La domanda che vorremmo porre in conclusione a questi ragionamenti è se il Regolamento di Labsus, che sempre più amministrazioni pubbliche italiane stanno adottando, possa funzionare affinché i migranti, al pari dei cittadini italiani, vengano considerati una risorsa

Nei manuali di Sociologia delle migrazioni si impara qualcosa di molto distante dal senso comune, perché non è vero che migra chi è povero di risorse. Al contrario, per migrare bisogna avere una marcia in più. Anzi, molte: “Gli immigrati arrivano prevalentemente da paesi che si trovano in una posizione intermedia nelle classificazioni internazionali basate sugli indici di sviluppo umano (comprensivi del reddito pro capite, ma anche di diversi altri indicatori, come i livelli di istruzione, la mortalità  infantile, la dotazione di servizi sanitari, ecc.). Inoltre, non provengono generalmente dagli strati più poveri del paese d’origine, ma semmai prevalentemente dalle classi medie. Devono disporre di buona salute, efficienza fisica, capacità  di lavoro. Se si trovano nella necessità  di investire risparmi familiari o chiedere prestiti per poter partire, devono poter fare affidamento su una buona reputazione personale” (Ambrosini, 2005, 38-39).

Anche sulle questioni migratorie il paradigma bipolare frana: non c’è politica di contenimento che tenga

Su un altro punto gli studiosi sono concordi: le politiche di controllo per respingere i flussi migratori, o anche solo per contenerli, sono quasi sempre fallite. Mettendosi nella prospettiva dei migranti, peraltro, la spiegazione è immediatamente più chiara: “[…] Ostacoli legali e burocratici nei confronti delle migrazioni e dell’insediamento sono stati visti non come barriere assolute, bensì soltanto come fattori da tenere in conto nelle strategie personali, nelle reti migratorie e nelle infrastrutture comunitarie” (Castles, 2002, 1145-1146). Il paradigma bipolare, ancora una volta, è fallito e continua a fallire: ogni volta che i governati delegano interamente la questione migrazioni ai governanti, la storia dimostra che questi ultimi non sono praticamente mai stati in grado di affrontare da soli la complessità  della questione. Dovrebbe essere ormai chiaro che occorre trovare un’alternativa alla regolazione solo dall’alto e solo politica dei fenomeni migratori.

La terza via, oltre i limiti delle posizioni paranoiche e moralistiche

La paura della diversità  è una delle più profonde e calcificate ragioni tanto dei pregiudizi reciproci tra popolazioni ( “chi non ha le nostre stesse risorse non ha risorse, dunque ci impoverirà”) quanto delle sempre funzionanti retoriche governative improntate alle promesse, costantemente inattese, di respingere i flussi migratori. Secondo Villa e Tognassi (2012) le soluzioni che attuiamo quando si parla di aprire i nostri confini culturali sono due: paranoia da un lato, moralismo dall’altro. Questa contrapposizione vede confliggere chi sostiene che aprirsi significhi indebolirsi contro chi sostiene che significhi invece arricchirsi, contaminandosi. La terza via, secondo questi due psicoterapeuti, esiste e consiste nel vivere davvero l’incontro con chi è diverso. Solo nell’esperienza reale dell’interazione con lo straniero si ha l’opportunità  di testare gli schemi che ci siamo costruiti nel tempo, di capire la cultura nella sua dinamicità , quasi prendessimo in mano uno specchio e incontrassimo lo straniero che è in noi. Il rispetto per i migranti passerebbe insomma dalla prova empirica, non da posizioni ideologiche né tanto meno buoniste.

L’amministrazione locale di flussi globali: un punto di vista fondamentale ma trascurato

Gli studi sulle migrazioni sono per loro stessa natura geopolitici. La letteratura sulle dinamiche migratorie si focalizza sulla conoscenza e l’interpretazione dei flussi a scala globale. In Occidente l’attenzione si è a lungo concentrata sulle politiche nazionali per i migranti e gli studiosi che ritengono che il livello locale sia altrettanto importante sono una minoranza. Tra questi Tiziana Caponio, che attraverso lo studio del gioco fra attori non solo pubblici a Milano, Bologna e Napoli (2006), ha descritto come i comuni in Italia abbiano svolto un ruolo centrale nel governare l’accoglienza agli stranieri, l’accesso ai servizi, le dinamiche di conflitto e/o di integrazione. Anche Hanley, Ruble e Garland (2008) curano un libro in cui raccolgono casi sparsi nel mondo di ” città  rinegoziate ” sostenendo la tesi che le comunità urbane ospitanti non sono così statiche, né i migranti così passivi, come le politiche assimilazioniste sovra-locali sono solite suggerire.

