Intervista a Lisa Lanzoni, responsabile del Servizio Innovazione Amministrativa del Comune di Verona, che ha appena pubblicato il primo Report sui Patti stipulati dal 2017 al 2022

L’Amministrazione condivisa dei beni comuni sta per compiere 10 anni: è tempo di bilanci! A quasi dieci anni dal primo Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni della città di Bologna e con oltre 300 enti territoriali in Italia che hanno stipulato più di 7.000 Patti di collaborazione, ci sembra necessario rivolgere un nuovo sguardo a quella che non possiamo più definire (solo) una innovazione amministrativa.
Se dal 2004 Labsus lavora alla diffusione della cultura dell’amministrazione condivisa e dal 2014 alla promozione dell’attuazione del principio di sussidiarietà attraverso i Regolamenti per l’amministrazione condivisa dei beni comuni, a partire da quest’anno abbiamo, invece, iniziato ad interrogarci su come rilevare, monitorare e valutare gli impatti generati dai Patti di collaborazione. Quali effetti producono sia sui cittadini attivi che li sottoscrivono, sia sugli altri cittadini, nonché sui territori e sugli enti locali in cui si sperimentano alleanze sempre più collaborative fra cittadini e istituzioni?
Abbiamo avviato questa riflessione lo scorso autunno, coinvolgendo amici ed alleati del mondo della ricerca, del Terzo Settore e della pubblica amministrazione. Oggi ci confrontiamo con Lisa Lanzoni, responsabile del Servizio Innovazione Amministrativa Attuazione della Sussidiarietà del Comune di Verona, che ha appena pubblicato il primo Report sui Patti stipulati dal 2017 al 2022.

Lisa, la prima domanda che ti faccio è quella da cui siamo partiti: perché monitorare e valutare lamministrazione condivisa?

Beh, è un passaggio fondamentale: innanzitutto perché ci permette di capirne i punti di forza e di debolezza, e dunque comprendere, dall’interno, con quali settori dell’amministrazione stringere maggiormente una cooperazione per avere output migliori, e a livello esterno, come recepire meglio le esigenze delle comunità con cui collaboriamo.
Il monitoraggio ci dà esattamente il polso di quante forze di cittadini attivi impiegate ci sono e di quale è il beneficio per la collettività tutta. Come funzionari all’interno di un ente pubblico siamo responsabili dell’aumento del benessere sociale collettivo. In questo senso, il monitoraggio ci permette di avere degli indicatori per la valutazione di impatto sociale e di far comprendere come l’esercizio della discrezionalità amministrativa, ovvero quell’attività di mediazione tra tutti gli interessi in gioco riconosciuta alla pubblica amministrazione, sia strettamente legato alla società vivente.

Rispetto alla valutazione degli effetti – diretti e/o indiretti – prodotti sui cittadini attivi, sulle comunità locali e sui territori coinvolti, qual è, secondo te, l’indicatore che meglio riflette la qualità di un Patto?

Direi sicuramente la capacità generativa dei Patti, il famoso spillover effect, ovvero l’effetto di ricaduta o ‘effetto a cascata’. Quando i Patti terminano la loro vita (sempre che abbiano una scadenza) che cosa accade? A Verona, in molti casi, l’azione non termina lì, ma prosegue, con gli stessi soggetti a cui se ne aggiungono altri, o con altri soggetti ancora. Circa un 20% dei Patti attivi sono azioni che hanno avuto la capacità di proseguire ampliando la base originaria dei proponenti e coinvolgendo altri cittadini. A livello quantitativo avrò solo un Patto che va in prosecuzione, ma a livello qualitativo devo considerare che i soggetti sono aumentati e magari anche cambiati. Questa è la vera generatività dei Patti.

Gli indicatori qualitativi sono utili perché permettono di avere una visione più articolata e completa del quadro di insieme, ma come fare per rilevare gli aspetti soggettivi? Come includere i cittadini attivi coinvolti nei Patti nella valutazione degli impatti percepiti? Quali strumenti avete costruito a Verona?

Inizialmente abbiamo elaborato un modello canvas socio-economico e lo abbiamo proposto ai cittadini: era un modello aperto, per cui suscettibile di essere modificato secondo le specificità dei cittadini. Abbiamo, però, poi capito che quando le persone si approcciano a questa attività, più sono agevolate e più sono contente. Ci chiedono di avere qualcosa di abbastanza ‘definito’ in cui mettere i loro contenuti e noi cerchiamo di non forzarli ad andare oltre le loro forze.
Le schede di monitoraggio che mandiamo ai cittadini sono divise in due sezioni: una prima parte dedicata al racconto delle attività realizzate (previste inizialmente e non), degli obiettivi (raggiunti o meno), delle persone coinvolte (come cittadini attivi e come fruitori), e poi una seconda parte in cui si descrivono le risorse personali ed economiche messe in campo e si evidenziano, eventualmente, le criticità. Questo dato per noi è fondamentale.
Forniamo le schede da subito, quando vengono a sottoscrivere il Patto ricevono un ‘kit del cittadino attivo’ che comprende il testo del Patto e la scheda di rendicontazione. La scadenza la concordiamo insieme: se i Patti sono molto complessi e hanno bisogno di maggiore supporto amministrativo, la periodicità delle schede sarà più ravvicinata; se invece si tratta di un’attività semplice, i tempi sono più lunghi (6 mesi, anche un anno). Il tasso di risposta è del 100%.

