Il patrimonio culturale rappresenta un terreno di scontro fra diritto alla città e diritto al turismo o può configurarsi come fattore di sviluppo endogeno del territorio? La tesi di Giulia Beneventi riflette su questi temi a partire da un interessante caso di studio.
La “Fiesta de los Patios” di Cordova
É possibile coniugare l’uso collettivo del patrimonio con la crescente turistificazione delle nostre città? Il patrimonio culturale rappresenta un terreno di scontro fra diritto alla città e diritto al turismo o può configurarsi quale fattore di sviluppo endogeno del territorio? Forse per rispondere a tali quesiti occorre ripensare la meta turistica come luogo quale entità socio-culturale carica di aspetti identitari e relazionali, diversa e contrapposta allo spazio quale entità geografica o vuoto da riempire. La mia tesi di laurea magistrale è stata occasione di riflessione su questi temi e su quelle formule che facilitano processi di attivazione patrimoniale dal basso superando la dicotomia fra gestione pubblica e privata, profit o not for profit delle risorse locali.
La cultura: chiave di sviluppo sostenibile
La sostenibilità è strettamente connessa alla comunità, alla sua resilienza e alla capacità di vivere in sistemi tali da garantire una vita sana e significativa ai suoi membri, presenti e futuri. Le dimensioni della sostenibilità (economica, ambientale, sociale) vanno gestite non per compartimenti stagni, bensì in modo integrato tenendo conto delle esternalità generate e dei bisogni dei diversi portatori d’interesse. In anni recenti si inizia a sollevare l’idea che il modello dei tre pilastri non è più sufficiente per descrivere la complessità delle società globali. Esemplificative sono la dichiarazione Cultura: Quarto Pilastro dello Sviluppo Sostenibile redatta nel 2010 dalla United Cities and Local Governements (UCLG) e la dichiarazione di Hangzhou elaborata nel 2013 durante il congresso internazionale dell’UNESCO Cultura: chiave per uno sviluppo sostenibile. Il patrimonio culturale viene menzionato esplicitamente nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite (obiettivo 11) per lo sviluppo sostenibile, in riferimento alla necessità di rendere le città e gli insediamenti umani “inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili”.
Patrimonio culturale e comunità patrimoniali
L’Europa ha sempre riconosciuto la cultura come fonte di identità, occupazione, crescita e coesione sociale. Ma è la Convenzione quadro sul valore del patrimonio culturale per la società del 2005 (Convenzione di Faro) del Consiglio d’Europa a rappresentare la svolta copernicana in tema di patrimonio culturale. Questa afferma il protagonismo dei cittadini sancendo il diritto, individuale e collettivo, “a trarre beneficio dal patrimonio culturale e a contribuire al suo arricchimento”. Tale impostazione apre le porte a processi di ibridazione, iniziative dal basso, fenomeni intersettoriali, attivazione di partenariati e collaborazione con il Terzo Settore e, in generale, a un uso innovativo (anche in senso sociale) del patrimonio. Da qui il passaggio da forme di patrimonializzazione (che privilegiano il valore di scambio) a forme di attivazione patrimoniale (che privilegiano il valore d’uso), le quali permettono di rendere viva la cultura. Il patrimonio culturale, inteso come “heritage” è ciò che si riceve per essere tramando, arricchendosi continuamente nel suo uso collettivo come strumento di capacitazione, innovazione sociale e sviluppo sostenibile.
Sussidiarietà orizzontale: PPP e impresa sociale
La Convenzione di Faro reclama una maggiore sinergia di competenze fra tutti gli attori coinvolti. Ciò è maggiormente vero in contesti caratterizzati da alta turistificazione in cui gli impatti secondari, generalmente meno visibili e tangibili rispetto ai più immediati impatti economici o ambientali generati dal turismo, possono causare effetti perversi e irreversibili sul sostrato culturale ed urbanistico locale. É quindi fondamentale il ruolo della Pubblica Amministrazione nel favorire processi decisionali democratici e iniziative bottom-up a beneficio di tutta la comunità, in attuazione di quello che nel nostro contesto nazionale è sancito dall’articolo 118 u.c. della Costituzione sotto forma di principio di sussidiarietà.
Riconoscendo al diritto una funzione proattiva e non solo di recepimento passivo del cambiamento, da un’analisi della normativa italiana e di quella spagnola si è riconosciuto proprio in esso il discrimen fra i due impianti. L’ordinamento italiano appare alquanto innovativo e potrebbe fungere da apripista per quanto riguarda la gestione dei beni comuni, come avvenuto con il noto caso dei patti di collaborazione. È più aperto a fenomeni di ibridazione attraverso strumenti quali il Partenariato pubblico-privato (PPP) e prevede un favor legis nei confronti degli enti non profit a vocazione imprenditoriale; quello della cultura è un settore particolarmente fertile per l’impresa sociale quale promotrice di un “welfare culturale” che incorpori la cultura in processi di produzione di servizi sociali, ricreativi, sanitari.
In Spagna l’intervento del privato è incentivato più a livello filantropico (con forme di mecenatismo e crowdfunding) e di attivismo della cittadinanza, omettendo la norma attuale riferimenti espliciti a modelli quali il PPP. Ciononostante, entrambi i contesti, considerato il ricco patrimonio culturale di cui godono e la lunga tradizione dell’economia sociale, si prestano a forme innovative e compartecipate di attivazione patrimoniale tali di arricchire, in termini socio-culturali, ambientali ed economici, il maggior numero di stakeholders.
Il caso di Cordova
La città di Cordova sta vivendo un forte processo di turistificazione e gentrificazione, cresciuto esponenzialmente con le diverse dichiarazioni UNESCO di cui vanta. In particolare, la Fiesta de los Patios, patrimonio immateriale dell’umanità, ha fatto sì che la sua crescente rilevanza turistica provocasse una continua ricerca del valore commerciale-turistico del tipico cortile cordobese e una perdita crescente del suo valore comunitario, ecologico e sociale quale spazio verde condiviso all’interno della casa de vecinos. Il patrimonio culturale rappresenta un bene relazionale in cui la comunità incontra il proprio passato, culture diverse e sfide future. Integrare il turismo ai temi della conservazione patrimoniale implica un uso etico e responsabile delle risorse in cui i beni culturali siano una preoccupazione sociale di tutta la comunità. In questa direzione si muove Patios de la Axerquia (PAX), processo di riattivazione del patio dal basso in forma cooperativa, in collaborazione con Fiare Banca Etica e riconosciuto come buona pratica dal Consiglio d’Europa per la Convenzione di Faro.