Convegno CESIFIN, 26 novembre 2010

Il partenariato come un rapporto di collaborazione e quasi di "affezione" tra le parti

Il partenariato ci interessa poiché può essere visto come un particolare profilo della sussidiarietà, rappresentando una forma di cooperazione tra il pubblico e il privato in cui i due soggetti dovrebbero interagire nel raggiungimento di un medesimo obiettivo comune. In realtà, però, il privato membro della relazione è, in questo caso, principalmente un privato imprenditore anziché cittadino attivo, in quanto tale, spinto da interessi di tipo lucrativo. Sarà, dunque, compito del partner pubblico intervenire al fine di assicurare che comunque, attraverso il PPP, si ottenga il soddisfacimento delle esigenze della collettività. Inoltre, sarà importante anche non vedere il PPP come un mezzo per ritrarsi dal mercato e per lasciare ad altri soggetti compiti tradizionalmente affidati allo Stato o agli enti locali, bensì come un mezzo per migliorare attraverso la cooperazione i risultati di quest’intervento, il cui controllo e la cui garanzia per i cittadini resta comunque di competenza pubblica.

Il convegno

Il convegno si è aperto con la presentazione del Presidente della Fondazione 1 Giuseppe Morbidelli, che ha sottolineato la rilevanza acquisita dal tema del partenariato, soprattutto nell’ultimo decennio.

Partendo da un’analisi semantica della parola “partenariato”, il cui termine richiama un rapporto di collaborazione e quasi di affezione, che dovrebbe intercorrere tra le parti, il Presidente ha evidenziato la necessità di una comunanza o quanto meno di una complementarietà tra le finalità delle realtà istituzionali e quelle dei soggetti privati membri di un PPP. La ricerca di questa comunanza trova ovviamente delle difficoltà, nel momento in cui si interfacciano soggetti regolati, l’uno, dal diritto amministrativo, l’altro, da quello comune.

L’istituto giuridico del partenariato

Gian Franco Cartei, dell’Università di Firenze, è intervenuto spiegando l’istituto giuridico del partenariato, sia nel diritto comunitario che in quello nazionale, nei suoi caratteri principali: a) un finanziamento da parte del privato nei confronti del pubblico; b) una ripartizione dei compiti per cui spettano al pubblico il controllo e al privato la gestione; c) una particolare ripartizione dei rischi a carico del privato. Il tutto calato in un contesto di Stato-regolatore, in cui il partenariato è stato ripartito in due grandi famiglie: il partenariato contrattuale (tipico esempio la concessione) e il modello istituzionalizzato o joint venture o S.p.A. mista.

Un po’ di comparato…

Nel suo intervento, Ginevra Cerrina Feroni, dell’Università di Firenze, ha fornito un’analisi comparata delle esperienze di partenariato realizzate in diversi Stati europei (Inghilterra, Germania e Italia), analizzando il contributo dei governi, i modelli giuridici, il quadro giuridico di riferimento e le questioni aperte.

Interessante notare come il Regno Unito abbia regolato la materia attraverso strumenti di soft law, che definissero guidelines, tali da assicurare una certa coerenza nelle modalità di rapporto prescelte dalla pubblica amministrazione, mentre la Germania ha prediletto e predilige PPP su base locale, per lo più comunale, livello a cui quest’ultimi sembrano funzionare meglio.

In tutti i paesi, si sente forte il bisogno di sviluppare e raffinare i metodi di monitoraggio, assicurando due caratteri fondamentali, di cui il rapporto partenariale necessita per funzionare, ossia trasparenza e accountability.

Il tramonto delle partecipazioni pubbliche in Italia?

Carlo Ibba, dell‘Università di Sassari, si è occupato della natura e tipologia delle società a partecipazione pubblica e ha fatto riferimento ad un possibile tramonto delle partecipazioni pubbliche in Italia.

Purtroppo, spesso il Partenariato Pubblico-Privato è stato utilizzato per fini diversi rispetto a quelli auspicati, ad esempio per eludere i vincoli posti al bilancio dello Stato. Di fronte alle criticità emerse, il legislatore nazionale ha cercato di disciplinare la fattispecie con una nutrita serie di interventi normativi occasionali, caratterizzati spesso, tra l’altro, da una scarsa visione sistemica del fenomeno. Negli ultimi tempi, tuttavia, si possono registrare alcuni interventi che parrebbero indicare un cambio di indirizzo e, quindi, una drastica contrazione del numero delle società pubbliche.