Se monitorare significa, dunque, raccogliere in maniera sistematica e continuativa dati, informazioni ed evidenze che danno conto dellattuazione di un intervento, come passiamo dal monitoraggio alla valutazione?

Prima di pubblicare le schede di rendicontazione che i cittadini ci inviano facciamo sempre un passaggio in presenza con loro per una lettura congiunta: in questo modo se si sono rilevate delle criticità capiamo insieme quale possa essere la via risolutiva. È una co-progettazione continua, da quando presentano la proposta fino alla rendicontazione partecipata: la co-progettazione diventa co-monitoraggio e co-valutazione.
La frequenza degli incontri dipende dalla complessità del Patto: i cittadini vengono seguiti come se fossero dei pazienti: al bisogno. Poi c’è anche il momento del check-up, ovvero delle analisi che devono essere fatte. Riusciamo a stare dietro ai Patti in questo modo perché siamo cresciuti come Settore nel corso del tempo, man mano che crescevano i Patti.

Quali altri strumenti di raccolta dati pensi possano funzionare?

Un altro strumento molto efficace in questo senso è il Laboratorio per la Sussidiarietà e l’Innovazione Amministrativa. Si tratta di una serie di incontri periodici, a cadenza più o meno semestrale, in cui funzionari e cittadini lavorano insieme su domande e risposte, problematiche e proposte. Vi partecipano i vari referenti dell’amministrazione e tutti i cittadini interessati, sono incontri sempre molto partecipati. Lì si apre un vero e proprio confronto: ti fanno la domanda diretta e come funzionario ti metti a disposizione per rispondere immediatamente. Tutti i verbali sono poi pubblicati sul sito.
Il Laboratorio per la Sussidiarietà è regolamentato formalmente, sono state adottate delle Linee Guida ed è stato nominato un Comitato di Gestione Paritetico misto (di cittadini e funzionari), che svolge un’attività di coordinamento. In più sono previsti dei Tavoli settoriali e dei Tavoli tematici da attivare in base alle varie esigenze. I primi due Laboratori li abbiamo ospitati nelle sedi centrali comunali, poi abbiamo deciso di farli diventare itineranti, spostandoci per la città per far scoprire i luoghi dei cittadini attivi.

Nella tua esperienza, quali sono i principali impatti diretti – raggiunti o percepiti come tali – generati dai Patti di sussidiarietà in un periodo relativamente breve sulle persone a livello individuale e sugli spazi immediatamente coinvolti?

Sicuramente la scoperta e la fruizione (anche libera) degli spazi, il fatto di poter stare in uno spazio anche senza farci niente. Qualche mese fa abbiamo commissionato allo spin-off del Dipartimento di Scienze economiche dell’Università di Verona un incipit di analisi per la valutazione di impatto sociale e loro hanno inserito come domanda Quanto saresti disposto a mettere delle tue risorse economiche all’interno di questi spazi perché proseguano?”. Nessuno ha risposto zero, tutti hanno indicato una cifra (magari 10, 20, 50 euro), e si trattava di un’intervista assolutamente trasversale, condotta in quartieri a densità di residenti differente e a composizione sociale mista, non era affatto scontato.
Rispetto alle persone e al loro benessere individuale, le dimensioni di impatto principali sono sicuramente quelle della socialità: in tantissimi Patti abbiamo osservato l’intergenerazionalità e in molti abbiamo apprezzato il superamento delle barriere. Nel momento in cui ti rendi conto di essere in uno spazio che è un bene comune, questa percezione abbatte spesso le barriere – linguistiche, etniche e culturali – soprattutto in alcuni quartieri. L’accessibilità, la fruibilità e la possibilità di prendersi cura attivamente di uno spazio sono fattori che contrastano le condizioni iniziali di disuguaglianza. 

Che cosa producono i Patti a livello collettivo? Quali sono gli impatti indiretti sulle comunità territoriali nel medio termine e quali strumenti mettere in campo per rilevarli?

