L’ultimo editoriale pubblicato su questa rivista a cura di Rossana Caselli solleva interrogativi di largo respiro, individuando con chiarezza sintomi che potrebbero segnalare un iniziale indebolimento del “sistema” dell’Amministrazione condivisa di beni comuni nella Regione Toscana, dove esso pareva piuttosto consolidato, ma sappiamo che il fenomeno si presenta anche altrove. Perciò è tanto più preoccupante.
Guardiamo i sintomi:
- Inadeguatezza dell’assetto organizzativo comunale;
- Incertezza delle procedure per il trattamento delle proposte a vantaggio del rapporto diretto tra il funzionario, o il politico, e i promotori di progetti (estremamente significativa la definizione di “ponte tra la piazza e il palazzo”);
- Mancanza di comunicazione strutturata per la promozione delle opportunità di cura dei beni comuni, così come di attività di monitoraggio e accountability generale;
- Interpretazione pragmatica e riduttiva del Patto di collaborazione, che viene visto come un mero veicolo di semplificazione procedurale.
Personalmente vedo i segnali della deriva verso una concezione pragmatica e semplicistica della materia, tutta centrata sui vantaggi arrecati dai Patti di collaborazione in termini di semplificazione procedurale. Attenzione, perché questa interpretazione riduttiva potrebbe portare a una scissione dello strumento dalla finalità alla quale è coordinato.
La necessità di un commitment politico forte
Il tema della semplificazione procedurale, infatti, può esser attuato anche prescindendo dalla formula dell’Amministrazione condivisa. Il sostegno alla “autonoma iniziativa” dei cittadini “per la cura degli interessi generali” può esser effettuato con tecniche amministrative molto semplici, cioè intervenendo chirurgicamente sui regolamenti pertinenti per materia inserendo agevolazioni specifiche per iniziative e attività di proporzioni predefinite. Che sarebbero anzi generalizzate a prescindere. In tal modo le finalità del principio di sussidiarietà sarebbero soddisfatte con tecniche del tutto agnostiche rispetto ai “beni comuni”, il cui concetto verrebbe sospinto nel limbo delle idealità.
A mio avviso dovrebbe esser valorizzato il tema dell’Amministrazione condivisa, affinché diventi oggetto di una forte e rivendicata investitura politica da parte delle amministrazioni che hanno scelto o sceglieranno di scendere su questo terreno. Per avere successo, l’amministrazione condivisa dei beni comuni ha necessità di un commitment politico forte e costantemente alimentato.
La cura dei beni comuni è un diritto?
Per contro una gestione strutturata dei beni comuni secondo procedure trasparenti, soccorsa da una adeguata comunicazione, profondamente integrata nell’organizzazione comunale, secondo le misure chiaramente delineate da Rossana Caselli nella “pars construens” del suo articolo, che sottoscrivo completamente, mira a fare della cura dei beni comuni qualcosa di più di un privilegio, un’opzione o un esercizio di civismo; punta a cristallizzarla – lo dico senza enfasi – come diritto. A mio avviso è qui lo spartiacque decisivo.
L’Amministrazione condivisa dei beni comuni genuinamente intesa vive e si sviluppa davvero solo sul terreno di un commitment che sposi il nucleo valoriale di questa prospettiva, ed in sostanza che si apra al respiro costituzionale del principio di sussidiarietà orizzontale: cioè un commitment di rango istituzionale.
“Amministrazione condivisa” e “beni comuni” sono parole pesanti.
