Pubblichiamo una sintesi della relazione di Gregorio Arena all’Assemblea di Labsus, tenutasi a Roma il 18 settembre, nel corso della quale ha comunicato la sua decisione di lasciare la Presidenza per i motivi che racconta nell’editoriale
Ho fondato Labsus per difendere un’idea. Avrei potuto limitarmi a scrivere un libro, come poi in realtà ho fatto pubblicando Cittadini attivi. Ma la mia ambizione è sempre stata quella di cambiare le cose e per farlo non ho esitato, come si usa dire, a “sporcarmi le mani”, per esempio innovando radicalmente la gestione del diritto allo studio in qualità di Presidente dell’Opera Universitaria della mia Università di Trento, oppure candidandomi nel Consiglio della Provincia Autonoma di Trento per riformarne l’amministrazione, oppure ancora partecipando all’elaborazione ed all’attuazione di alcune delle grandi riforme amministrative degli anni Novanta del secolo scorso.
Per questo pensai che un libro non sarebbe bastato, ci voleva un soggetto, un’associazione, un qualcosa che moltiplicasse le mie forze e che un giorno fosse in grado di funzionare anche senza di me. Perché è vero che le istituzioni (anche un’associazione può essere un’istituzione, in questo senso) a volte soffocano le idee, ma al tempo stesso garantiscono la loro durata e stabilità nel tempo.
Una diversa interpretazione della sussidiarietà
L’idea per difendere la quale nel 2005 fondai Labsus consisteva in un’interpretazione del principio di sussidiarietà (art. 118, ultimo comma della Costituzione) assai diversa da quella predominante negli anni immediatamente successivi all’introduzione nel 2001 di tale principio nella nostra Costituzione. In quel periodo infatti sussidiarietà era sinonimo di esternalizzazioni di servizi da parte delle pubbliche amministrazioni e, in generale, di preminenza dei privati rispetto al pubblico.
Questo spiega perché dell’art. 118, ultimo comma in quegli anni venne data una lettura minimalista, riduttiva, al punto che uno dei protagonisti di quella stagione ebbe un giorno a dire che in fondo il vero scopo di quella norma consisteva nel “dare un po’ di soldi al Terzo Settore”!
Dal mio punto di vista, invece, l’art. 118, ultimo comma era molto, molto di più. Era di fatto la legittimazione costituzionale dell’ipotesi teorica che avevo esposto in un saggio pubblicato pochi anni prima, nel 1997, intitolato Introduzione all’Amministrazione condivisa, in cui sostenevo che sotto i nostri occhi si stava sviluppando in Italia un nuovo modello di amministrazione pubblica, fondato sulla collaborazione fra cittadini e amministrazioni.
Nel saggio facevo diversi esempi di situazioni in cui l’amministrazione per risolvere problemi di interesse generale aveva dovuto chiedere (implicitamente o esplicitamente) la collaborazione dei cittadini. Nel mio saggio era l’amministrazione che si rivolgeva ai cittadini, mentre nell’art. 118, u.c. (la Repubblica «favorisce le autonome iniziative dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale») sono i cittadini che in maniera del tutto autonoma si attivano e contattano l’amministrazione per collaborare nella soluzione di problemi di interesse generale. In sostanza, dal mio punto di vista, l’art. 118, u.c. “chiudeva il cerchio” dell’Amministrazione condivisa, confermando l’ipotesi su cui era fondato il mio saggio e riconoscendo la collaborazione fra cittadini e amministrazioni, da chiunque attivata, come fondamento di un nuovo modello organizzativo, l’Amministrazione condivisa.
Dall’interesse generale alla cura dei beni comuni
In quel momento, però, cioè negli anni fra il 2001 e il 2005, l’interpretazione che vedeva nell’art. 118, u.c. la legittimazione costituzionale dell’Amministrazione condivisa era assolutamente minoritaria, come mi accorgevo negli incontri che andavo facendo in giro per l’Italia.
In più, in quegli incontri emergeva anche la difficoltà di spiegare in termini semplici e comprensibili a tutti cosa fossero le “attività di interesse generale” svolte dai cittadini e che le amministrazioni, secondo l’art. 118, u.c., dovevano “favorire”. Decisi così di introdurre il tema della cura dei beni comuni, spiegando che per “attività di interesse generale” si dovevano intendere le attività di cura dei beni comuni svolte insieme da cittadini e amministrazioni. Ed ecco perché noi oggi parliamo di Amministrazione condivisa dei beni comuni.
