Sussidiarietà  e PMI nel sistema imprenditoriale italiano

Dalle ricerca sono emerse quattro tipologie di imprese, definite a partire dal loro interesse generale per le applicazioni della sussidiarietà  verticale e orizzontale.

Malgrado il Rapporto sia stato pensato in un momento in cui la crisi economica era ancora lontana, questo elemento ha costituito il filo conduttore degli interventi dei relatori, tutti concordi sul fatto che le PMI possono risultare strategiche in un contesto in cui vengono meno le certezze finanziarie e le grandi imprese si dimostrano impotenti davanti alla crisi. È quanto sottolineato dal presidente della Fondazione, Giorgio Vittadini in apertura dei lavori e ribadito nell’indirizzo di saluto del Vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi. La crisi costituisce infatti una grande opportunità per ripensare un modello economico fondato solo sul profitto e che trova riscontro in un modello di società che fa dell’individualismo il suo principio ispiratore.

La sussidiarietà oltre la geometria del potere

In quest’ambito, diviene lecito chiedersi se la sussidiarietà sia solo un tema per esperti e addetti ai lavori e se il suo accostamento al settore economico non possa risultare quanto meno azzardato o, al contrario, non possa rappresentare un’opportunità. Il rischio è quello, come sottolineato dal Segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli, che si faccia riferimento alla sussidiarietà come ad un sistema di regole della geometria del potere. La stessa aggettivazione che spesso accompagna il sostantivo – verticale, orizzontale – facilita tale identificazione. È invece necessario rintracciare una concezione complessiva della sussidiarietà che rimandi all’agire dell’uomo nella società, nell’economia, nella politica e ad un ben definito sistema di valori.

I dati del Rapporto

Il concetto di sussidiarietà presenta delle difficoltà di ordine metodologico nel momento in cui si intenda passare dalla sua enunciazione teorica alla ricerca di strumenti adatti alla sua misurazione. Esso si esprime infatti attraverso una serie di fattori, molti dei quali – dinamiche relazionali, dimensione valoriale – difficilmente riducibili ad una dimensione quantitativa. Questo è quanto evidenziato dal Prof. Carlo Lauro, ordinario di Statistica alla “Federico II” di Napoli, che ha curato per conto della Fondazione la realizzazione della ricerca.
L’ipotesi del lavoro rimanda a quell’idea che, da Weber a Schumpeter, riconosce che alla base dell’attività imprenditoriale ci sia uno slancio che non può essere in nessun modo ricondotto solo alla logica del profitto, evidenziata dalla teoria neoclassica. Secondo questa ipotesi la competitività delle PMI deve essere collocata all’interno di una visione sussidiaria che si esprime in due dimensioni tra loro complementari: 1) la prima consiste nella valorizzazione delle persone che guidano l’impresa e che vi lavorano apportandovi i loro ideali, legami e sistemi relazionali; 2) la seconda guarda ai rapporti dell’impresa con l’esterno e si fonda sulla constatazione che, nell’epoca dell’economia della conoscenza, la competitività di un’impresa si basa sempre più sulla sua capacità di costruire reti orizzontali (modello distrettuali) e reti verticali (fornitori-produttori-clienti).
Per quanto concerne gli aspetti metodologici, la ricerca è stata condotta su un campione di 1.6 PMI manifatturiere comprese tra i 15 e i 25 addetti, l’8% costituito da piccole imprese e il 2% da medie imprese.
Gli obiettivi dell’impresa, il modello di gestione e i rapporti con la concorrenza sono le principali variabile prese in considerazione per misurare il potenziale di sussidiarietà.
Per quanto concerne il primo aspetto, l’ampliamento della quota di mercato e il profitto risultano le risposte maggiormente diffuse nel campione; solo un’impresa su tre considera tra i suoi obiettivi la creazione di posti di lavoro.
Il 53% degli intervistati si sono riconosciuti in un modello di gestione verticistico, anche se un’impresa su tre dichiara di essere aperta all’avanzamento delle carriere e a favorire l’iniziativa dei singoli, quando questa abbia ricadute sulle competenze dell’intero gruppo di lavoro.
Infine, per quanto concerne il rapporto con la concorrenza, hanno espresso un elevato favore per l’adozione di strategie comuni nel campo dell’innovazione, della ricerca e dell’internazionalizzazione, tutti aspetti in rapporto ai quali le ridotte dimensioni possono rappresentare un limite.
Il tema della sussidiarietà non poteva prescindere dalla considerazione dei rapporti con le istituzioni e lo stato centrale, nei confronti dei quali le imprese intervistate rivendicano maggiore libertà d’azione, ma anche rapporti mediati dalle associazioni di categoria. La partecipazione alle associazioni di categoria costituisce infatti un fattore determinante per lo sviluppo del potenziale di sussidiarietà, in quanto rappresentano una delle principali espressioni della società civile, capaci di far uscire le imprese dai loro particolarismi, per proiettarle in una dimensione pubblica che riconosca il loro valore sociale.
Solo un terzo degli intervistati ha dichiarato di conoscere il significato del termine sussidiarietà, per lo più intesa come sinonimo di responsabilità sociale e di solidarietà, anche se il 52% ne ha in genere una percezione positiva. Risulta decisamente più marcato l’apprezzamento per la sussidiarietà verticale, rispetto alla sussidiarietà orizzontale, a riprova del fatto che, rispetto alla prima, la seconda è ancora meno nota.
Quando si passa all’analisi dei fabbisogni che le imprese manifestano per procedere ad un modello di sviluppo orientato alla sussidiarietà due sono le modalità di risposta che emergono sopra le altre: 1) la semplificazione amministrativa e fiscale; 2) la contrattazione decentrata. Contrariamente a quanto ci si sarebbe potuto aspettare, sono meno d’accordo (28%) sul tema della defiscalizzazione per favorire scopi sociali.