Se è già alquanto straordinario che con la propria attività di cura i cittadini possano estrarre uno spicchio di territorio urbano dalla sua esistenza ordinaria, per lo più quella di fare da sfondo sbiadito alla vita dei cittadini, per farne un luogo di attività nuove, a vantaggio di tutta la comunità, ridefinendo la sua funzione e ricavandone un valore sociale quale altrimenti non sarebbe stato possibile a costo zero per l’ente locale, il concetto di “Amministrazione condivisa” appare ancor più ricco di sfaccettature e prospettive: poiché la condivisione richiede un rapporto paritario tra amministrazione e cittadini, nel cui seno, mediante un confronto – dialogo sul tema di una proposta, vengono individuate di comune accordo le decisioni necessarie. Questo è, a tutti gli effetti, un modello di governo degli affari pubblici alternativo (non per questo antagonista) al modello autoritativo tradizionale, in cui si muove quel politico che, diciamolo con ironia, si vuole demiurgo delle sorti collettive, nel solco di una interpretazione della funzione di rappresentanza politica sostanzialmente autoreferenziale.
Una concezione “maieutica” della politica
L’Amministrazione condivisa dei beni comuni guarda oltre se stessa; oserei dire che non può prescindere dalla sua espansione, si afferma definitivamente solo nella dilatazione del paradigma che essa già possiede.
L’Amministrazione condivisa dei beni comuni può essere pensata oltre i suoi confini, per investire propedeuticamente il governo della città come tale. Può essere il primo esperimento di una formula più ampia, di una concezione “maieutica” della politica, che veda nel confronto-dialogo con i cittadini, pluralistico, pubblico, razionale, sistematico, regolato, l’ambiente congeniale alla maturazione delle decisioni intorno agli interessi generali, intorno agli orientamenti del governo urbano. Un ambiente in cui la rappresentanza, senza ledere le sue prerogative, entri in un rapporto organico con le energie civiche, offrendo spazio alla domanda di protagonismo dei cittadini e alimentandosi delle risorse possedute dalla cosiddetta “intelligenza collettiva”.
La sua definitiva affermazione va di pari passo con la diffusione di una cultura politica di stampo nuovo. Per salvaguardare, consolidare e diffondere questa prospettiva a mio avviso è senza dubbio necessario predisporre un arsenale di accorgimenti tecnici per configurare al meglio la macchina degli enti locali, ed agire con stimoli puntuali; ma è altrettanto importante creare un ambiente politico avvertito e consapevole dei valori in gioco. È un salto di scala che interroga la comunità dei promotori dell’Amministrazione condivisa dei beni comuni.
Tre direttrici per una policy ad ampio spettro
Questo indirizzo richiederebbe di effettuare un’attività di advocacy plurale, lungo queste direttrici:
- Promuovere negli amministratori locali un commitment forte verso l’Amministrazione condivisa dei beni comuni, mediante l’integrazione di questa prospettiva nelle linee fondamentali del governo urbano, ad esempio nelle politiche di governo del territorio, e mediante la redazione di regolamenti solidi;
- Promuovere nella comunità della cittadinanza attiva il tema dell’Amministrazione condivisa, poiché a mio avviso la voce stessa dei cittadini è la forza più efficace per l’affermazione di un paradigma paritario di governo urbano;
- Dal momento che questo modello di governo non si avvale solo della cura dei beni comuni, ma anche di altri strumenti, stringere sinergie con le associazioni che promuovono l’ampliamento dei “diritti di partecipazione”, per un’azione concertata.
All’interlocutore politico allora potrebbe essere presentato un paniere di risorse tali da configurare una policy ad ampio spettro, profondamente qualificante per l’amministrazione che scelga di adottarla.
A mio avviso costruire questa prospettiva, tutta da elaborare, è ormai ineludibile; perché le sfide che attendono le nostre città hanno un livello di complessità tale, a mio parere, da non essere gestibili se non attivando una politica “maieutica”, tesa a stringere una sorta di nuova alleanza tra i cittadini e i loro rappresentanti locali.
Eugenio Petz è Responsabile dell’Ufficio Partecipazione e Cittadinanza attiva del comune di Milano. Nella passata consiliatura ha condotto i team che hanno elaborato il Regolamento recante la disciplina dell’Amministrazione condivisa dei beni comuni di Milano e il Regolamento di attuazione dei diritti di partecipazione popolare.
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