Non è più un’utopia
Sono passati, anzi, volati quindici anni dalla presentazione l’11 maggio 2006 a Roma del primo sito di Labsus durante un convegno nell’ambito di ForumPA. E ne sono passati sette dalla grande svolta del 2014, quando il 22 febbraio di quell’anno a Bologna presentammo il primo Regolamento comunale per la collaborazione fra cittadini e amministrazioni per la cura, la rigenerazione e la gestione condivisa dei beni comuni urbani, che avevamo redatto insieme con il Comune di Bologna nei due anni precedenti.
Da lì è iniziata la nuova fase, che dura tuttora, della vita di Labsus. Cominciammo a girare l’Italia per illustrare il Regolamento, i suoi fondamenti teorici e gli effetti positivi derivanti dalla sua applicazione, incontrando nel corso degli anni migliaia di cittadini, amministratori, funzionari, dirigenti di associazioni, tutti rappresentanti di un’altra Italia, che non si vede ma c’è, l’Italia che si prende cura di sé stessa e dei propri beni comuni. A quel punto, pur mantenendo le sezioni tradizionali, il sito fu modificato per dare maggior rilievo e visibilità al Regolamento e ai Patti, che nel frattempo erano diventati l’asse portante delle attività di Labsus.
Quella che quindici anni fa era pura utopia ora è una realtà fatta di migliaia di Patti di collaborazione, centinaia di Regolamenti per l’Amministrazione condivisa dei beni comuni, due leggi regionali (Lazio e Toscana), un articolo di fondamentale importanza del Codice del Terzo Settore (art. 55), una sentenza della Corte Costituzionale che per la prima volta cita l’Amministrazione condivisa come modello dei rapporti fra istituzioni ed enti del Terzo Settore (sentenza n. 131/2020) e, soprattutto, centinaia di migliaia di Custodi della bellezza, cioè di cittadini attivi in tutta Italia.
Siamo solo uno strumento
Noi siamo perfettamente consapevoli di essere solo lo strumento di un fenomeno le cui dimensioni e la cui importanza trascendono assolutamente la piccola realtà di Labsus. Molti Italiani hanno deciso di prendersi cura del proprio Paese, lo fanno e continuerebbero a farlo anche se noi smettessimo di esistere. Tuttavia, senza falsa modestia, siamo anche consapevoli che tutto il lungo, capillare e faticoso lavoro svolto in questi primi nostri quindici anni di vita ha pur avuto un ruolo nel sostenere e promuovere la cura condivisa dei beni comuni, creando il quadro giuridico e concettuale al cui interno oggi i cittadini attivi e le amministrazioni possono muoversi con sicurezza.
Il Regolamento per l’Amministrazione condivisa dei beni comuni, nella sua semplicità, è stato una “invenzione” che, grazie alle fondamenta teoriche poste nel 1997, ha cambiato radicalmente l’interpretazione del principio di sussidiarietà, consentendone una modalità applicativa a cui il legislatore costituente sicuramente non aveva pensato quando nel 2001 approvò l’art. 118, ultimo comma.
La nostra duplice responsabilità
Grava ora su Labsus una duplice responsabilità. Da un lato, dobbiamo continuare ad essere strumento efficiente al servizio dei tanti cittadini, amministratori e funzionari che avendo capito che l’Amministrazione condivisa è un modo di amministrare che dà ottimi risultati vogliono approfondirne tutti i possibili profili applicativi, sperimentandolo in campi sempre nuovi. Ciò sarà tanto più necessario in quanto la pandemia, con i suoi terribili effetti in tutti i campi della vita collettiva, ci costringerà a sperimentare nuove modalità di utilizzazione dei nostri strumenti, per esempio usando i Patti per costruire nuove forme di welfare di comunità, come stiamo cominciando a fare a Milano proprio in questi giorni.
Dall’altro lato, però, abbiamo la responsabilità di fare tutto ciò mantenendo l’identità costruita nei nostri primi quindici anni di vita, senza venir meno allo “stile Labsus”, che vuol dire accoglienza, informalità, fiducia reciproca e trasparenza. Dovremo trovare il punto di equilibrio fra ciò che siamo stati finora e ciò che potremo (anzi, dovremo) diventare per rispondere adeguatamente alle nuove sfide che ci aspettano.