Se l’amministrazione è condivisa, il livello locale diventa il luogo delle collaborazioni possibili

Chi segue il dibattito sull’amministrazione condivisa sa che l’ipotesi è la seguente: solo attraverso la collaborazione tra soggetti pubblici, cittadini e soggetti del terzo settore si possono affrontare le sfide più complesse della democrazia. Tale proposta teorica è fertile di possibili sperimentazioni a livello locale, che va assunto come livello privilegiato di sperimentazione. Proprio di fronte al complesso tema dei flussi migratori che stanno raggiungendo l’Italia (più per percorrerla che per eleggerla a nuova patria) non ci sono scorciatoie percorribili, per così dire, “in solitaria”. Bisogna trovare insieme il sentiero quando questo è in qualche modo indicato, o tracciarlo per la prima volta quando ancora non esiste. E’ il caso di dire che siamo di fronte ad una delle più nobili sfide non solo alla nostra democrazia, così come è, ma anche alla democrazia come vorremmo che fosse.

Tracce di amministrazione condivisa/1: i coniugi Catambrone salvano 4.000 profughi aiutando lo Stato

Nel 2014 Regina e Christopher Catambrone, una imprenditrice di origini calabresi e suo marito, un uomo d’affari italo-americano, decidono di destinare i loro risparmi non al classico investimento immobiliare, bensì a comprare una imbarcazione, due gommoni e alcuni droni che possano servire a salvare vite umane nel Mediterraneo. Il sentiero non era tracciato, lo tracciano loro: iniziano con una collaborazione con Mare Nostrum sulla base di un accordo informale, cooperano con Medici senza frontiere, salvano circa 4.000 profughi e commentano: “C’è molta enfasi attorno a una circostanza che non dovrebbe stupire: noi, da cittadini, aiutiamo lo Stato, gli Stati” (Lauria, 2015).

Tracce di amministrazione condivisa/2: a Siracusa la società  responsabile si prende cura dei migranti

In diverse città  italiane si assiste a iniziative della società  responsabile locale, che su base volontaria e in modalità  di autofinanziamento mettono in rete diverse realtà. A Siracusa, ad esempio, l’associazione Accoglierete “[…] non gestisce un centro di accoglienza, né riceve contributi pubblici, ma offre un servizio di tutela legale, mediazione culturale e accoglienza diffusa ai minori stranieri soli che arrivano sul territorio […] grazie all’attivazione di un gruppo di persone molto preparate in materia, oltre a 150 cittadini che si offrono di fare i tutori e famiglie affidatarie. […] I tutori consentono l’avvio delle pratiche legali necessarie e obbligatorie per legge” (La Delfa, 2014). Barbara Sidoti, ex funzionaria internazionale e tutor, racconta: “La parte che mi piace di più di questo ruolo è quella relazionale. Amo parlare con loro: affrontiamo temi importanti, di religione, di politica, di differenze tra mentalità  e costumi, ma parliamo anche delle loro aspirazioni, dei loro sogni. Mi piace vederli aprirsi piano piano al nostro mondo e scoprire quanto diverso sia il loro modo di pensare e di vivere da quello che immaginavo prima di conoscerli” (ibid.).

Dalle esperienze pilota sparse in Italia ai patti di collaborazione con i migranti

Sarebbe lungo elencare le tante altre tracce di amministrazione condivisa presenti in Italia: le innumerevoli esperienze di accoglienza diffusa in corso da decenni in Puglia, ad esempio, o la straordinaria intelligenza del sindaco calabrese che ha saputo vedere nei migranti la risorsa indispensabile a ripopolare e far vivere Riace (Sasso, 2012). Ma la domanda che vorremmo porre in conclusione a questi ragionamenti è se il Regolamento di Labsus, che sempre più amministrazioni pubbliche italiane stanno adottando, possa funzionare affinché i migranti, al pari dei cittadini italiani, vengano considerati una risorsa.

Si possono vivere esperienze pilota insieme a chi è diverso? I patti di Terni

Se l’amministrazione fosse condivisa, come cambierebbe la questione immigrazione? A Terni, città  che ha adottato il Regolamento per la cura e la rigenerazione dei beni comuni, è in corso la stipula di tre patti di collaborazione che noi di Labsus consideriamo veri e propri “apripista” rispetto ai temi qui trattati. Li riportiamo di seguito in allegato, precisando che si tratta di bozze, nella speranza che ispirino il maggior numero di soggetti pubblici, del terzo settore e cittadini impegnati nell’obiettivo di vivere esperienze pilota insieme con chi viene da lontano e può aiutarci a migliorare. Basta con paranoie e moralismi: è ora di provare a impostare collaborazioni in cui si formano nuove alleanze (nei patti di Terni soggetti molto diversi si stringono la mano!) e in cui insieme con i migranti (in questo caso ospitati nel Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) si fanno davvero cose come prendersi cura di alcuni spazi della città  e organizzare attività  di animazione del territorio.

Scarica in allegato le bozze dei patti di collaborazione di Terni sul tema dell’integrazione.

Riferimenti

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