La “nuova era” dei beni comuni raccontata attraverso le categorie fondamentali del nostro tempo

Pubblicata prima dell’autunno dello scorso anno, quest’opera collettiva, a cura di Nicole Alix, Jean-Louis Bancel, Benjamin Coriat e Frédéric Sultan, segna una tappa importante nel percorso di conoscenza del vasto universo del “comune”.

Il volume, la cui genesi risale ai lavori del primo convegno di Cerisy dedicato al tema dei beni comuni – il secondo ha avuto luogo nel settembre 2017, organizzato da Laval, Sauvêtre e Taylan, mentre il terzo si terrà nel luglio prossimo, sotto la direzione di Bucolo, Fontaine e Defalvard – mostra fin dalle primissime pagine una chiara ambizione: non essere un mero contenitore di riflessioni, nell’ambito di una pregevole operazione di ricognizione critica delle idee, ma un vero e proprio strumento di orientamento nella congerie di soluzioni possibili.
I concetti necessitano di essere delimitati per diventare operativi nella costruzione di nuovi modelli giuridico-economici, che permettano di oltrepassare i limiti di un’affermazione precaria o di un’esistenza finalizzata all’adempimento di una funzione solo riparatoria delle disfunzioni create dall’attuale modello di sviluppo. Dopo un’introduzione generale, che illustra in modo diligente gli obiettivi e la struttura con cui si è scelto di organizzare i vari contributi all’interno dell’opera, il lettore si trova davanti cinque diverse sezioni, ognuna caratterizzata da un tema centrale e ognuna introdotta da alcune pagine di presentazione.
Sono cinque appunto le categorie che, a parere dei curatori, debbono essere inevitabilmente analizzate per leggere l’economia e la società di oggi: il lavoro, l’impresa, lo sviluppo del digitale, la struttura dei territori e l’azione pubblica. Qualsiasi progetto di cambiamento deve passare da questi “punti cardinali” per potersi proporre come una valida e plausibile alternativa.

Il rapporto con l’economia sociale e solidale

Un filo rosso lega il mondo dell’economia sociale e solidale e delle sue organizzazioni (associations, mutuelles e coopératives, etc.) – in Francia l’ESS rappresenta un settore importante capace di catalizzare istanze diverse di emancipazione rispetto ai circuiti economici tradizionali – all’universo vitale dei communs. L’ipotesi, che attraversa molti capitoli di questo volume, è che secondo un processo di reciproca influenza i due poli possano l’uno contribuire alla rigenerazione e al rinvigorimento dell’altro. Nel caso della cooperazione, si ritiene che i beni comuni siano in grado di restituire a essa lo spirito delle origini sovente annullato dalla prevalenza di meccanismi di isomorfismo istituzionale.

Il comune nelle diverse forme e modalità organizzative del lavoro

Nel volume, il primo epicentro della diffusione del comune, come componente essenziale dell’ordine economico e sociale, è rappresentato dal lavoro. Il capitolo di apertura, scritto dall’economista Oliver Weinstein, muove dal presupposto di indagare le configurazioni possibili di organizzazione della vita lavorativa all’interno di questo prisma di analisi: come cooperativa di produzione, come insieme di risorse comuni, come cooperativa di attività e occupazione e infine come commons based peer production.
Della terza forma illustrata si occupa diffusamente il capitolo seguente, curato da Laura Aufrère e Noémie De Grenier. Le autrici esaminano le relazioni, talvolta contraddittorie, che possono instaurarsi tra autonomia e subordinazione, nelle sfumature a toni decrescenti dei vincoli ma anche dei sistemi di tutela e di protezione sociale. Infine, a chiusura della sezione, Antonio Casilli illustra il concetto di digital labor, nelle sue molteplici manifestazioni, accomunate dal “gesto del click”, compiuto da un dito che, secondo una lettura anche letterale dell’espressione, assume una connotazione “produttiva”. Verrebbe da chiedersi se l’innovazione sia sempre sinonimo di progresso e se quest’ultimo coincida necessariamente con il concetto di sviluppo, evocando delle riflessioni di pasoliniana memoria.

