Per il TAR Campania il riconoscimento della parità scolastica non porta con sé un corrispondente diritto ad un apporto finanziario pubblico

La decisione in commento (TAR Campania, 18 gennaio 2023, n. 415) si pone all’esito di una vicenda di grande interesse per il mondo della scuola, a cui LABSUS, come è noto, ha dedicato il suo ultimo Report 2022, dal titolo Le Scuole. Da beni pubblici a beni comuni (disponibile al seguente link).
Dinanzi al TAR Campania, investito della controversia, l’Istituto paritario Sant’Antida S.C.S. onlus propone ricorso avverso le determinazioni assunte tramite decreto del Ministero dell’Istruzione e dell’USR – Ufficio Scolastico Regionale per la Campania, che da una parte negano erogazioni di contributi pubblici al medesimo Istituto, dall’altra riducono gli importi erogati rispetto agli anni scolastici precedenti. Contributi che all’Istituto spetterebbero in virtù della convenzione di parità sottoscritta nel novembre del 2016 e avente validità di 9 anni.

Quadro normativo e decisione del TAR Campania

Il quadro normativo entro cui si inserisce la vicenda è offerto dalla Legge n. 62/2000 e dal D.P.R. n. 23 del 9 gennaio 2008; quest’ultimo recante, inter alia, la disciplina delle condizioni e delle modalità per la stipula delle convenzioni con le scuole primarie paritarie che ne fanno richiesta e i criteri per la determinazione dell’importo del contributo a carico dello Stato. In particolare, l’art. 2, co. 3, del D.P.R. n. 23/08 prevede che «con la stipula della convenzione l’amministrazione scolastica […] si obbliga a corrispondere all’ente gestore un contributo annuo; la misura del contributo annuo è fissata, in via generale per tutte le scuole primarie paritarie convenzionate, con decreto del Ministro della pubblica istruzione, nel limite dello stanziamento di bilancio sull’apposito capitolo di spesa».
L’istituto lamenta la violazione della convenzione stipulata nel 2016 e il conseguente inadempimento contrattuale, oltre alla violazione e alla falsa applicazione delle citate disposizioni di legge, in uno con l’inosservanza dei generali obblighi di trasparenza e buona fede posti a presidio dei rapporti tra i due contraenti. In punto di diritto, la questione presenta profili interessanti, soprattutto alla luce della decisione resa dal TAR, che dichiara infondato e respinge il ricorso, così ponendosi nel solco già tracciato in passato dalle magistrature superiori, in particolare dal Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, sez. V, sent. n. 5739/2019; Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 2517/2015), nonché della stessa Corte Costituzionale (cfr. Corte Cost. n. 36/1982, n. 215/1987, n. 998/1998). Nel rigettare la domanda attorea, il TAR si sofferma sulla natura dei rapporti tra l’Amministrazione pubblica e le scuole paritarie, con particolare riferimento alla disciplina dei contributi, avendo a riferimento i parametri costituzionali desumibili dalla lettura congiunta degli artt. 33 (il cui terzo comma sancisce che «enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato», cors. agg.) e 34 (in particolare gli ultimi due commi).

Tra regole e principi

Giova rammentare che il riconoscimento della parità scolastica inserisce la scuola nel sistema nazionale di istruzione e garantisce l’equiparazione dei diritti e dei doveri degli studenti e, più in generale, impegna le scuole paritarie a contribuire alla realizzazione della finalità di istruzione ed educazione che la Costituzione assegna al sistema scolastico. Per i giudici, tuttavia, tale riconoscimento non porta con sé, sic et simpliciter, un pari riconoscimento di un corrispondente diritto ad un apporto finanziario pubblico. Questo passaggio chiave è dai giudici enfatizzato con il richiamo al dibattito, non privo di condizionamenti ideologici e di contrapposizioni politiche, che si è sviluppato tutt’attorno all’ultimo inciso del terzo comma dell’art. 33 supra richiamato. In estrema sintesi, tre sono le posizioni cui si fa cenno in motivazione: la prima potremmo definirla negazionista (che non ammette in modo radicale alcuna forma di finanziamento, né diretto né indiretto); la seconda  possibilista (secondo cui l’esclusione di sovvenzioni statali dovrebbe operare solo al momento della istituzione iniziale della scuola, non anche per il periodo successivo di funzionamento); la terza intermedia (che ammette forme di finanziamento pubblico indirette, ad esempio sotto forma di prestazioni a favore degli alunni o delle loro famiglie). In quest’ultima prospettiva, la tutela finisce per incentrarsi sulla libertà di scelta dello studente, rendendo così centrale non tanto il sostegno alla scuola privata per promuovere il pluralismo scolastico, quanto piuttosto l’uguale ed indifferenziata garanzia (a prescindere dalla natura pubblica o privata della scuola) del diritto all’istruzione degli studenti, nonché la effettiva libertà di scelta di un progetto educativo e formativo.
È qui che i giudici evidenziano come proprio la legge sulla parità scolastica (L. n. 62/2000) e l’introduzione, a livello costituzionale, del principio di sussidiarietà orizzontale (art. 118, ult. cpv. Cost.) abbiano sollecitato una rinnovata riflessione sul tema. Infatti, è possibile osservare come le forme di erogazione potenzialmente compatibili con il limite costituzionale hanno, in tempi recenti, assunto forme diverse e variegate, delineando un quadro complesso e articolato da cui emerge con chiarezza, secondo gli stessi giudici, che il principio della parità scolastica non può costituire di per sé fondamento sufficiente al fine di estendere alle scuole private paritarie i finanziamenti statali. Se non si intende ravvisare un espresso divieto nel dettato costituzionale, non è possibile parimenti ravvisare, per comune e consolidato intendimento, l’esistenza di un vero e proprio diritto. Deve perciò ritenersi rimessa alla discrezionalità amministrativa degli enti competenti la definizione delle modalità e la quantificazione delle risorse disponibili, alla luce del proprio quadro finanziario, attesa la natura discrezionale del potere pianificatorio dell’amministrazione competente e l’insussistenza di un vero e proprio diritto ad ottenere un determinato ammontare di contributi pubblici.

Immagine di copertina: National Cancer Institute su Unsplash