Lo scenario è lo stesso del primo incontro, che si è svolto il 2 febbraio alla presenza del presidente di Labsus Gregorio Arena: il centro sociale Orti Montenero dove si riuniscono giovani e anziani della zona. Se, in quel caso, il tema era stato quello ampio dell’amministrazione condivisa, venerdì 27 febbraio si è discusso invece di come questo nuovo modello cambi la comunicazione pubblica, ma anche dei casi realizzati in altre realtà e di come si possano costruire interventi di sussidiarietà orizzontale.
Verso la comunicazione di interesse generale
La prima parte del pomeriggio, con Francesca Romana Capone, caporedattore per le relazioni esterne di Labsus, si è incentrata sul tema della comunicazione. Se è vero che la sussidiarietà orizzontale può modificare il modo di amministrare, essa incide anche sulla comunicazione pubblica, ponendo al centro l’interesse generale. Non è allora solo l’ente che è ‘titolato’ a comunicare, ma tutti coloro che si prendono cura dei beni comuni, compresi, quindi, i singoli cittadini.
Ma il modello di amministrazione condivisa induce anche a ripensare il quadro delle politiche degli enti locali: da un modello centralizzato, a uno basato sulle ‘policy’, ovvero sugli interventi integrati e trasversali che coinvolgono più strutture dell’ente e più soggetti del territorio. Questo approccio si adatta perfettamente alle azioni di sussidiarietà orizzontale, ed è necessario tenerne conto nell’ambito della comunicazione.
Se la comunicazione mira a incidere sui comportamenti, essa deve essere in grado di mediare tra i diversi interessi in gioco e di gestire i potenziali conflitti. Nell’ambito del nuovo modello di amministrazione prefigurato dall’articolo 118 della Costituzione questo è possibile poiché i cittadini partecipano attivamente non solo al processo decisionale, ma anche all’attuazione delle politiche di sviluppo dell’ente locale.
Esempi importanti
Come questo sia possibile lo ha dimostrato la seconda parte della giornata, durante la quale Filippo Ozzola, caporedattore della sezione Casi ed esperienze del sito Labsus e coordinatore dell’Osservatorio della sussidiarietà sui media realizzato in collaborazione con l’università di Bologna, ha illustrato alcuni casi.
Oltre a mostrare esempi contenuti nell’ormai ampia banca dati di Labsus, Filippo ha portato l’attenzione su alcuni elementi che contraddistinguono le diverse esperienze. Illustrando la griglia teorica messa a punto nell’ambito dell’Osservatorio, ha dimostrato come i casi possano essere diversi quanto all’oggetto (il bene comune tutelato), all’iniziativa (dei cittadini o dell’amministrazione), al grado di coinvolgimento della Pa (facilitazione, indifferenza, ostacoli), alle risorse messe in campo (private o pubbliche).
Ogni caso è una storia a sé, ma quello che premeva sottolineare in quella sede era la vastità dei possibili ambiti di intervento – i beni comuni possono essere materiali o immateriali – nonché gli aspetti sui quali porre attenzione. Tra questi, l’importante distinzione tra beni comuni e beni pubblici, che non sempre coincidono (l’acqua è un bene comune ma anche un bene pubblico, poiché pubblica è la responsabilità; l’integrazione sociale in senso lato è molto più difficilmente catalogabile).
Iniziamo a discutere
L’ultima mezz’ora è stata dedicata a una discussione con i partecipanti – giovanissimi e anziani, italiani e figli di stranieri – per iniziare a ragionare su quali beni comuni essi ritengono più ‘bisognosi di cura’ nella propria realtà.
La discussione, non certo esaustiva, ha però evidenziato un fatto importante: tutti si sono concentrati su beni ‘immateriali’: dalla lotta alla solitudine, all’integrazione interetnica, alla relazione tra le generazioni. Una prima base sulla quale costruire l’appuntamento del 27 marzo, che dovrà portare all’avvio di microprogetti nella città.