Ci si riferisce a due serie di prescrizioni: a) la legge finanziaria del 28 2, articolo 3 commi 27 e seguenti che, al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, vieta a tutte le amministrazioni pubbliche (comprese Regioni, Province e Comuni), che ne sono destinatarie, l’assunzione o il mantenimento dell’attività di socio in S.p.A. miste, salvo per quelle società che svolgono servizi di committenza, di interesse economico generale o fondamentali per il perseguimento di interessi generali; b) la legge competitività n. 122 del 3 luglio 21 3, che prevede criteri quantitativi per la costituzione o il mantenimento delle società partecipare.
Sia le norme del 27 che quelle del 21 pongono l’obbligo sui loro destinatari di dismettere le partecipazioni vietate entro i termini prestabiliti attraverso: a) la cessione; b) la messa in liquidazione; c) entrambe le procedure.

Il relatore si chiede (citando Alberto Mazzoni) se le norme in esame non comportino il superamento del principio della capacità generale degli enti pubblici (libertà degli enti locali), salvo essere in contrasto con la legge in vigore, per andare verso una capacità speciale degli enti locali, che possono mantenere solo quelle partecipazioni che, generalmente vietate, sono eccezionalmente permesse dalla legge.

Se questa è la giusta interpretazione, il modello della società partecipata sarà naturalmente un modello recessivo.
Certo, si tratta di una lettura di forte impatto sistemico e dalle conseguenze forse sovradimensionate rispetto alle finalità pro-concorrenziali che le norme si proponevano originariamente di perseguire.

Uno sguardo più attento alle concessioni

Francesco Caringella, Consigliere di Stato, interviene con una dissertazione sulle concessioni e il project financing.

Il relatore si interessa, in particolare, di definire l’istituto giuridico della concessione, nella duplice conformazione che ne dà il codice 4, a seconda dell’oggetto del sinallagma contrattuale, ossia: concessione di lavori pubblici e concessione di servizi.

Si precisano, poi, le differenze tra concessione e appalto, ove queste poggiano non già sulla natura privatistica della prima e pubblicistica delle seconda (entrambi sono contratti), bensì sui termini dell’oggetto, del corrispettivo e del rischio: a) oggetto perché la concessione richiede sempre la gestione; b) corrispettivo poiché quest’ultimo nella concessione proviene dai proventi derivanti dalla gestione, dato il rapporto trilaterale alla base del contratto, che prevede anche gli utenti finali, mentre nell’appalto esso è garantito direttamente dalla PA; c) rischio, o meglio ripartizione del rischio, poiché nella concessione questo viene assunto in maniera preponderante dal soggetto privato 5.

Il project financing si differenzia dalla concessione per tre elementi che concernono l’iniziativa, la gara e l’esecuzione: a) l’iniziativa, poiché il project è tradizionalmente imperniato in un’iniziativa del privato che concorre, così, all’attività programmatica della pubblica amministrazione; b) la gara, perché nel PF tradizionalmente si basa su moduli elastici, che consentono a soggetti, diversi rispetto al promotore, di modulare in corso e raffinare in itinere il progetto; c) l’esecuzione, poiché prevede un centro di imputazione, dell’esecuzione appunto, diverso rispetto al soggetto che diventerà, alla fine, proprietario dell’opera.

Un’analisi economica del partenariato pubblico-privato

Alessando Petretto, professore di Economia presso l’Università di Firenze, interviene con un discorso sul PPP e i finanziamenti pubblici, in una prospettiva economica, e accenna persino ad una teoria economica del partenariato pubblico-privato.

Il relatore precisa, fin da subito, che gli investimenti pubblici danno maggiori effetti sulla crescita laddove si impiegano capitali privati che vengano adeguatamente remunerati. È stato inoltre dimostrato che il tasso di crescita aumenta quando, alla riduzione fiscale (che stimola i capitali privati), si accoppia una riduzione della spesa pubblica in conto corrente, a fronte di un suo aumento in conto capitale.

L’Italia ha un problema consistente di dotazione infrastrutturale, sotto il profilo sia quantitativo che qualitativo. Essa ha un altrettanto grave problema di finanziamenti, dato l’eccessivo ammontare del debito pubblico e, da qui, la necessità di ricorrere a capitali privati.
In questo contesto, i PPP si sono trasformati, nel corso del tempo, da un sistema per reperire fondi in un sistema per la selezione di investimenti con caratteristiche di efficienza.