Proposte per ridefinire l’impresa alla luce dell’interesse generale

Questa sezione affronta il tema della relazione che lega le attività imprenditoriali e la comunità che le crea o a cui esse si rivolgono, rifacendosi all’insegnamento di Karl Polany e richiamando l’idea di una pluralità di modelli di integrazione economica che convivono tra di loro. Si cerca di interpretare le prime come strumento a favore della seconda e di concepire in quest’ottica strumenti giuridici ed economici che permettano di favorire l’interesse generale mediante l’impresa.
Aurore Chaigneau rilegge la struttura di quest’ultima con le lenti del comune, proponendo alcune possibili evoluzioni. Jean-François Draperi fa invece appello al movimento cooperativo, come fonte di ispirazione per i beni comuni. Entrambi condividono, sottolinea l’autore, l’intrinseca sinergia fra teoria e prassi, a partire dal concetto della doppia qualità, in base al quale i soci cooperatori sono gli utenti stessi della cooperativa e le regole dell’organizzazione sono stabilite dagli stessi soggetti alle quali si applicano. Nella sua lettura, l’epoca attuale sarebbe quella delle “meso-repubbliche intercooperative”, facendo ricorso al termine “repubblica”, riferimento sotteso alla maggior parte dei contributi. A seguire, Marguerite Grandjean affronta la tematica delle piattaforme digitali dell’economia collaborativa, cercando di capire come si condivide in esse il potere e il valore, a fronte anche dei monopoli rappresentati dalle cosiddette netarchie (Bauwens). Alla fine, Michel Bauwens, cofondatore della P2P Foundation, e Maïa Dereva si pongono l’ambiziosa domanda “Come creare una vera e propria economia del comune?”.

Il mondo digitale: il nuovo (sacro) Graal dei beni comuni

La non rivalità che caratterizza i commons immateriali digitali sfida i limiti dei commons tradizionali e fornisce spazi nuovi da percorrere grazie alle potenzialità delle reti, immense e innumerevoli.
Attenzione però alle semplificazioni eccessive: non tutto quello che è in accesso aperto rappresenta un bene comune, una rete per essere definita come tale deve rispettare una serie di condizioni ineludibili. Deve essere gestita da una comunità autorganizzata – condizione di commons property regime – oppure deve essere soggetta a una regolamentazione efficace, che impedisce la formazione di poteri asimmetrici – situazione degli open commons. Judith Rochfeld si chiede, nel suo contributo, se sia possibile “sacralizzare” i regimi di accesso aperto per preservarli e per realizzare una migliore redistribuzione del valore dagli stessi generato. La prospettiva è quella della positivizzazione del concetto di “patrimonio pubblico informatico”, da accompagnare alla nozione di “comunità diffusa”.
Sul medesimo crinale giuridico-legislativo si muove anche il capitolo successivo, articolato attorno al dibattito parlamentare che ha accompagnato il progetto di legge “Pour une République numérique”. L’articolo 8 del testo normativo, ci spiega Lionel Maurel, oltre a cristallizzare una definizione positiva di bene comune immateriale della conoscenza, avrebbe permesso alle associazioni di agire in giudizio per la difesa dello stesso. La storia di come la disposizione sia sparita dalla versione definitiva della legge è narrata in modo critico dall’autore. A seguire, Françoise Benhamou, nel suo capitolo, approfondisce il tema dell’open acces nell’ambito delle riviste scientifiche e infine Sébastien Broca e François Moreau riflettono sui possibili modelli di business per i commons digitali.

Beni comuni, città e territori

Come possono le iniziative dei cittadini servire al bene comune? I primi due capitoli della quarta sezione rispondono a questa domanda illustrando esempi di una vera e propria “rivoluzione municipale”, che sembra gettare le basi di una nuova democrazia, alternativa a quella partecipativa e deliberativa, la “democrazia contributiva”. Gregorio Arena accompagna il lettore alla scoperta del modello italiano dell’amministrazione condivisa e dei Regolamenti che si sono diffusi in modo contagioso in tutta la Penisola. Pierre Sauvêtre porta, invece, l’esempio di Barcelona en comu, quale pratica politica originata dall’esperienza del Movimiento 15M, in seguito inserita in un ragionamento più teorico. L’autore sottolinea la distinzione, sottile ma essenziale, tra “Barcellona dei beni comuni” e “Barcellona in comune”, spingendosi a prospettare la possibilità di una federazione internazionalista delle municipalità in comune.
Il protagonismo civico, in modi diversi ma non contrapposti, contraddistingue questa prima parte della sezione: dietro le istituzioni si muovono prassi di esercizio condiviso del potere. La promozione di sistemi di autorganizzazione, che rimettono in discussione la lettura tradizionale dei concetti di bene e servizio pubblico, è la base che orienta il capitolo a cura di Hervé Defalvard. L’economista propone un progetto di visione alternativa dell’impresa quale bene comune del territorio, immaginando una dimensione policentrica e la realizzazione di una simile idea attraverso le possibilità offerte nel diritto francese dallo strumento della loi d’expérimentation. In conclusione, Stéphanie Leyronas riflette su come sia possibile ripensare l’aiuto pubblico allo sviluppo grazie al comune e alle sue potenzialità teoriche e pratiche.

