L’Amministrazione condivisa è nata 25 anni fa come modello applicabile a tutti gli ambiti di intervento delle pubbliche amministrazioni, è arrivato il momento di riscoprirne la vocazione generalista

In questi ultimi anni abbiamo dedicato grande attenzione agli strumenti giuridici per la realizzazione dell’Amministrazione condivisa che, in questa fase, sono soprattutto i Regolamenti comunali per l’Amministrazione condivisa dei beni comuni, le leggi regionali (come quella della Regione Lazio n. 10/2019) e i Patti, ordinari e complessi.
Si è detto in questa fase perché nulla infatti esclude che, in futuro, possano essere individuati oltre a questi anche altri strumenti per realizzare quel nuovo modo di amministrare che ormai da 25 anni chiamiamo “Amministrazione condivisa”.
Non bisogna infatti dimenticare che anche l’Amministrazione condivisa è essa stessa uno strumento, un modo di amministrare certamente diverso da quelli tradizionali ma, al pari di questi, anch’essa finalizzata ad un unico, grande obiettivo, la piena realizzazione di ogni persona ed il rispetto della sua dignità, secondo quanto dispone l’art. 3, 2° comma della Costituzione.

Uno strumento nuovo per la Repubblica

Lo abbiamo spesso citato questo articolo, nel corso degli anni, ma lo citiamo ancora una volta, perché in questa disposizione c’è un’idea di società che è tuttora quanto mai attuale: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Questo è il compito che i nostri Padri e Madri costituenti hanno affidato alla “Repubblica”, intesa sia in senso formale («La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato», art. 114, 1° comma, Cost.), sia in senso materiale, per cui sono Repubblica anche le Università, le scuole, gli enti del Terzo Settore, le associazioni e, in generale, tutti i corpi intermedi.
Questo significa che la Repubblica, intesa come insieme di poteri pubblici, grazie al principio di sussidiarietà non soltanto, come tante volte abbiamo detto, ha trovato nei cittadini attivi degli alleati insieme con i quali perseguire la “missione” costituzionale affidatale dall’art. 3, 2° comma. Ma ha anche trovato nel Regolamento per l’Amministrazione condivisa e nei Patti di collaborazione nuovi strumenti per l’attuazione dell’art. 3, 2° comma.
In altri termini, quando nel 1948 la Costituzione entrò in vigore il compito affidato alla Repubblica dall’art. 3, 2° comma (la rimozione degli ostacoli per la piena realizzazione di ciascuno) poteva realizzarsi unicamente utilizzando gli strumenti del Diritto amministrativo disponibili in quel momento. Oggi, quel medesimo compito, che continua ad essere assolutamente centrale e fondamentale per il nostro sistema istituzionale, sociale e politico, può essere realizzato dalla Repubblica utilizzando sia gli strumenti tradizionali, sia quelli nuovi dell’Amministrazione condivisa.
Naturalmente l’attivarsi dei cittadini per la cura dei beni comuni e delle persone in difficoltà non rende in alcun modo meno cogente l’obbligo imposto dalla Costituzione alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo di ciascuna persona. Ma consente alla Repubblica, intesa come insieme dei poteri pubblici, di condividere con i cittadini attivi, mediante i Patti di collaborazione, risorse e responsabilità, per meglio perseguire l’obiettivo della piena realizzazione di ciascun essere umano, dei suoi talenti e progetti di vita.
In sostanza, l’Amministrazione condivisa è uno strumento nuovo con cui la Repubblica può realizzare obiettivi di interesse generale, com’è appunto la piena realizzazione di ciascun essere umano.

Oltre la cura dei beni comuni

In sostanza, l’amministrazione condivisa è uno strumento nuovo con cui la Repubblica può realizzare obiettivi di interesse generale, com’è appunto la piena realizzazione di ciascun essere umano.
È esattamente ciò che sosteneva il saggio con cui nel 1997 proponemmo l’Amministrazione condivisa come modello applicabile a tutti gli ambiti di intervento delle pubbliche amministrazioni. Tuttavia, quando nel 2001 entrò in vigore l’art. 118, ultimo comma, si notò che nel presentare il modello a pubblici composti da semplici cittadini era difficile spiegare in termini facilmente comprensibili a tutti cosa fosse l’interesse generale cui faceva riferimento tale disposizione («Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà»). Si decise allora di “tradurre” l’espressione “attività di interesse generale” con “cura dei beni comuni”. Questa formula ebbe successo, tant’è che oggi si parla comunemente di Amministrazione condivisa dei beni comuni, al punto da far ritenere che questa sia l’unica modalità possibile di realizzazione del modello “Amministrazione condivisa”.