L’ultimo Laboratorio per la Sussidiarietà l’abbiamo fatto in uno spazio di quartiere, lo Spazio ABC, gestito da un gruppo informale di cittadini che vanno dai 20 agli 80 anni e che curano lo spazio in base alle esigenze del quartiere. Il quartiere è densamente popolato e ha una composizione sociale molto eterogenea: la comunità sudamericana ha cominciato a fare corsi in lingua all’interno dello spazio, gli studenti autogestiscono un’aula studio, le signore anziane giocano a carte, e quando apre il mercato lo spazio offre il caffè gratis e si può leggere il giornale.
Questi cittadini attivi hanno intercettato le esigenze degli anziani del quartiere, non ancora digitalizzati. La referente amministrativa del Patto è anche la responsabile dei Servizi sociali territoriali, che si trovano esattamente di fronte, e dunque cosa si è fatto? Abbiamo installato un presidio fisso all’interno di questo spazio, in cui i cittadini offrono un servizio di assistenza per la compilazione di modulistica, SPID, ecc., e captano le situazioni di disagio economico, che richiedono l’intervento pubblico. I Servizi sociali spesso sono difficilmente abbordabili perché c’è un fattore di vergogna: se ci vai, hai una condizione di disagio tale per cui devi essere preso in carico. Questa invece è prevenzione al disagio, fatta in collaborazione con i Servizi sociali. Sono i cittadini stessi che hanno proposto questo ruolo da intermediari, è un approccio diverso.
Questi impatti sulla scala comunitaria sono più difficili da rilevare attraverso le schede di monitoraggio. Più utile in questo caso è il dialogo con i cittadini. In questo senso, il ruolo del referente dell’amministrazione è fondamentale, perché si mette a disposizione per tutta la durata del Patto, ed è pronto ad ascoltare. Sono frontiere che non tutti i funzionari affrontano, ma nel nostro caso sono in molti a crederci, è proprio un fattore umano.

Infine, quali sono gli effetti di ricaduta sugli enti pubblici? Quale rapporto nuovo e diverso si crea tra cittadini e istituzioni, ma anche quali cambiamenti organizzativi, procedurali ed operativi si introducono all’interno dell’amministrazione pubblica? Quali impatti si producono sui singoli funzionari coinvolti?

A livello di modelli organizzativi è un impatto sicuramente sistemico. A Verona abbiamo ristrutturato l’organizzazione dell’ente per i Patti di collaborazione. Il Regolamento del 2017 è stato modificato dopo la fase sperimentale nel 2021 e lì c’è stato un adeguamento degli altri Regolamenti specifici dellente (gli usi temporanei, le affissioni, i contributi e le concessioni), che sono stati modificati come elementi di favore rispetto ai cittadini attivi (ad esempio l’affissione non è più soggetta a tributo se legata ai Patti, l’occupazione di suolo pubblico non è più pagata perché attività istituzionale, le sale circoscrizionali vengono concesse gratuitamente per le azioni relative ai Patti). Mettere a sistema e coordinare dei Regolamenti non è semplice, da un punto di vista tecnico e giuridico è stato un lavoro notevole. Quindi gli effetti sono stati assolutamente dirompenti. Inoltre, c’è stata una strutturazione non solo procedimentale, ma proprio anche procedurale all’interno dell’ente. C’è un Servizio di coordinamento, ma a raggiera sono stati selezionati referenti per l’amministrazione condivisa praticamente in tutti i settori dell’ente, in base alle competenze. Nella maggior parte dei casi sono funzionari responsabili, quindi posizioni organizzative con funzioni dirigenziali, ma diversi funzionari semplici sono stati nominati referenti, a prescindere dal ruolo e dalla responsabilità, perché hanno l’expertise necessaria. Questo scardina un po’ le gerarchie e valorizza le competenze.
Rispetto alla dimensione del singolo funzionario, devo dire che noi siamo tra i funzionari che si divertono di più; certo siamo legati a un lavoro che va molto oltre il cartellino, perché spesso ti chiedono di partecipare a varie iniziative, anche nei weekend, però devo dire che ci divertiamo proprio nel senso etimologico del termine, cioè divergiamo dalla strada maestra, ma scopriamo cose molto interessanti.

Quale ultimo suggerimento ci dai per la costruzione di uno strumento efficace di monitoraggio e valutazione dell’amministrazione condivisa? Cosa è utile tenere a mente per fare un buon monitoraggio e una buona valutazione?

Direi inserire il monitoraggio nella maniera più procedurale possibile all’interno dell’ente, far rientrare la logica valutativa dentro alla miriade di modelli e procedure in atto. Gli elementi che arrivano dai cittadini sono i più diversi, è difficile metterli a sistema, ma se riesco a tradurre queste informazioni nel linguaggio dell’ente, poi possiamo lavorarci e restituirli alla cittadinanza.
Infine, il suggerimento è di ragionare sull’importanza dei cittadini in questo processo. Ripartire dal concetto di Turati dell’amministrazione come ‘casa di vetro’, e quindi essere il più trasparenti possibili nei confronti dei cittadini. Nessun dato che condividono con noi resta perduto, dev’essere macinato e restituito, a loro e a tutti gli altri. Altrimenti è un po’ come se si interrompesse il dialogo, come se ad un certo punto le fermate della metro ne avessero una che manca. Se riusciamo a restituire tutto, anche gli altri sanno dove vogliono salire e che giro vogliono fare.