La corretta positivizzazione del principio richiede che lo Stato sia inteso come strumento attraverso il quale gli individui e le forze sociali possano strutturare la loro vita, partecipando attivamente alla gestione della comunità 

La nozione di sussidiarietà viene identificata come propria dei nostri giorni ma ciò non toglie, a parere dell’Autore, che le premesse poste a fondamento della sua essenza siano da identificare nel pensiero classico.

Basandosi sull’endiadi capacità-autonomia, questi riconduce, infatti, l’ideale di sussidiarietà dapprima ad Aristotele, che considera l’individuo come fulcro del sistema politico, poi a Tommaso d’Aquino, che pensa la società come campo di azioni in cui vibrano forze attive e che delinea un parallelo tra lo Stato e la Provvidenza divina, la quale rispetta la libertà della sua creatura, nonché, infine, ai filosofi del XVIII secolo che parlano di Stato come “male necessario” aspirando, però, ad un contenimento della sua forza espansiva a vantaggio della libertà individuale.

Ruolo fondamentale nello sviluppo del principio di sussidiarietà è, poi, affidato alla Chiesa. E’ la dottrina sociale a delineare i contorni di quell’idea secondo cui sarebbe un’ ingiustizia sottrarre all’individuo la possibilità di realizzarsi mediante la propria iniziativa e il proprio impegno. L’enciclica Quadrigesimo anno di Pio XI afferma, infatti, come ricorda l’Autore, che qualsiasi opera sociale, in forza della sua natura, deve aiutare i membri del corpo sociale, mai distruggerli e assorbirli.

Dopodiché sussidiarietà e solidarietà vengono poste, nello scritto, su un piano di complementarietà, ritenendo che una tale fusione rappresenti il metodo generale proposto dalla Chiesa per tradurre in senso storico politico il valore della carità.

L’analisi passa poi attraverso l’applicazione normativa del principio di sussidiarietà negli Stati contemporanei. Il liberalismo costituzionale tedesco è quello che fa emergere, nel diritto, il concetto di sussidiarietà. In questo contesto si afferma, infatti, l’idea secondo cui lo Stato debba intervenire nella misura in cui l’azione individuale o associativa sia impotente a raggiungere gli scopi prefissati.

Non da meno è il modello statunitense che, oltre ad aver applicato la sussidiarietà verticale attraverso il federalismo, s’ “impregna” di sussidiarietà orizzontale, specialmente nella visione del libero mercato. Ed in ultimo vi è la realtà Comunitaria, che si prefigge, dal momento della sua nascita, l’ideale dell’ “Europa dei cittadini”.

La trattazione termina con l’illustrazione del percorso legislativo che ha avuto luogo nel nostro Paese con l’intento di tradurre in realtà concreta quanto affermato nel Codice di Camaldoli e cioè la necessità di avere uno Stato configurato come strumento attraverso il quale gli individui e le forze sociali potessero strutturare la loro vita, partecipando attivamente alla gestione e alla organizzazione della comunità. Aprono la strada i principi costituzionali per poi chiuderla le più recenti riforme dell’amministrazione. L’Autore sottolinea il mancato raggiungimento dell’obiettivo e lo imputa a posizione ideologiche che avrebbero visto nell’applicazione del principio di sussidiarietà il rischio di compromettere i diritti fondamentali affermati in Costituzione e necessariamente affidati alla tutela statale.

L’Autore confida, comunque, in questa luce che, seppur “mitigata”, penetra nell’esperienza giuridica e gradualmente si afferma. Ritiene, però, imprescindibile, per poter superare i pregiudizi, concepire la sussidiarietà orizzontale come “responsabilità”, o meglio come “shared responsability”.

DURET P., La sussidiarietà orizzontale: le radici e le suggestioni di un concetto, in Ius, 2, 95 ss.