I problemi di sistema

In realtà, invece, il modello è applicabile a ogni ambito di intervento pubblico, come mostrano anche le esperienze di collaborazione fra cittadini e amministrazioni che nel saggio del 1997 venivano portate a sostegno della nuova teoria.
Si tratta dunque di recuperare l’ispirazione originale del modello per dare all’Amministrazione condivisa (e quindi alla collaborazione fra cittadini e amministrazioni che ne è il nucleo essenziale) un’impostazione sistemica, espandendone l’applicazione oltre la cura dei beni comuni, che rimane comunque al momento il suo ambito prevalente di utilizzazione.
Questa impostazione sistemica, cioè a tutto campo dell’uso dell’Amministrazione condivisa è sicuramente una visione ambiziosa, ma non utopistica, anzi è il massimo del realismo, in quanto l’Amministrazione condivisa è l’unico strumento che oggi abbiamo (e dobbiamo ringraziare la nostra Costituzione per questo!) per affrontare, fra gli altri, anche i tanti problemi di sistema che di questi tempi le amministrazioni pubbliche, a tutti i livelli, debbono affrontare.
I problemi di sistema sono quei problemi che nessun soggetto singolo è in grado, da solo e con le proprie risorse, di risolvere. Sono problemi come le pandemie, i cambiamenti climatici, il riscaldamento globale del pianeta, la scarsità di acqua, le grandi migrazioni oppure, su scala nazionale, la ripresa di una metropoli come Roma dopo anni di abbandono e malgoverno.
Per quanto riguarda le pandemie, grazie alla collaborazione più o meno consapevole di milioni di persone, le nostre “decadenti” democrazie occidentali alla fine si sono rivelate molto più efficienti nel combattere il Covid dell’autoritaria Cina, con il suo sistema delle chiusure generalizzate di intere città. Semmai, quello che si può rimproverare a coloro che ci governavano durante il periodo peggiore della pandemia è di non aver fatto affidamento in maniera più esplicita e consapevole, anziché sulla minaccia di sanzioni, sulla collaborazione dei cittadini, attraverso un patto con la Repubblica per la salute come bene comune.
Tale collaborazione è essenziale anche per affrontare i cambiamenti climatici, il riscaldamento globale e gli altri problemi a livello di sistema globale che potremo risolvere solo se milioni di persone in tutto il globo, soprattutto nei Paesi più industrializzati, modificheranno i propri comportamenti individuali e collettivi, collaborando con le istituzioni nell’ambito di un’impostazione sistemica dell’amministrazione condivisa. Lo stesso, come si è accennato sopra, vale per un problema di sistema più circoscritto, cioè la gestione della complessità urbana in una città come Roma, che non rinascerà senza il coinvolgimento dei suoi abitanti nel prendersi cura di una città straordinaria, che è un unico grande bene comune dell’umanità. Anche per Roma, dunque, la soluzione è l’Amministrazione condivisa, intesa sia in senso sistemico, sia come strumento per la cura dei beni comuni materiali e immateriali della città mediante i Patti di collaborazione (v. nel Rapporto Labsus 2021:  Roma, finalmente qualcosa si muove).

La chiave è la condivisione

Il cuore dell’Amministrazione condivisa è la condivisione di risorse e responsabilità fra cittadini e amministrazioni, nell’interesse generale. È la condivisione la grande differenza fra il modello di amministrazione tradizionale e l’Amministrazione condivisa, perché essa obbliga sia i cittadini sia le amministrazioni ad uscire dal proprio ambito ristretto di operatività per aprirsi alla collaborazione con altri soggetti.
Ciò è particolarmente difficile da accettare per le pubbliche amministrazioni, che hanno una posizione strutturalmente sovraordinata rispetto ai soggetti privati e che dunque incontrano notevoli resistenze culturali a riconoscere nei cittadini dei potenziali alleati, portatori di risorse preziose per la soluzione dei problemi che riguardano la collettività. Ma anche per i cittadini, da sempre in Italia diffidenti e sospettosi nei confronti delle istituzioni, non è facile dare fiducia alle amministrazioni e condividere con esse, nell’interesse generale, tempo, competenze, idee, relazioni, etc.
L’esperienza di Labsus dimostra però che, nel mondo attuale, condividere per collaborare è la strada migliore, in alcuni casi l’unica. Vale per tutti, a tutti i livelli e in tutti gli ambiti. Tanto più vale quando l’interesse perseguito sovrasta e supera tutti gli altri interessi, pubblici e privati, essendo appunto un interesse “generale”.
Ecco perché negli anni abbiamo messo a punto e affinato uno strumento specifico per il perseguimento dell’interesse generale, i Patti di collaborazione. Gli atti amministrativi sono gli strumenti preposti al perseguimento degli interessi pubblici, i contratti sono gli strumenti preposti al perseguimento degli interessi privati, i Patti di collaborazione, lo dice la parola stessa, sono gli strumenti preposti al perseguimento dell’interesse generale attraverso la collaborazione fra cittadini e amministrazione, legittimata dal principio di sussidiarietà.
I Patti sono il luogo della condivisione, lo strumento con cui cittadini e amministrazioni individuano l’interesse generale nel caso concreto. In quanto tali, sono strumenti che possono essere usati non soltanto per la cura dei beni comuni, ma tutte le volte che è necessario condividere risorse e responsabilità per perseguire l’interesse generale, anche quando ciò non comporti prendersi cura direttamente di beni comuni.
Un esempio di questo tipo di situazioni potrebbe essere la necessità che spesso hanno le amministrazioni di conoscere lo stato di infrastrutture e di servizi pubblici diffusi sul territorio, i cui migliori conoscitori sono i cittadini, intesi in questo caso come utenti di tali infrastrutture e servizi. I Patti potrebbero essere usati dai soggetti pubblici o para-pubblici che gestiscono tali infrastrutture e servizi per condividere con i cittadini-utenti informazioni, esperienze, proposte, forme di controllo e di monitoraggio, etc. che possano contribuire ad un miglioramento del servizio.
Si tratta solo di un esempio, naturalmente. Altri se ne potranno trovare per ulteriormente validare questa visione sistemica dell’Amministrazione condivisa, consentendo l’utilizzazione a tutto campo di tale modello di amministrazione per migliorare la qualità della vita di tutti.
Siamo consapevoli dei rischi che tale ampliamento può comportare, tanto più alla luce dei numerosi casi recenti di convegni e iniziative in vario modo intitolate all’Amministrazione condivisa, anche quando in realtà di tutt’altro si trattava. Ma i potenziali vantaggi per le nostre comunità sono tali per cui vale la pena correre questi rischi, naturalmente mantenendo sempre alta la vigilanza nei confronti degli usi impropri di un’espressione, “Amministrazione condivisa”, che evidentemente ha avuto fortuna.