Due elementi importanti sono stati richiamati in quest’intervento: anzitutto; l’impossibilità di definire un contratto ottimale in assoluto, la correlata necessità di un approccio case-by-case e la crucialità dei caratteri della trasparenza e dell’accountability; in secondo luogo, la presenza di un totale disincentivo ad investire nel caso di partenariati cosiddetti unbulding 6 e di un incentivo a fare investimenti solo improduttivi, cioè che permettono di ridurre i costi operativi ma a discapito della qualità del servizio, per i partenariati building 7.

Sulla base di questo ragionamento, una proposta interessante, lanciata dal Prof. Petretto, consiste nella possibilità, per gli enti locali, di utilizzare una imposta di scopo per finanziare progetti di partenariato pubblico privato. Tale può essere, ad esempio, un’imposizione immobiliare per la costruzione di una linea tranviaria che aumenterà il valore dell’immobile in quella zona.

Questo riferimento richiama alcuni modelli anglosassoni di gestione dei beni comuni e dovrebbe farci ragionare anche sulla possibilità di instaurare rapporti partenariali con il terzo settore, in quanto tale più vicino alle esigenza del pubblico e, forse, in grado di assicurare maggiore accountability e minori difficoltà di monitoring. Questo tema, che comincia ad affacciarsi nelle istituzioni comunitarie e negli ambienti accademici europei, è ancora poco considerato nel nostro Paese, tant’è che nessuno dei relatori del convegno ne ha accennato.
Tuttavia, l’intervento di Alessandro Petretto, con il suo riferimento alle imposizioni di scopo, richiama, ad esempio, il modello di gestione di Central Park e Bryant Park a New York 8, entrambi finanziati dai residenti della zona ed entrambi gestiti da organizzazioni no-profit .

Conclusioni

Chiude il convegno Giuseppe Pericu, ex sindaco di Genova e professore di Diritto amministrativo, che prova a delineare qualche conclusione, sottolineando l’importanza di definire delle guidelines nel nostro Paese, che assicurino una coerenza nei rapporti della PA con i privati ed un livello sufficiente di certezza del diritto, così da attrarre maggiori investimenti in un contesto, quale il nostro, fortemente bisognoso di dotazioni e ammodernamenti infrastrutturali.
Si precisa, inoltre, la necessità di regolare il momento successivo all’aggiudicazione del contratto, ossia quello della gestione, della ripartizione dei rischi, del controllo e della possibilità di cambiamenti in itinere dei contratti, data la generale longevità di questi ultimi.
Non è più rimandabile l’istituzione di autorità terze, che rappresentino un termine di riferimento sia per apportare modifiche in corso al contratto (es. modifiche delle imposizioni tariffarie) sia per la risoluzione delle conflittualità, anche al fine di garantire la qualità dei servizi e delle opere che vengono gestite in partenariato.

1. La Fondazione, costituita nel 1986 da Alberto Predieri, viene finanziata dalla Cassa di Risparmio di Firenze e propone studi e convegni su temi giuridici ed economici.
2. Legge 24 dicembre 27, n. 244, "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 28)", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 3 del 28 dicembre 27 – Supplemento ordinario n. 285.
3. Legge 3 luglio 21, n. 122 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 maggio 21, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica.
4. Decreto legislativo 12 aprile 26, n. 163, Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 24/17/CE e 24/18/CE, G.U. n. 1 del 2 maggio 26.
5. Vedi EUROSTAT,New decision of Eurostat on deficit and debt Treatment of public-private partnerships, 11 febraio 24, STAT/4/18. Nella decisione viene precisato che un contratto può considerarsi di PPP ed essere contabilizzato fuori bilancio solo se il privato prende a suo carico il rischio di costruzione ed uno tra quello di disponibilità e quello di domanda.
6. Tali si dicono i PPP il cui contratto prevede che il partner privato progetti, finanzi e ponga in opera la struttura, che si impegna a gestire e mantenere.
7.Tali si dicono i PPP il cui l’ente contratta con un privato la costruzione e successivamente contratta con un concessionario la gestione temporanea oppure gestisce autonomamente l’opera.
8. Si veda Michael Murray, Private Management of Public Spaces: Non-profit Organizations and Urban Parks, in Harvard Environmental Law Review, Vol. 34, 21.



ALLEGATI (1):