La "charta della sostenibilità " di Farefuturo

Negli ultimi decenni il divario esistente fra la misurazione offerta dal PIL e le reali condizioni di progresso e sviluppo si è ampliato notevolmente

Il dibattito sul Pil

A partire dall’ormai celebre discorso tenuto da Bob Kennedy all’Università del Kansas nel 1968, lo strumento del Pil è stato sottoposto a numerose critiche da parte di economisti e politici.
Negli ultimi decenni infatti il divario esistente fra la misurazione offerta dal PIL e le reali condizioni di progresso e sviluppo si è ampliato notevolmente. Come si legge nel documento “fenomeni quali l’acuirsi delle diseguaglianze, il depauperamento delle risorse ambientali o il peggioramento del benessere individuale non vengono registrati dall’indice del Pil e mettono sempre di più in evidenza le contraddizioni riscontrabili di fatto tra la crescita economica globale di un paese e le reali condizioni di vita delle persone” (p. 4).
Numerosi sono stati i contributi al dibattito: dalla Commissione Sarkozy, coordinata da Stiglitz, Sen, Fitoussi, ai contributi provenienti dalle Conferenze per l’Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite e dalle diverse Commissioni che ne sono scaturite. In questi casi sono stati elaborati una serie di indicatori di benessere, che mirano a misurare ciò che il Pil non riesce a cogliere. L’ “impronta ecologica”, l’equazione IPAT (Impatto=PopolazionexAgiatezzaxTecnologia), il “Feem sustainability index, elaborato dalla Fondazione Enrico Mattei, sono strumenti elaborati per sostituire il Pil senza rinunciare ad una qualche forma di misurazione quantitativa del benessere.

La "scienza della sostenibilità"

Per uscire da una fase pionieristica, che non ha giovato alla reale applicabilità nelle pratiche quotidiane della nozione di sostenibilità, si afferma oggi una “Scienza della sostenibilità”, che alla frammentazione riconducibile ai singoli contributi, sostituisce una visione d’insieme. Il progetto guidato dall’Università delle Nazioni Unite, coinvolge diversi atenei e centri di ricerca, tra cui il Centro di ricerca interuniversitario per lo sviluppo sostenibile (CIRPS) della Sapienza Università di Roma, che sta organizzando a Roma dal 23 al 25 giugno l’ “International Conference on Sustainability Science ICSS21” insieme all’Università delle Nazioni Unite, alla University of Tokyo e all’Arizona State University.
Il CIRPS è tra i principali sostenitore della teoria dei “cicli chiusi” in base alla quale “lo sviluppo sostenibile non consuma risorse, ma le usa e riusa illimitatamente”, che sostituisce a sua volta la teoria dei “cicli aperti”, fondata sul presupposto che per generare benessere sociale ed economico a breve termine si ricorre al “consumo di risorse”, giungendo nella quasi totalità dei casi alla “produzione di rifiuti”, intesi come quantità di materia non più utilmente sfruttabile ed anzi potenzialmente dannosa o pericolosa per l’uomo e per l’ambiente.

Crisi o opportunità: progettare il futuro

La scelta di strumenti di misurazione maggiormente adeguati alle mutate esigenze di sviluppo è sicuramente un passo importante che deve però condurre a scelte di politica nazionale e internazionale
I critici più ostinati, obiettano che questi sono discorsi da tempi di crisi e che basta che l’economia ricominci a marciare perché tutto torni come prima. Sarà allora opportuno concludere con una citazione di un altro Kennedy, il presidente John, quando disse che “in cinese la parola crisi è formata da due caratteri: uno rappresenta il pericolo e l’altro l’opportunità”. Una crisi non sarà passata invano se avrà costituito un’opportunità per progettare un futuro diverso.