Anche perchè il Governo continua a rassicurarci sulla solidità del nostro sistema bancario e sulle capacità endogene dei sistema produttivo italiano di uscire dalla crisi, mentre non lesina sforzi creativi in materia di sicurezza urbana. Ed è forte il dubbio che la maggiore creatività governativa dipenda anche dal fatto che le risorse economiche scarseggiano per via della crisi economica globale. Eppure, secondo una recente indagini demoscopica, i cittadini italiani non sembrano affatto distratti dal tam tam mediatico sull’insicurezza delle città italiane e non hanno alcun dubbio sul posto che devono occupare nella scala delle priorità la lotta alla microcriminalità e le strategie di affievolimento degli effetti della crisi.
Che cosa fa più paura?
I risultati di un sondaggio condotto a metà gennaio in undici realtà urbane italiane su un campione di 3.7 persone da Res publica Swg per una ricerca dell’Anci sulle «dimensioni della insicurezza urbana» hanno sorpreso gli stessi committenti.
La risposta più frequente è stata la precarietà economica e lavorativa. Il 32% degli abitanti delle grandi città italiane è, infatti, spaventato più da questo che dalla criminalità (3%) e dalla solitudine (12%). Ma alla voce precarietà economica e lavorativa deve sommarsi il 18% che mette la «caduta del tenore di vita» in cima alla lista dei propri timori. A conti fatti, circa il 5% degli abitanti delle undici città italiane è preoccupato soprattutto per le proprie condizioni economiche.
La maggiore fonte di preoccupazione per i cittadini non è, dunque, la microcriminalità che occupa così largo spazio nei mass media, ma è la crisi economica che incide su comportamenti quotidiani e aspettative future dei cittadini italiani. Il secondo dato importante che emerge da questa indagine è, poi, che l’immigrazione non rappresenta mai la principale causa di insicurezza. Anzi, in molte città, si tratta di un fattore quasi ininfluente.
Una ricerca sui «sindaci-sceriffi»
Lo spunto dal quale è partita l’indagine di Cittalia, la fondazione per le ricerche dell’Anci, sono le circa 6 ordinanze emesse dai Comuni dopo il provvedimento sul cd. «sindaco-sceriffo». Il principale obiettivo di queste ordinanze è la lotta alla prostituzione. Tra gli altri possibili scopi, ma in misura nettamente inferiore rispetto al primo, l’abuso di alcolici, gli atti vandalici e l’accattonaggio.
Il “fenomeno” delle ordinanze dei sindaci sulla sicurezza urbana si è velocemente diffuso nel nostro paese. Per i due terzi (il 66%) al Nord. Al Sud sono state adottate il 13% delle ordinanze, come al Centro. Minima è la percentuale delle Isole (6%).
Ma le ordinanze dei sindaci-sceriffi non sono considerate risolutive dai cittadini.
A Milano e Napoli il 44% delle persone ritengono che il problema sia reale, anche se manifestano dubbi sulla efficacia delle ordinanze comunali. A Genova questo valore scende al 42%. A Torino è al 38%, a Venezia al 36%, come a Roma.
A Milano i cittadini convinti che l’ordinanza comunale si possa rivelare risolutiva sono appena il 15%, mentre a Napoli sono il 13%. Nelle altre realtà urbane le percentualmente sono sensibilmente inferiori. In ogni caso, il numero di cittadini convinti dell’efficacia di queste ordinanze è sempre inferiore a quello di chi si mostra parzialmente o completamente scettico.