Il passaggio del testimone
In questa prospettiva, anche per facilitare l’avvio di una nuova fase nella vita di Labsus, ho preso una decisione importante, che segna un po’ un punto di svolta nella nostra storia.
Come dicevo all’inizio, Labsus è nato per promuovere e dare stabilità nel tempo ad un’idea, quella dell’Amministrazione condivisa, che all’epoca era del tutto minoritaria, mentre oggi si sta espandendo e rafforzando ogni giorno di più. Inoltre, sia personalmente, sia come studioso delle organizzazioni pubbliche, ritengo che dopo un certo numero di anni sia fisiologico un ricambio al vertice. Soprattutto, ritengo che si debba evitare un’eccessiva identificazione fra l’associazione e la persona al vertice, tanto più quando questa persona è il fondatore.
Ho imparato da mio padre, molti anni fa, che esiste una peculiare forma di saggezza consistente nel capire quando è il momento di lasciare un incarico. Per quanto mi riguarda, credo che questo sia il momento giusto per passare il testimone della presidenza di Labsus, anche perché ci sono tutte le condizioni, soggettive ed oggettive, per farlo nel modo migliore. Siamo una bella squadra, con tante persone giovani, competenti, motivate, intelligenti, ognuna con il proprio ruolo, i propri interessi, i propri talenti. L’autorevolezza scientifica di Labsus ormai è assodata, così come lo sono le nostre competenze in materia di Amministrazione condivisa o la completezza della nostra banca dati.
È vero che finora Labsus si è identificato molto con me. Ma proprio per questo il fatto stesso che il fondatore oggi faccia un passo di lato, pur continuando a far parte della squadra, manda un segnale di grande forza, di sicurezza in noi stessi. Non sono molte le associazioni in cui il fondatore lascia non per stanchezza o per un ribaltone interno, ma sulla base di una scelta autonoma, ponderata e condivisa con gli altri componenti del Consiglio Direttivo, per liberare nuove idee ed energie.
Per il gruppo dei trentenni e dei quarantenni che di fatto sono il cuore pulsante di Labsus questo passaggio costituirà occasione di ancora maggiore responsabilizzazione e quindi anche di crescita, personale e professionale. Per tutti noi sarà una prova, una sorta di stress test. Se infatti potremo mostrare che Labsus è in grado di funzionare benissimo anche senza il suo fondatore come presidente, sarà la dimostrazione che il lavoro fatto in questi anni è servito a costruire una squadra di alto livello.
Il mio nuovo ruolo
La dimostrazione che la scelta è stata ponderata e condivisa con tutto il Direttivo è data dal ruolo che ricoprirò d’ora in poi o comunque finché avrò vita e sarò in grado di farlo in maniera utile a Labsus.
Questo mio nuovo ruolo è indicato nell’art. 14 dello Statuto, che venne approvato su mia proposta nell’Assemblea straordinaria tenutasi il 27 febbraio 2018, a dimostrazione che l’idea del passaggio del testimone viene da lontano: «Il Presidente Emerito è eletto dall’Assemblea su proposta del Consiglio direttivo fra persone che hanno ricoperto la carica di Presidente e che con la propria attività hanno dato prova di particolare attaccamento all’Associazione, dando ad essa lustro e autorevolezza. In ogni caso la carica di Presidente Emerito non può essere ricoperta contemporaneamente da più di una persona. Il Presidente Emerito ha funzioni di garanzia del rispetto della linea culturale e politica dell’associazione e, in accordo con il Presidente, può svolgere la funzione di rappresentanza istituzionale della stessa.
Il Presidente Emerito partecipa alle riunioni del Consiglio direttivo e dell’Assemblea dei soci e, su richiesta del Consiglio direttivo, può dirigere progetti ed altre attività dell’associazione».
Continuerò quindi a far parte del Direttivo in qualità di Presidente Emerito, continuerò ad occuparmi di progetti sul campo, come per esempio le Scuole di cittadinanza, darò una mano alla redazione della rivista e ovviamente continuerò a rappresentare Labsus in convegni, incontri, etc. Inoltre, come dispone l’art. 14 del nostro Statuto, vigilerò sul rispetto della linea culturale e politica di Labsus e, soprattutto, sul mantenimento dello “stile Labsus”, sia all’interno sia all’esterno, perché è uno dei fattori fondamentali della nostra identità.
