Sicurezza integrata, ronde e volontari per la sicurezza

Tre diversi modi di intendere la partecipazione dei cittadini alla cura della sicurezza urbana


Il 2 marzo 27 il ministro dell’Interno, Giuliano Amato, con il viceministro Marco Minniti stipulava il Patto per la sicurezza tra il ministero dell’Interno e l’Anci, intesa che interessava tutti i comuni italiani e i sindaci delle città metropolitane, per favorire l’esercizio di iniziative condivise da tutti i Comuni, nell’ottica di un rapporto di sussidiarietà tra gli organismi statali e gli enti locali.

La sicurezza urbana integrata di Amato
Il Patto fissava alcuni aspetti fondamentali per promuovere e assicurare la sicurezza sul territorio, tra cui il reclutamento, la formazione e l’aggiornamento professionale costante del personale dei corpi di polizia municipale e di tutti gli operatori della sicurezza.

Una questione sociale che non implicasse unicamente la questione dell’ordine pubblico, un grande impegno di solidarietà tra le istituzioni e, soprattutto, un approccio misurato che tenesse conto delle differenti realtà locali nel Paese.

In applicazione di queste linee guida a Perugia è stata avviata un’esperienza di sicurezza urbana integrata.

Le “ronde” di Maroni

L’attuale Governo con il cosidetto “Pacchetto sicurezza” ha inteso porre l’attenzione sul tema della sicurezza nelle città al fine di rafforzare, come ha dichiarato lo stesso ministro dell’Interno Roberto Maroni, “un contrasto più efficace dell’immigrazione clandestina, una maggiore prevenzione della microcriminalità diffusa attraverso il coinvolgimento dei sindaci nel controllo del territorio e una più incisiva lotta alla mafia grazie alla norma che prevede l’aggressione ai patrimoni dei boss”.

Nel settembre 28 il sottosegretario Davico ha anche stipulato un protocollo di intesa con l’associzione che rappresenta i piccoli comuni italiani.

Nell’ambito del decreto legge di contrasto alla violenza sessuale del febbraio 29, inoltre, il Governo ha previsto la possibilità per i sindaci di valersi della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati in grado di segnalare agli organi della sicurezza urbana situazioni di disagio sociale.

La sicurezza partecipativa per le autonomie territoriali

Sul tema sono intervenute anche le autonomie territoriali e Labsus ha già pubblicato un dossier prodotto dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome sul pacchetto sicurezza del 28.

Molto più coerente con lo spirito della sussidiriarietà calato nell’art. 118, ultimo comma, della Costituzione è lo spunto della legge regionale 24 del 23 dell’Emilia Romagna , laddove prevede la presenza sul territorio di “volontari per la sicurezza”. L’art. 8 della legge regionale, infatti, dispone la presenza l’impiego di forme di volontariato per promuovere l’educazione alla convivenza e il rispetto della legalità, la mediazione dei conflitti e il dialogo tra le persone, l’integrazione e l’inclusione sociale sottoposte al coordinamento del Comandante della Polizia Municipale.

La chiave di lettura è molto diversa da quella evocata dal decreto dell’attuale Governo. Si tratta, precisamente, di cittadini, liberi di associarsi e di impegnarsi per la propria cittadinanza e di agire “amichevolmente” sul tessuto sociale in cui loro stessi vivono. Si occupano del loro quartiere, della sorveglianza delle scuole o della pulizia dei parchi pubblici nel loro contesto sociale, ma senza la facoltà di sorvegliare, di vigilare sul territorio come invece è previsto per le “ronde”.

I cittadini possono essere chiamati ad essere parte attiva di una politica per la sicurezza in molteplici modi, collaborando con l’ordine di pubblica sicurezza, con l’amministrazione locale e le forme di volontariato, per riqualificare luoghi degradati o promuovere forme di socialità tra culture diverse volte ad una migliore conoscenza della società multietnica per trovarne una fonte ricchezza, senza averne paura.