La tesi di Laurea del Dott. Ignazio Marcologno

Il " Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani " cerca di facilitare l ' unione delle diverse forze presenti nelle città  italiane per il perseguimento dell ' interesse generale

Se civitas è,   ” nel senso proprio della parola, l’insieme politicamente organato dei cives, in quanto essi formano uno degli elementi essenziali dello stato, oltre quello del territorio, insomma la cittadinanza ” e i cives sono tutti i compartecipi alla medesima civitas allora si può intendere la civitas come la qualità  distintiva dei cives.  Se pensiamo che la civitas sia un’esigenza di liberazione, una sorta di formidabile corrente libera e travolgente che entra nella materia e prova a dominarla allora ci accorgiamo che v’è ancora molto da fare.

In Italia esistono già  da tempo dei ” micro organismi attivi ” , dei cittadini attivi, che spingono verso un’idea di civitas. Queste iniziative sono spesso sporadiche e isolate e pertanto accade frequentemente che non riescano a riscuotere un consenso tale da mantenerle in vita. Si potrebbe dunque dire: ” guerrilla gardeners e comitati di scopo e associazioni e contadini e singoli cittadini che operate nel nome dell’uomo e dei beni comuni, urbani e rurali, unitevi ” . Ma come è possibile creare una rete di buone pratiche urbane e al contempo facilitare la fioritura di queste pratiche che sono pratiche vitali per le città  di oggi?

Il Regolamento di Labsus come strumento

Il ” Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani ” cerca di facilitare l’unione delle diverse forze presenti nelle città  italiane per il perseguimento dell’interesse generale. Il Regolamento è il primo dispositivo attuativo che recepisce il formidabile principio costituzionale di sussidiarietà  e chiarisce che si può effettivamente attuare. Lo scopo del Regolamento, e anche il suo pregio, è quello di attuare il principio costituzionale della sussidiarietà  orizzontale (art. 118 u.c., Costituzione della Repubblica Italiana).
Quindi in una logica di bottom-up si cerca di estrudere le innumerevoli forze delle persone che vivono in un determinato territorio e incanalarle verso la costituzione dei cosiddetti ” patti di collaborazione ” che sono gli strumenti normativi con cui il comune e i cittadini stabiliscono tutto ciò che è necessario per l’implementazione degli interventi di cura e rigenerazione dei beni comuni urbani (si veda l’art. 5 del Regolamento del comune di Bologna).
Tornando alla metafora dei ” micro organismi attivi ” si potrebbe dunque parlare di una buona pratica di ” panificazione ” del territorio.

Sin-tesi

Ciò detto la tesi si prefigge di indagare il processo che ha portato alla stesura del Regolamento nel comune di Bologna e in particolare nel quartiere San Donato, nell’ambito del progetto ” Le città  come beni comuni ” . Ciò a partire dal concetto, da me elaborato e connesso a quello che fornisce Pier Luigi Crosta in ” Pratiche. Il territorio «è l’uso che se ne fa » ” , che le pratiche sono azioni che si realizzano nel tempo, in continuo adattamento, che governano, gestiscono o indirizzano, a seconda del grado di assunzione di responsabilità  e del grado di volizione delle persone che le attuano, un pensiero (intenzionale o meno) che può eventualmente produrre pubblico e generare fenomeni di apprendimento collettivo. L’analisi del processo è composta di due parti principali.

Una prima parte si incentra sulla lettura del processo generale che ha reso necessario la stesura del Regolamento. Nella seconda parte si disamina uno dei tre ” casi-pilota ” (quello del quartiere San Donato) che hanno condotto alla stesura del Regolamento. La tesi si articola in quattro capitoli che ora sintetizzo.

Perchè proprio a Bologna?

Nel primo capitolo si ricercano alcune ” definizioni ” che siano d’aiuto per una lettura successiva del processo e di ciò che si è realizzato con il progetto ” Le città  come beni comuni ” .
In questo capitolo si cerca altresìdi introdurre un discorso che si evolverà  durante tutto lo scritto e che ruota attorno alla domanda: ” perché il progetto «Le città  come beni comuni » proprio a Bologna e non in altre città  italiane? ” .
Il fulcro del discorso ruota attorno alle definizioni, di identità , ” pratiche ” e produzione di pubblico (quest’ultimo strettamente legato al concetto di ” pratiche ” ).
Queste definizioni si sono poi riprese durante la trattazione di alcuni argomenti, soprattutto nel capitolo dedicato al caso-pilota di San Donato e nel capitolo conclusivo (riflessioni).
Perché queste tre definizioni sono cosìimportanti? Perché si ritiene che a questa domanda si debba rispondere a partire dall’identità  del popolo bolognese fondato su almeno due piloni fondamentali: la cura e la solidarietà . Successivamente si tratta il concetto di ” pratiche ” (d’uso del territorio) che sono una modalità  fondamentale con cui si costruisce il territorio urbano oggi. Si parla di pratiche d’uso del territorio perché alla fin fine questo è quello che a Bologna si è sempre fatto e oggi, grazie alla costruzione di un formidabile apparato normativo, il Regolamento, che finalmente attua il principio costituzionale della sussidiarietà  orizzontale e quindi chiarifica che ” si può fare ” , si continua a operare senza quelle tensioni che prima si potevano sviluppare.
Infine si parla della eventuale produzione di pubblico perché questa è la poderosa possibilità  insita nelle pratiche d’uso del territorio.

La stesura del Regolamento e il caso San Donato

Il secondo capitolo è dedicato ad una presentazione del Regolamento e delle fasi che hanno portato alla sua stesura. Sono state rintracciate tre fasi: una fase formativa, una fase sperimentale e infine una fase di elaborazione e stesura del Regolamento.

Il terzo capitolo è dedicato all’analisi del caso-pilota San Donato. Questo capitolo parte da una breve analisi para-statistica del Quartiere San Donato dal punto di vista socio-economico.
Sulla base di tale analisi si struttura un discorso in merito alle tipologie di pratiche d’uso del territorio che le popolazioni, temporanee e non, praticano per l’appunto nel Quartiere.
Si disamina poi il processo che ha portato alla scelta di San Donato come uno dei tre casi-pilota. Quindi si fa una carrellata di tutti i più importanti progetti che si sono susseguiti nell’area oggetto di studio.
Infine si analizza il processo decisionale (formazione-sperimentazione) avvenuto in San Donato. A tal riguardo si sono individuate tre fasi:
– Mappatura degli stakeholders (outreach);
– Lettura del contesto e analisi dei problemi;
– Rielaborazione e proposte progettuali.

Conclusioni

L’ultimo capitolo è dedicato alle riflessioni conclusive che riprendono quegli elementi (identità , pratiche e costruzione di pubblico) che sono stati ” definiti ” nel primo capitolo e tentano di rielaborare un discorso conclusivo e critico del processo sulla base della trattazione avvenuta nei capitoli precedenti.
Un primo nodo critico si rintraccia nel processo di istituzionalizzazione (Comitato Graf San Donato).
Poi si propongono alcune riflessioni sull’importanza del linguaggio in riferimento alle attività  svolte dal Comitato Graf San Donato e si tenta di eviscerare il percorso di crescita svolto dal Comitato. In queste riflessioni si evidenzia come il processo che ha portato alla stesura del ” Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani ” si sia potuto realizzare a Bologna perché la città  era pronta da molto tempo a adottare un progetto di tale portata.
Infine si tenta di dare degli indirizzi su come proseguire l’indagine sul quartiere San Donato.

In allegato la tesi di Laurea suddivisa in 2 parti.