Le PMI lontano dagli stereotipi

Dalle ricerca sono emerse quattro tipologie di imprese, definite a partire dal loro interesse generale per le applicazioni della sussidiarietà verticale e orizzontale.
La prima tipologia (13%) è costituita da imprese poco favorevoli all’applicazione della sussidiarietà; sono localizzate prevalentemente al sud, hanno piccole dimensioni e sono gestite da imprenditori giovani (2-3 anni); presentano una scarsa partecipazione alle associazioni di categoria.
La seconda tipologia (6% circa), ugualmente poco favorevole alla sussidiarietà, è costituita da imprenditori che operano nel nord-ovest, con istruzione più bassa della media e che fanno riferimento ad imprese presenti sul mercato da almeno 1 anni, ma con un fatturato modesto.
La terza tipologia (circa il 3%) comprende imprese orientate alla sussidiarietà, composte da giovani imprenditori nel nord-est, che si dichiarano interessati sia alla prospettiva della sussidiarietà orizzontale che verticale. In questo caso risulta molto diffusa la partecipazione alle associazioni di categoria e ai consorzi d’imprese, a riprova di come questo fattore risulti essenziale per la determinazione del potenziale di sussidiarietà..
La quarta tipologia (circa 1/3 del campione) è costituita dalle cosiddette “imprese vessillifere della sussidiarietà” che hanno mostrato un interesse per le applicazioni della sussidiarietà e verticale (96%) e orizzontale (84%). Si tratta di imprenditori del nord-est, con un’elevata formazione culturale.
Infine, la quinta tipologia è composta da imprese di medie dimensioni del nord-ovest, di radicata esperienza, con manager ed imprenditori di elevata cultura, con una discreta propensione alla sussidiarietà verticale e orizzontale.
Sulla base di tutti gli elementi considerati, il potenziale di sussidiarietà è risultato più alto nel nord-est (65%) e più basso al sud e nelle isole. Le differenze dimensionali non sono risultate di per sé rilevanti, anche se al di sopra dei 5 addetti si è riscontrato un potenziale di sussidiarietà più alto.
Dalla ricerca emerge un quadro dell’universo delle PMI, almeno in parte lontano dagli stereotipi che vedono nelle loro ridotte dimensioni un limite del sistema imprenditoriale italiano. Al contrario, le PMI rappresentano un serbatoio di risorse che individuano in libertà, fiducia, e capacità di costituire dinamiche di rete i tre punti di riferimento di una cultura d’impresa orientata alla sussidiarietà.

Quando piccolo non è bello

L’analisi del ruolo delle PMI nel sistema imprenditoriale italiano non può tacere il fatto che spesso la dimensione ridotta costituisce un fattore di debolezza sia sul piano della cultura d’impresa che su quello della vocazione alla sussidiarietà. La struttura familiare del capitalismo italiano, le difficoltà di accesso al credito o all’avvio di processi di internazionalizzazione non sono che alcuni dei nodi critici evidenziati nella tavola rotonda che ha concluso i lavori, moderata dal Presidente della Compagnia delle Opere, Bernhard Scholz e alla quale hanno partecipato: il Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, il Presidente della Fondazione Italianieuropei Massimo D’Alema, il Segretario Generale di Arel Enrico Letta e il Sindaco di Roma Gianni Alemanno.