Il successore
Chiunque, fra i componenti del nostro Direttivo, avrebbe potuto essere il mio successore in maniera assolutamente autorevole e credibile. Ma naturalmente bisognava nella scelta tener conto della disponibilità delle singole persone, dei loro impegni, del tempo e delle energie che ciascuno era disposto a dedicare a Labsus.
Sotto questo profilo, la dedizione a Labsus di Pasquale Bonasora è stata ed è esemplare. Pasquale ha veramente fatto in questi ultimi anni dell’impegno con e per Labsus il centro della sua vita. E dunque sono felice di comunicarvi che ha accettato la mia proposta di essere il prossimo Presidente di Labsus.
Quando glielo ho proposto, essendo la persona perbene e schiva che è, si è schermito in mille modi, avanzando ogni sorta di obiezione. Essendo anche una persona seria ha chiesto giustamente del tempo per rifletterci e alla fine ha accettato, con mio grande piacere, perché sono sicuro che sarà un ottimo Presidente.
Certamente il suo stile “presidenziale” sarà diverso dal mio. Ma è appunto per questo che si cambia, altrimenti a che servirebbe il cambiamento? E comunque, per qualsiasi dubbio o problema, potrà sempre contare su tutti noi… il Direttivo, la Redazione e la squadra delle labsusiane e dei labsusiani sparsi in tutta Italia. Pasquale si assume un compito gravoso e di questo dobbiamo essergli riconoscenti. Ma non sarà mai solo, di questo può stare sicuro.
E dunque molti affettuosi auguri, Pasquale! Buon lavoro, Presidente!
Gregorio Arena
Pubblichiamo il saluto e le prime indicazioni di Pasquale Bonasora, nuovo presidente di Labsus
Nella vita di una associazione ci sono alcuni passaggi che ne segnano il percorso. Lo è certamente il momento in cui un’associazione nasce, quando si condividono principi, valori, progetti che spingono un gruppo di persone all’impegno quotidiano in vista di un obiettivo comune. Così come lo sono quei momenti di crescita, ma anche di crisi, in cui si acquisisce consapevolezza del proprio ruolo, si rafforzano i legami e le relazioni e, quindi, la capacità di azione collettiva del gruppo.
L’Assemblea del 18 settembre ha segnato un passaggio fondamentale nel percorso e nell’evoluzione di Labsus perché rappresenta il tentativo di restare fedeli a quei principi che ne caratterizzano l’azione e l’impegno. Non è possibile, infatti, parlare di condivisione delle responsabilità e fiducia se non ci si impegna a viverli innanzitutto nella propria organizzazione. I volti, gli sguardi, le parole, le emozioni vissute nell’Assemblea raccontano questa tensione e questa consapevolezza.
Gregorio Arena, con il nuovo ruolo di Presidente emerito, ancora una volta ci affida un messaggio che va oltre i confini di Labsus: essere oggi un ente del Terzo Settore significa essere, o quantomeno provare ad essere, una comunità. Come tale non può restare sempre uguale a se stessa ma accettare il cambiamento per rispondere alle trasformazioni sociali, alle contraddizioni ma anche alle opportunità che caratterizzano il nostro tempo.
È questa una prova di maturità per Labsus, in questi anni l’Associazione accanto all’autorevolezza scientifica e all’attività di ricerca garantita da un consolidato gruppo di studiosi ha abbinato la presenza nei territori costruendo relazioni forti con associazioni, enti pubblici e privati, istituzioni locali e nazionali, cittadine e cittadini ispirati da quel principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale spesso riassunto con quel “costruire comunità, liberare energie” che per noi rappresenta una chiave di lettura per il futuro del nostro Paese capace di affrontare le sue contraddizioni e precarietà.
L’impegno è quello di continuare ad essere accoglienti verso le idee e verso le persone. Oggi la cura dei beni comuni, il Regolamento per l’Amministrazione Condivisa e i Patti di collaborazione, sono un modello consolidato attraverso cui il “pieno sviluppo della persona umana” è compito che viene affidato non alle sole istituzioni ma a un complesso di soggetti ampio ed eterogeneo che le stesse istituzioni devono supportare e favorire.
Da parte mia la voglia di continuare a dare un contributo, piccolo o grande che sia, consapevole delle nuove responsabilità ma certo di essere parte di una comunità che vuole continuare a sperimentarsi per essere, ogni giorno di più, vitale, aperta, accogliente.
Pasquale Bonasora