L’azione pubblica come ultimo ma ineludibile tassello

Vers une République des bien communs?” termina con la sezione dedicata al tema dell’azione pubblica. E finalmente la République trova uno spazio tutto per sé all’interno dell’opera. Il primo capitolo, a cura di Yannick Bosc viene dedicato, secondo le linee della ricostruzione storica, all’idea di Repubblica formatasi a seguito della Rivoluzione francese. L’autore si interroga sul perché un progetto repubblicano concepito come “un comune” si sia evoluto in una concezione di protezione degli individui fondata sul diritto di proprietà esclusiva e la libertà illimitata del proprietario. Sarah Vanuxem esplora invece le repubbliche berbere del Marocco, come esempio di comunitarismo contadino. La questione che si pone è quella della visibilità ma anche della capacità di fare massa di esperienze altrimenti isolate. A seguire, Fabienne Orsi interviene proprio sulla questione dei meccanismi di potere che si instaurano nel rapporto tra Stato e communs. L’Italia occupa, nel capitolo, un ruolo di esempio con il referendum del 2011, ma soprattutto con l’esperienza della Commissione Rodotà, che oggi ritrova nuova linfa vitale grazie alla campagna del Comitato Popolare di Difesa Beni Comuni, Sociali e Sovrani: verso una proposta di legge di iniziativa popolare sui beni comuni, a cui anche Labsus ha aderito.
Negli ultimi due capitoli si parla, infine, di finanza – nel capitolo a cura di Catherine Karyotis, che immagina come possa costruirsi un sistema finanziario al servizio della società – e di rapporto con la legge e più in generale col diritto. Valerie Peugeot conclude l’opera con una rassegna di leggi francesi che sembrerebbero porsi in un’ottica di apertura rispetto ai beni comuni – dalla Loi Alur sull’accesso alla casa e l’urbanistica, la legge sull’ESS, la legge sulla République numérique, a quella sulla protezione della biodiversità. Tanti piccoli segnali di una trasformazione in corso? In questo caso non è la risposta ciò che conta ma la domanda stessa, che mostra come il passaggio dal riconoscimento giuridico sia fondamentale per rendere concreta ogni aspirazione o desidero di cambiamento.

Rien de grand ne peut se faire sans passion

Il lettore ha davanti diverse opzioni di lettura. Può farsi trasportare con curiosità nella conoscenza dei differenti ecosistemi complementari presentati nel volume, che offre, come una mappa, le varie direzioni verso cui orientarsi, ma anche degli approfondimenti necessari per evitare di rimanere fermi alla superficie dei fenomeni. Può, poi, riconoscersi in molti di essi e dunque partecipare all’arricchimento del dibattito sulla loro complessità. Come nella ricerca-azione, dove il ricercatore è al contempo studioso e attore, l’opera si rivolge al suo pubblico cercando di coinvolgerlo nella finalità che la muove: contribuire alla continuità delle tante iniziative che insieme costituiscono le nouvel âge des communs.
Questo libro nasce in fondo dall’esperienza dello scambio di idee che caratterizza, rendendola un unicum, la tradizione dei convegni che si tengono ogni anno nel castello di Cerisy, in Normandia, luogo magico nel quale a poco a poco ci si abitua a trasformare ogni momento e ogni spazio in un dibattito scientifico e culturale. Tra suggestioni e pensiero critico, queste pagine sanno restituire l’energia e la passione di chi le ha scritte, in un movimento che dall’Esagono si muove verso il resto dell’Europa e oltre.
Con un monito, che ha il sapore dell’auspicio: essere consapevoli del fatto che “Rien de grand ne peut se faire sans passion” (pag. 12).