In uno degli " idòla " di Laterza, Ugo Mattei cerca di sfatare l'annoso tabù

Preoccupa più la debolezza della critica alla proprietà  privata che la forza di quest'ultima

Ugo Mattei, già  noto per le sue battaglie referendarie per i beni comuni e per il sodalizio stretto con  Sefano Rodotà , ha deciso di sposare il progetto di Laterza di collezionare una serie di saggi che mettono in discussione numerosi dogmi della civiltà  contemporanea.

Ripercorrendo la storia di quella proprietà  che da ” privata ” è divenuta ” privante ” , l’autore analizza il percorso intrapreso dal capitalismo moderno; dalle enclosures britanniche al fenomeno del land grabbing, la cultura occidentale ha avviato un percorso unilaterale che, grazie al prezioso aiuto del polivalente ombrello della globalizzazione, ha condotto i cittadini dei vari continenti ad obbedire ad una logica di mercato che mai si sognerebbe di mettere in dubbio un principio che ha finito per obbligare i rappresentati di tutto il mondo ad obbedire alle regole che ne derivano.

E’ interessante l’analisi dell’autore che offre una panoramica vasta ed originale, elencando le difficoltà  che sono costretti ad affrontare, gli abitanti del cosiddetto Terzo mondo ed anche, la vera novità  sembra essere questa, i più abbienti. Quest’ultima categoria è inconsapevole dei vincoli che limitano di fatto la loro tranquilla vita di proprietari. Il paragone fra gli indiani d’America, privi perfino della conoscenza del termine proprietà  e vittime delle conquiste europee, e i paria indiani costretti a cedere i loro ” possedimenti ” alle multinazionali della risorta Asia capitalista, appare quanto mai appropriato.

Vietato parlarne, vietato opporsi, vietato financo ” guardare dentro il vaso di Pandora pieno di contraddizioni della modernità  ” e intavolare una discussione che sappia se non altro contestare un principio che, alla luce dei fatti, appare quanto meno fallimentare.

” Preoccupa più la debolezza della critica alla proprietà  privata che la forza di quest’ultima ” , afferma Mattei nelle prime pagine del suo ultimo lavoro. Nessuno sa più ricondurre alla proprietà  privata quella distruttiva potenza privante che garantisce, sempre e comunque, il godimento di un bene a qualcuno a discapito di altri.

Una legge del più forte, palesemente truccata, che mette sul piatto del vincitore un premio che non può che apparire sproporzionato: la libertà .

Una libertà  fittizia, taroccata, obsoleta che soddisfa i vizi ed i lussi di una minima percentuale di ” Bill Gates di turno ” , promettendo la menzogna di un godimento fruttuoso all’enorme esercito dei piccoli proprietari. E’ stato facile per i difensori del liberismo a 360 ° tacciare di illibertà  i critici di quel sistema; Mattei spiega invece con maestria come sia opportuno ascoltare, tra gli altri, Amartya Sen per capire che se di illibertà  si deve parlare, queste ultime sono le figlie più che legittime di quella che l’autore definisce una proprietà  privata e privante.

Le cause vanno senza dubbio ricondotte alla crisi culturale e antropologica che dalla fine degli anni ’70 ad oggi ci ha obbligati ad un ritorno forzato alle leggi e alle dinamiche romantiche che, com’è noto, hanno consentito all’egoismo di ergersi a valore fondante. Quella di Mattei però non appare come una critica serrata all’Art. 42 Cost. ed ai suoi simili, bensìun attacco nei confronti della convinzione che impone di poter mettere in discussione qualsiasi principio, escluso il concetto liberale di proprietà . Quest’ultima, infatti, va a collocarsi nel folto gruppo di benefici garantiti  dall’imperialismo occidentale, a discapito perenne delle colonie meridionali.

Nella storia del capitalismo mondiale ” la proprietà  privata ha sempre svolto il ruolo di carnefice delle libertà  ” . Una proprietà  spesso confusa con l’accumulo di cui, ad oggi, non sembra nutriamo un forte bisogno ma che anzi si trasforma in un obbligo che, un giorno o l’altro, ci renderà  consapevoli della necessità  di confutare Fukuyama ed i suoi seguaci; un domani in cui sarà  inoltre concesso di comprendere che le alternative esistono, i dubbi sono legittimi e che, loro malgrado, forse, non moriremo capitalisti.

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