
L’amministrazione condivisa: una prassi invidiata all’estero
In un articolo pubblicato lo scorso settembre e intitolato “Ecco il Québec che si prende cura dei beni comuni” Catherine Chouinard e Flavie Lavallière presentavano la delegazione canadese che avevo introdotto al nostro approccio collaborativo, in un incontro a Milano organizzato da Enzo Pezzini. Fu un incontro breve, simile a un colpo di fulmine reciproco. Loro scoprirono, grazie a Gianfranco Marocchi e a me, due dinamiche sorprendenti. Da un lato in Italia da quasi un decennio stiamo teorizzando e praticando l’amministrazione condivisa dei beni comuni, in centinaia di città e territori sparsi lungo la penisola, attraverso migliaia di patti di collaborazione aperti anche a singoli individui e gruppi informali. Vi posso assicurare che questa apertura suona incredibile, ad orecchie straniere. Dall’altro lato – grazie a una sentenza-bomba della Corte costituzionale emessa nel 2020, dunque in piena pandemia – si riflette e si pratica nel nostro Paese l’amministrazione condivisa dei servizi pubblici, attraverso processi di co-progettazione e co-programmazione svolti da pubbliche amministrazioni insieme ad enti del terzo settore. Di nuovo, testimonio un’assoluta incredulità dei non-italiani alla precisazione che tali processi possono portare a scelte che non sottostanno a criteri solo economici.
Un territorio fertile per la sussidiarietà orizzontale
Io, a mia volta, annusai già dai primi loro feedback, e dopo questa missione a Montréal “me ne sono fatta ancor più persuasa” (per usare un’espressione di Camilleri), che il Québec è potenzialmente un ecosistema unico in cui il mix franco-anglosassone potrebbe risultare di una fertilità eccezionale per semi quali i concetti di sussidiarietà orizzontale, amministrazione condivisa, diritto alla cura dei beni comuni, co-progettazione e co-programmazione dei servizi pubblici, rapporti paritari tra cittadini attivi e responsabili sia tecnici che politici della pubblica amministrazione, patti di collaborazione sempre aperti a persone che vogliano dare il proprio contributo. Infatti, se è vero che in Francia vige una cultura pubblica molto dirigista e autoritativa, è anche vero che i francesi sono a mio parere tra i popoli più attenti ai propri diritti. Non so quanto consapevolmente, ma in Italia stiamo lavorando duro, fuori e dentro ai municipi, per rendere evidente al mondo che gli abitanti attivi devono avere diritto di prendersi cura dei beni comuni. La molla è la loro autonoma iniziativa, come afferma dal 2001 l’articolo 118 ultimo comma della Costituzione italiana: e questa è una caratteristica molto diversa dalla partecipazione promossa dai soggetti pubblici. Ma, a questo riguardo, è invece forte e radicata la cultura anglosassone, dove lanciare spontaneamente iniziative di interesse generale è cosa assai più easy e sburocratizzata.
Se il nostro viaggio fosse un fumetto
Ci sono sogni, emozioni e pensieri che mi pare di esprimere meglio disegnando. Perciò continuo il racconto con una mini graphic novel amatoriale che tenta di illustrare la mia meravigliosa settimana a Montréal. Integro giusto con qualche breve riga di testo, così da tradurre in italiano i fumetti francesi. Ultima nota: se avete informazioni, curiosità, idee in merito a possibili ponti democratici e cooperativi tra Italia e Canada, grazie per scriverci a contatti@labsus.net.
“E se lungo la via pedonale del centro, il Plateau Mont-Royal, gli artisti di strada cantassero le gesta di chi si prende cura dei beni comuni a Montréal?”. Come ad esempio tutti i gruppi attivi nella Cité des Hospitalières, che si apre ad accogliere nuove energie chiedendo: “Vi piacerebbe partecipare al progetto transitorio, a voi o alla vostra organizzazione?”
Tra mondo accademico e terzo settore: sono una donna ibrida e felice, invitata da una parte da Communagir – una organizzazione non a scopo di lucro che si dedica allo sviluppo delle città e dei territori in Québec – e dall’altra dall’Ecole hautes études commerciales di Montréal, dalla Saint Paul University di Ottawa, dal centro di ricerca sulle innovazioni sociali CRISES e dai tanti altri soggetti indicati nei fumetti.
P.S. Di sicuro ho dimenticato qualcuno tanto nel testo scritto quanto nei disegni: chiedo perdono. Ringrazio ancora di cuore per l’accoglienza che mi avete riservato, per i tanti apprezzamenti al lavoro di Labsus ma soprattutto per l’interesse al lavoro che stanno portando avanti tanti abitanti attivi fuori e dentro i municipi italiani: una comunità unica di persone, insieme al lavoro per l’amministrazione condivisa dei beni comuni e dei servizi pubblici.
Foto di copertina: Michael Descharles su Unsplash